Cassazione civile , sez. II, sentenza 08.11.2010 n° 22653
Nel contratto preliminare a vendere, le parti possono stabilire che, entro il termine fissato, il promettente venditore possa o stipulare il definitivo oppure rilasciare procura a vendere.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente
Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere
Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere
Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 2962/2005 proposto da:
C.M. (OMISSIS), nella qualità di procuratrice speciale della sig.ra CE.AD., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA 14, presso lo studio dell’avvocato PALLOTTINO ALESSANDRO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
M.L. (OMISSIS), nella qualità di erede legittima di MA.GE., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato RENIER GIAN FRANCO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1681/2004 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 13/10/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/02/2010 dal Consigliere Dott. SAN GIORGIO MARIA ROSARIA;
udito l’Avvocato PALLOTTINO Alessandro, difensore della ricorrente che ha chiesto accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1. – Con atto di citazione notificato il 4 luglio 1996, Ma.
G. convenne innanzi al Tribunale di Venezia Ce.Al. chiedendo una pronuncia ex art. 2932 c.c. che producesse il trasferimento in capo all’attore della proprietà dell’immobile oggetto del contratto preliminare sottoscritto il (OMISSIS).
L’attore espose che tale immobile consisteva in un appartamento sito in (OMISSIS) che l’attore aveva promesso di acquistare per sè o per persona da nominare al momento della stipula del contratto di compravendita o procura, e che il pagamento del prezzo di L. 80.000.000 doveva avvenire ai momento del rogito notarile di compravendita o procura, da effettuare entro il 20 febbraio 1996.
Aggiunse di aver versato all’acquirente il 21 febbraio 1996 un acconto di L. 10.000.000, e che in data 1 aprile 1996 aveva invitato la promittente venditrice a recarsi presso il notaio per il rilascio della procura a vendere e per ricevere il saldo; che la Ce. aveva risposto con lettera del proprio legale in data 2 aprile 1996, comunicando la propria volontà di non rilasciare alcuna procura, dichiarandosi disponibile solo alla stipula del contratto definitivo, per il quale aveva fissato un termine di quindici giorni;
che, dopo che la questione era sembrata avviata a soluzione per l’avvenuto reperimento di un acquirente, la Ce. aveva fissato un appuntamento presso il notaio per il 6 giugno 1996, del quale l’acquirente aveva chiesto un brevissimo differimento per un improvviso impedimento, differimento non concesso dalla venditrice.
Si costituì in giudizio la Ce., deducendo l’inadempimento dell’attore che non aveva, nel termine del 20 febbraio 1996, convertito in assegno circolare quello bancario per l’importo di L. 80.000.000, coi rispondente al prezzo della vendita, nè aveva in alcun modo offerto la somma, inducendo la donna ad inviargli, invano, una diffida. Chiese, pertanto, in via riconvenzionale che venisse dichiarata la risoluzione del preliminare.
2. – Con sentenza in data 10 luglio 1998, il Tribunale di Venezia respinse la comanda dell’attore, accertando la risoluzione del preliminare per colpa dello stesso attore.
La sentenza fu impugnata dal Ma., il quale contestò la interpretazione del contratto de quo fornita dal giudice di primo grado – secondo la quale la spendita della procura da parte dello stesso appellante sarebbe dovuta avvenire senza dilazione – rilevando che nel preliminare il rilascio della procura era previsto come alternativa alla vendita e che, mentre era stabilito per la stipula del rogito o, in alternativa, per il rilascio della procura il termine del 20 febbraio 1996, nessun termine era previsto per la spendita della procura.
2. – La Corte d’appello di Venezia, con sentenza depositata il 13 ottobre 2004, accolse il gravame, trasferendo la proprietà dell’immobile in questione al Ma. subordinatamente al pagamento da parte dello stesso del residuo prezzo pattuito per la compravendita, corrispondente alla somma di Euro 36.151,98.
