Il potere di convocazione dell’assemblea condominiale spetta anche all’amministratore la cui nomina, che sia intervenuta per volontà dell’assemblea ritualmente svoltasi, non sia stata immediatamente seguita da un’accettazione della persona nominata.
In tema di condominio di edifici, l’istituto della ‘prorogatio imperii’ – che trova fondamento nella presunzione di conformità alla volontà dei condomini e nell’interesse del condominio alla continuità dell’amministratore – è applicabile in ogni caso in cui il condominio rimanga privato dell’opera dell’amministratore, e pertanto non solo nei casi di scadenza del termine di cui all’art. 1129, secondo comma, c.c., o di dimissioni, ma anche nei casi di revoca o annullamento per illegittimità della relativa delibera di nomina. Ne consegue che, l’assemblea può validamente essere convocata dall’amministratore, la cui nomina sia stata dichiarata illegittima, non ostando al riguardo il dettato di cui all’art. 66, secondo comma, c.c., in quanto il potere di convocare l’assemblea, da tale norma attribuito a ciascun condomino, presuppone la mancanza dell’amministratore che è ipotesi diversa da quella che si verifica nei casi di cessazione per qualsivoglia causa del mandato dell’amministratore o di illegittimità della sua nomina”.
Pertanto, se il potere di convocazione dell’assemblea spetta, in applicazione dei principio della “prorogatio imperii”, anche all’amministratore la cui nomina sia stata dichiarata illegittima, a maggior ragione va ritenuto che possa spettare anche all’amministratore, alla cui nomina non è seguita immediatamente, l’accettazione. Il riferimento al mandato in materia condominiale non comporta, quindi, l’applicabilità delle norme che fanno discendere, soltanto dall’accettazione dei mandatario, l’operatività della nomina ma trova la sua regolamentazione iniziale nell’investitura dell’assemblea.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 24 aprile – 13 giugno 2013, n. 14930
Presidente Goldoni – Relatore Carrato
Osserva
Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 12 gennaio 2013, la seguente proposta di definizione ai sensi dell’art. 380-bis c.p,c.: “Con atto di citazione, notificato il 3 maggio 1999, la sig.ra D’A. chiedeva al Tribunale di Ancona, l’annullamento della delibera assembleare del 19 marzo 1999 del condominio di via Matteotti 117 (An), in ragione della dedotta assenza di legittimazione da parte della sig.ra P. per la convocazione dell’assemblea (infatti, la stessa aveva, nella precedente assemblea, sottoposto a particolari condizioni, l’accettazione dell’incarico di amministratore).
Si costituiva il condominio, chiedendo il rigetto della domanda, assumendo che ci fosse stato un legittimo esercizio dei poteri di amministratore, spiegando, altresì, domanda riconvenzionale per il preteso mancato pagamento di una quota condominiale. Il Tribunale di Ancona, con sentenza n. 764/03, rigettava l’opposizione, dichiarando, inoltre, inammissibile la proposta domanda riconvenzionale, per difetto delle condizioni di cui all’art. 36 c.p.c. .
Avverso tale sentenza, la sig.ra D’A. proponeva appello, sostenendo che la nomina, in assenza di accettazione, era priva di effetti per il mancato perfezionamento del contratto di mandato.
L’appellato condominio si costituiva regolarmente in giudizio, insistendo per il rigetto del gravame.
Con sentenza n. 465/2011 (depositata il 21 maggio 2011 e non notificata), la Corte d’Appello di Ancona rigettava l’appello sul presupposto che il mandato in materia condominiale non ha una fonte contrattuale, ma trova la sua regolamentazione iniziale nell’investitura assembleare, sicché non occorre l’accettazione del mandatario. L’appellante veniva, altresì, condannata al pagamento delle spese del grado. Con ricorso per cassazione (notificato il 16 settembre 2011 e depositato il 30 settembre (omissis) la suddetta decisione, sulla base di un unico complesso motivo.
In questa fase, l’intimato condominio non si è costituito.
Rileva il relatore che, nei caso di specie, sussistono i presupposti per procedere nelle forme camerali di cui all’art. 380- bis c.p.c., in relazione all’art. 375 n. 5. c.p.c., potendosi ravvisare la manifesta infondatezza del proposto ricorso.
Con la formulata doglianza la ricorrente ha prospettato la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1129, 1131, 1173, 1321, 1326, 1362, 1372, 1704 c.c., in riferimento all’art. 360, n. 3, c.p.c, nonché il vizio di omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con riferimento all’art. 360, n. 5, c.p.c. Quanto alla dedotta violazione di legge, sul presupposto che la relazione che lega l’amministratore ai condomini è un rapporto dì mandato con rappresentanza e che il mandato è un contratto bilaterale che esige, per il perfezionamento, l’accettazione del mandatario, la ricorrente ha sostenuto che la designazione non possa prescindere dall’accettazione. Dunque, in caso di mancata accettazione, nella fattispecie in esame esplicita e “ab origine”, il nominato amministratore non avrebbe potuto assumere alcuna funzione, neppure per un istante, in virtù di un difetto d’incontro dei reciproci consensi, e perciò, non sarebbe stata ipotizzabile, nei suoi riguardi, la “prorogatio imperii”, che presuppone un insediamento effettivo, seppur breve.
Tale motivo appare palesemente infondato.