La Corte ritenne non condivisibile la interpretazione del contratto preliminare di cui si tratta compiuta dal primo giudice, secondo il quale il Ma. avrebbe dovuto spendere la procura a vendere entro il termine del 20 febbraio 1996, fissato per la stipula del rogito. Apparve alla Corte di merito più corretta la interpretazione suggerita dall’appellante, secondo la quale entro il predetto termine doveva alternativamente essere rilasciata al Ma. la procura a vendere e versato il prezzo, sostituendo l’assegno bancario di L. 80.000.000 con assegno circolare o contanti, ovvero stipulato il rogito con il versamento del prezzo, in tal modo consentendo al promissario acquirente, ove non avesse reperito un acquirente entro il 20 febbraio 1996, di evitare un doppio trasferimento azionando la procura a vendere. Così interpretato il contratto preliminare, osservò la Corte di merito che dalla documentazione in atti risultava che il Ma. aveva consegnato alla Ce. in data 21 febbraio 1996 un assegno di L. 10.000.300, incassato da quest’ultima, e che in data 1 aprile 1996 aveva inviato alla Ce. un telegramma che invitava la venditrice ad accordarsi con il notaio per stipulare la procura e contestualmente ricevere il saldo, mentre quest’ultima aveva contestato la sussistenza in capo a lei dell’obbligo di stipulare detta procura, affermando che l’unico obbligo assunto era quello di stipulare il contratto definitivo. La posizione della Ce. era, secondo la Corte, in contrasto con gli obblighi derivanti a suo carico dalla firma del preliminare, sicchè la intimazione da lei rivolta al Ma. di fissare un appuntamento innanzi al notaio entro 15 giorni non era idonea a valere come diffida ad adempiere, suscettibile di determinare la risoluzione del preliminare, cosi come la successiva lettera con la quale il legale della donna intimava al Ma. di fare in modo che la stipula avvenisse entro 20 giorni dalla ricezione della stessa.
Concluse la Corte territoriale che il mancato rispetto degli obblighi assunti con il preliminare era imputabile esclusivamente alla condotta della Ce., non ravvisando, invece, nel comportamento del Ma. alcun inadempimento, e, pertanto, escludendo che alcun ostacolo si frapponesse al trasferimento dell’immobile oggetto del preliminare di cui si tratta all’appellante.
La Corte di merito ritenne, invece, nuova, e pertanto inammissibile, la domanda del Ma. di condanna della Ce. al risarcimento dei danni.
4. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre C.M., in qualità di procuratrice speciale della signora Ce.Al., sulla base di due motivi. Resiste con controricorso M.L. in, moglie ed erede legittima del Ma., che propone altresì ricorso incidentale. Le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo di ricorso, si deduce violazione e falsa applicazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e 1363 c.c., nonchè omessa ed insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia. Avrebbe errato la Corte di merito nell’interpretare il contratto preliminare di cui si tratta nel senso che esso prevedesse che entro il termine fissato dallo stesso la promittente venditrice avrebbe dovuto alternativamente stipulare il rogito notarile o rilasciare al Ma. una procura a vendere.
Tale erronea esegesi sarebbe frutto di una lettura non organica del contratto, nel quale non si fa mai riferimento ad una procura a vendere, ma semplicemente ad una procura. Questa, inoltre, generalmente si accompagna ad un mandato, di cui non vi era traccia nella specie. Inoltre, sotto il profilo delle obbligazioni assunte dalle parti, si sottolinea nel ricorso che lo schema adottato dalle parti era quello del contratto di compravendita, avendo la Ce. promesso di “cedere e vendere” al signor Ma., il quale allo stesso modo aveva promesso di “accettare ed acquistare”. L’unica alternativa prevista dal contratto era quella riservata al compratore, che avrebbe potuto scegliere se acquistare per sè o per persona da nominare, mentre non vi sarebbe stato spazio, in base al significato letterale e complessivo delle clausole contrattuali, per ritenere, come aveva fatto la Corte di merito, che la venditrice si fosse alternativamente impegnata a vendere o a rilasciare una procura a vendere. Infine, quanto al comportamento delle parti anche successivo alla stipulazione del contratto, si rileva che dalla corrispondenza intercorsa tra le stesse, emergerebbe che la loro comune volontà non fosse quella del rilascio di una procura a vendere, ma solo quella di obbligarsi a concludere un contratto di compravendita immobiliare. Ed infatti, sin dalla prima lettera spedita al Ma. la Ce. si era dichiarata pronta ad adempiere l’unica prestazione cui si era obbligata, quella, cioè, a stipulare il contratto definitivo di compravendita. Ed anche il Ma. aveva quale unico interesse quello di acquistare l’appartamento a fini speculativi per rivenderlo, e per tale ragione si era obbligato ad acquistare per sè o per persona da nominare, che aveva confidato di reperire entro la scadenza prefissata. Solo in data 1 aprile 1996, a termine scaduto, e nella impossibilità di reperire alcuno, aveva proposto alla Ce. il rilascio di una procura a vendere, ottenendone un rifiuto.