Come esattamente rilevato dal giudice di appello, l’infondatezza deriva dal richiamo al consolidato principio di questa Corte, in merito alla presunta necessità di accettazione della nomina da parte dell’amministratore condominiale, per la convocazione dell’assemblea, in virtù del quale “in tema di condominio di edifici, l’istituto della ‘prorogatio imperii’ – che trova fondamento nella presunzione di conformità alla volontà dei condomini e nell’interesse del condominio alla continuità dell’amministratore – è applicabile in ogni caso in cui il condominio rimanga privato dell’opera dell’amministratore, e pertanto non solo nei casi di scadenza del termine di cui all’art. 1129, secondo comma, c.c., o di dimissioni, ma anche nei casi di revoca o annullamento per illegittimità della relativa delibera di nomina. Ne consegue che, l’assemblea può validamente essere convocata dall’amministratore, la cui nomina sia stata dichiarata illegittima, non ostando al riguardo il dettato di cui all’art. 66, secondo comma, c.c., in quanto il potere di convocare l’assemblea, da tale norma attribuito a ciascun condomino, presuppone la mancanza dell’amministratore che è ipotesi diversa da quella che si verifica nei casi di cessazione per qualsivoglia causa del mandato dell’amministratore o di illegittimità della sua nomina”. (così Cass., Sez. Il, n. 1405 del 2007; conformemente cfr. Cass., Sez. il, n. 3139 del 1973; Cass., Sez. II, n. 3588 deI 1993; Cass., Sez. II, n. 5083 del 1994; Cass., Sez. Il, 27.03.03 n. 4531 e, più recentemente, Cass., Sez. II, 30.10.12 n. 18660).
Pertanto, se il potere di convocazione dell’assemblea spetta, in applicazione dei principio della “prorogatio imperii”, anche all’amministratore la cui nomina sia stata dichiarata illegittima, a maggior ragione va ritenuto che possa spettare anche all’amministratore, alla cui nomina non è seguita immediatamente, come nel caso in esame, l’accettazione. Il riferimento al mandato in materia condominiale non comporta, quindi, l’applicabilità delle norme che fanno discendere, soltanto dall’accettazione dei mandatario, l’operatività della nomina; tale riferimento si deve, invece, intendere nel senso che questo specifico rapporto di mandato non ha una fonte contrattuale, ma trova la sua regolamentazione iniziale nell’investitura dell’assemblea.
Quanto al dedotto vizio motivazionale, la ricorrente sostiene che la Corte non aveva spiegato la ragione per cui, dopo aver definito la relazione tra condominio e amministratore, in termini di mandato, aveva ritenuto che l’accettazione dei mandatario costituisse un elemento eventuale e non necessario al perfezionamento dei rapporto. Anche tale profilo risulta – all’evidenza – privo di fondamento, avendo il giudice di appello, con motivazione logica ed adeguata, richiamato, a sostegno della sua decisione, i principi sostenuti pacificamente dalla giurisprudenza di questa Corte (come precedentemente ricordati e non offrendo l’esame dei motivi elementi per mutare l’orientamento della richiamata giurisprudenza.
In definitiva, si riconferma che sussistono i presupposti per procedere nelle forme camerali di cui all’art. 380-bis c.p.c., sulla base della manifesta infondatezza dei complesso motivo dedotto, avuto riguardo all’ipotesi riconducibile all’art. 375 n. 5 c.p.c. e al disposto di cui all’art. 360 bis n. 1 c.p.c.”.
Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra e che i rilievi esposti nella memoria difensiva depositata nell’interesse della ricorrente non possono trovare seguito perché va ribadito che “in tema di condominio negli edifici, la ‘prorogatio imperii’ dell’amministratore – che trova fondamento nella presunzione di conformità alla volontà dei condomini e nell’interesse dei condominio alla continuità dell’amministrazione – si applica in ogni caso in cui il condominio rimanga priva dell’opera dell’amministratore e, quindi, non solo nelle ipotesi di scadenza del termine di cui all’art. 1129, secondo comma, c.c. o di dimissioni, ma anche
nei casi di revoca o annullamento per illegittimità della delibera di nomina. Ne consegue che l’amministratore condominiale, la cui nomina sia stata dichiarata invalida, continua ad esercitare legittimamente, fino all’avvenuta sostituzione, i poteri di rappresentanza, anche processuale, dei comproprietari, rimanendo l’accertamento di detta ‘prorogatio’ rimesso al controllo d’ufficio del giudice e non soggetto ad eccezione di parte, in quanto sia inerente alla regolare costituzione del rapporto processuale” (cfr. Cass. n. 18660 dei 2012);
rilevato, inoltre, che, al momento dell’indizione dell’assemblea condominiale controversa, la Perucci risultava essere stata nominata legittimamente amministratrice, con la conseguente revoca del precedente amministratore, non sortendo alcuna incidenza – per le ragioni già spiegate – la circostanza che la nuova amministratrice non equivalendo tale condotta ad un rifiuto della nomina, sottolineandosi come la non accettazione successivamente intervenuta non poteva espletare una sua efficacia “ex tunc”, rendendo illegittima la precedente convocazione dell’assemblea condominiale, invece da ritenersi indetta nel pieno esercizio in quel momento delle funzioni da parte della stessa amministratrice sulla base della sua intervenuta nomina in virtù di pregressa delibera assembleare;
ritenuto che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato, condividendosi il principio di diritto affermato dalla Corte territoriale sulla scorta del quale il potere di convocazione dell’assemblea condominiale spetta anche all’amministratore la cui nomina, che sia intervenuta per volontà dell’assemblea ritualmente svoltasi, non sia stata immediatamente seguita (come verificatosi nella concreta fattispecie) da un’accettazione della persona nominata;
considerato, infine, che non occorre disporre alcuna pronuncia sulla disciplina delle spese della presente fase, in difetto di costituzione del Condominio intimato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

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