2.1. – La doglianza non può trovare ingresso nel presente giudizio.
2.2. – La interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 e seg. c.c., o di motivazione inadeguata, in quanto non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione.
Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati e dei principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa.
2.3. – Nella specie, la Corte di merito ha correttamente e congruamente dato conto del percorso logico-giuridico, condotto in conformità ai criteri ermeneutici dettati dall’art. 1362 c.c., che ha determinato il suo convincimento in ordine al reale contenuto del contratto preliminare de quo, attenendosi, per un verso, alle espressioni in esso contenute, e, per l’altro, valutando la intenzione comune delle parti, che era quella che, entro il termine del 20 febbraio 1996, dovesse essere, con il versamento del prezzo, stipulato il rogito ovvero rilasciata al Ma. la procura a vendere. La Corte lagunare ha altresì rinvenuto il fondamento logico- giuridico nella esigenza del Ma. di evitare, ove non fosse riuscito a reperire un acquirente entro la data indicata, un doppio trasferimento. Nel contempo, detta previsione – ha osservato il giudice di secondo grado – tutelava l’interesse della venditrice con la indicazione nel rogito del prezzo della vendita e del trasferimento del carico fiscale in capo al Ma. sin dal 1 gennaio 1996.
Deve, dunque, concludersi che sostanzialmente, al di là della invocazione delle norme ermeneutiche, la ricorrente abbia inteso, con la censura in esame, conseguire il. risultato di una interpretazione del contratto per cui è causa diversa da quella fornita dal giudice di merito, operazione, codesta, inibita nella presente sede.
3.1. – Le suesposte argomentazioni danno conto, altresì, della infondatezza della seconda censura. Con essa si lamenta la incongrua ed insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia, nonchè la violazione degli artt. 1454 e 1460 c.c. Avrebbe errato la Corte di merito nella valutazione della condotta delle parti, finalizzata all’accertamento dell’adempimento o inadempimento agli obblighi assunti con la stipula del contratto preliminare. Partendo dall’erroneo presupposto che la posizione della Ce. sarebbe stata in contrasto con gli obblighi derivanti alla stessa dalla firma del contratto preliminare, il giudice di secondo grado aveva affermato che costei aveva, in giudizio, giustificato il proprio rifiuto di aderire alla richiesta del Ma. solo perchè questi non aveva provveduto al pagamento del prezzo, laddove una tale asserzione non era stata mai pronunciata dalla dolina, la quale si era, invece, sempre dichiarata disponibile all’adempimento del preliminare, sempre che questo consistesse solo nella obbligazione assunta di vendere l’appartamento. Del resto, il Ma., dopo essersi impegnato a stipulare il contratto definitivo, era stato sicuramente inadempiente, avendo lasciato scadere il termine imposto dalla venditrice.
3.2. – La censura risulta, invero, incentrata sul presupposto che la condotta della Ce. fosse conforme agli obblighi assunti con il preliminare, che non avrebbe contenuto la previsione del rilascio ai Ma. della procura a vendere in alternativa alla stipulazione del contratto definitivo di compravendita: presupposto che, alla stregua di quanto rilevato sub 2.3. circa la correttezza logico- giuridica della interpretazione del contratto operata dalla Corte territoriale, si rivela infondato.
4. – Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. In ossequio al criterio della soccombenza, le spese del giudizio vanno poste a carico della ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 4700,00, oltre ad Euro 200,00 per spese.