L’art. 873 c.c., nello stabilire per le costruzioni su fondi finitimi la distanza minima di tre metri dal confine o, quella maggiore fissata dai regolamenti locali, si riferisce, in relazione all’interasse tutelato dalla norma, non necessariamente ad un edificio, ma ad un qualsiasi manufatto, avente caratteristiche di consistenza e stabilità o che emerga in modo sensibile dal suolo e che, inoltre, per la sua consistenza, abbia l’idoneità a creare intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza ed alla salubrità del godimento della proprietà, idoneità il cui accertamento è rimesso al giudice di merito.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 20 settembre – 17 dicembre 2012, n. 23189
Presidente Triola – Relatore Manna
Svolgimento del processo
L. , T. , B. , M.C. e S.S.M. , comproprietari di un fabbricato in …, agivano in giudizio innanzi al Tribunale di Bergamo nei confronti di C.E. , titolare della ditta Tex Car e proprietario di un edificio posto sui area confinante, per il rispetto delle distanze legali tra le due costruzioni. A sostegno della domanda deducevano che l’edificio del convenuto era stato eretto in parte in aderenza ad una porzione del loro fabbricato e in parte a distanza inferiore a quella prevista dalla disposizioni regolamentari, e che, inoltre, l’edificazione in aderenza era stata eseguita chiudendo due finestroni. Chiedevano, pertanto, la demolizione della costruzione del convenuto e la condanna di lui al risarcimento dei danni arrecati da immissioni di calcestruzzo all’interno dei locali di loro proprietà.
Resistendo in giudizio il convenuto, il Tribunale accoglieva la sola domanda risarcitoria.
Sull’impugnazione degli attori, tale sentenza era solo parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Brescia, che rideterminava in Euro 1.851,00, oltre rivalutazione in base agli indici Istat, l’ammontare del risarcimento.
Rilevata “l’estraneità alla lite” della Tex Car s.r.l., affermatasi nel giudizio d’appello cessionaria dell’azienda di C.E. , osservava la Corte territoriale che dalle certificazioni del comune e dalla relazione del c.t.u. risultava che tutte le particelle identificati ve degli immobili in questione rientravano, secondo il piano di fabbricazione vigente all’epoca, nella zona industriale, ma che una delle particelle che individuavano la proprietà C. , e cioè la n.546, rientrava anche nel PIP (Piano per gli insediamenti produttivi) che prevedeva la possibilità di edificare in aderenza o comunque sui confine. In particolare, l’edificio di proprietà C. risultava eretto su particelle soggette a differenti regimi, e cioè il mapp. 610 sottoposto al piano di fabbricazione e il mapp. 546 al PIP, con la conseguenza che la costruzione quanto al primo doveva rimanere alla distanza di tre metri dall’edificio di proprietà S. , mentre in ordine al secondo avrebbe dovuto restare a cinque metri di distanza, salva la possibilità di attestarsi sul confine limitatamente al fronte e all’altezza di fabbricati esistenti alla data di entrata in vigore del PIP. Rilevava, quindi, che siccome le pareti sud-est e sud-ovest (la prima cieca, la seconda munita di aperture lucifere) del fabbricato degli attori si ergevano a confine, rispettivamente, con i mappali 610 e 546, il C. aveva diritto di costruire sul mapp. 546 in aderenza dell’edificio attoreo, sia pure nei limiti dell’altezza di questo, come era avvenuto, mentre la residua parte interessata dal mapp. 546 si trovava a cinque metri dal confine, essendo irrilevanti, in quanto tali da non integrare il concetto di costruzione, lo scivolo e la rampa aerea collocate nello spazio interposto.
Per la cassazione di detta sentenza L. , T. , B. , M.C. e S.S.M. propongono ricorso, affidato a due articolati motivi.
Resiste con controricorso C.E. .
I ricorrenti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. – Preliminarmente va respinta l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per mancata formulazione dei quesiti di diritto previsti dall’art.366-bis c.p.c, essendo quest’ultima norma inapplicabile ratione temporis (la sentenza impugnata è stata depositata il 10.5.2005, e dunque prima del termine d’inizio efficacia di detta disposizione, indicato dal D.Lgs. n.40/06 nel 2.3.2006).
2. – Col primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 87 3 e ss. c.c. e 29 e 30 del regolamento edilizio del comune di Leffe.
Sostiene parte ricorrente che detto regolamento stabilisce che la minore distanza in assoluto dal confine e da un fabbricato adiacente, misurata nel loro punto più vicino all’erigendo edificio, non deve essere inferiore a m. 3, salvo diversi valori stabiliti da norma del programma di fabbricazione. Ciò posto, osserva che la porzione di fabbricato eretta dal C. sul mapp.610 si trova solo in parte in aderenza al fabbricato S. , eretto sul mapp.78, posto che per altra parte si trova semplicemente a confine con i mappali 76 e 77. In secondo luogo, il principio della prevenzione e la facoltà di costruire in aderenza, desumibili dagli artt. 873 e ss. c.c, non trovano applicazione nel caso in. cui i regolamenti comunali impongano distacchi assoluti dal confine, e ciò nonostante la presenza di un fabbricato costruito anteriormente sul confine stesso, Da tanto consegue l’ineludibilità del distacco minimo di tre metri dal confine rispetto al fondo distinto dai mapp.76 e 77, e di dieci metri dalle costruzioni, rispetto ai fabbricati di proprietà S. di cui ai mapp.76 e 78.
3. – Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 873 e ss. c.c. e degli artt. 2 e 6 del Piano per gli insediamenti produttivi (PIP) del comune di Leffe, nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria moti visione riguardo ad un punto decisivo della controversia.
Il regolamento edilizio prevede per l’intero territorio comunale due concorrenti distacchi, ossia almeno dieci metri tra fabbricati e almeno tre metri dal confine, e soltanto per quest’ultimo sono fatti salvi i diversi valori fissati da norme del programma di fabbricazione. Il PIP, stabilita una distanza minima di cinque metri dai confini, prevede per i lotti 8 e 9, di proprietà C. , che a confine con aree non facenti parti del PIP è ammessa la costruzione a confine limitatamente al fronte e all’altezza di fabbricati esistenti alla data di entrata in vigore di detto strumento urbanistico. Da ciò la Corte d’appello ha erroneamente tratto, prosegue parte ricorrente, la convinzione che il C. avesse diritto di costruire la porzione innalzata sul mapp. 546 in aderenza alla parete sud-ovest (cioè quella munita di finestroni) del preesistente fabbricato attoreo, sia pure nei limiti della sua altezza, ed ha, altrettanto erroneamente escluso che lo scivolo e la rampa aerea concretino una costruzione ai sensi dell’art.873 cc. Orbene, prosegue parte ricorrente, lo scivolo e la rampa consistono in un manufatto in calcestruzzo della lunghezza di 23 metri, con una profondità variabile da cinque a tredici metri, e con un’altezza che va dalla quota del fondo di proprietà S. a quella, superiore di undici metri, del lastrico di copertura dell’edificio C. , che corrisponde al tetto del fabbricato degli odierni ricorrenti, distinto dal mapp. 78. La consistenza del manufatto e la circostanza che questo si trova per gran parte del suo sviluppo non già in aderenza a preesistenti fabbricati di proprietà S. , ma a confine con questi ultimi, nonché la formazione di intercapedini perniciose, ad evitare le quali soccorre l’art.873 c.c, sono dimostrate dalla seconda relazione del c.t.u. Del resto, prosegue parte ricorrente, la motivazione della Corte d’appello appare contraddittoria, perché ove anche fosse vero che la rampa aerea per passaggio pedonale non concreti una costruzione, ciò dovrebbe comportare anche escludere che il fabbricato di proprietà C. si trovi in aderenza al fabbricato degli odierni ricorrenti di cui al mapp. 78, perché detto passaggio pedonale corre per tutto il confine tra le proprietà delle parti, sicché non può valere come costruzione in aderenza rispetto a detto mappale e come manufatto privo dei caratteri della costruzione rispetto all’area scoperta di cui al mapp.76.
Inoltre, ove anche le distanze legali dovessero essere verificate dal punto di vista considerato dalla Corte territoriale, sarebbe comunque disattesa la distanza minima di dieci metri, così come stabilita dall’art.29 del regolamento edilizio, rispetto al fabbricato S. . Infatti, il PIP nulla muta in ordine alle distanze tra fabbricati, di guisa che trova applicazione al caso concreto il distacco minimo di dieci metri prescritto in via generale dal regolamento edilizio.
4. – Il primo motivo è fondato nei termini che seguono.
La prevalente giurisprudenza di questa Corte distingue il caso in cui il regolamento edilizio locale si limiti a fissare: solo la distanza minima tra le costruzioni, da quello in cui la norma regolamentare stabilisca anche (o solo) la distanza minima delle costruzioni dal confine, nel quale ultimo caso deve ritenersi derogato il principio di prevenzione ex art. 875 c.c, perché l’obbligo di arretrare la costruzione è assoluto, come lo è il corrispondente divieto di costruire sul confine, a meno che lo stesso regolamento edilizio non consenta espressamente anche tale facoltà.
4.1. – Nella specie, la Corte territoriale mostra di non essersi attenuta a tale principio, lì dove ha escluso che la porzione del fabbricato insistente sul mappale 610, eretta in aderenza alla preesistente parete sud-est del fabbricato degli attori, violasse le distanze legali, proprio e solo in considerazione del fatto di essere, appunto, aderente al fabbricato degli attori, non considerando il distacco di tre metri dal confine imposto dall’art.36 del regolamento edilizio comunale, salvo diversi valori stabiliti dalle norme di zona del programma di fabbricazione.
Resta con ciò assorbita ogni questione relativa al distacco tra i fabbricati secondo la medesima normativa locale.
5. – Il secondo motivo è fondato.
È fermo indirizzo di questa Corte che l’art. 873 c.c., nello stabilire per le costruzioni su fondi finitimi la distanza minima di tre metri dal confine o, quella maggiore fissata dai regolamenti locali, si riferisce, in relazione all’interasse tutelato dalla norma, non necessariamente ad un edificio, ma ad un qualsiasi manufatto, avente caratteristiche di consistenza e stabilità o che emerga in modo sensibile dal suolo e che, inoltre, per la sua consistenza, abbia l’idoneità a creare intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza ed alla salubrità del godimento della proprietà, idoneità il cui accertamento è rimesso al giudice di merito (Cass. nn. 3199/02, 12045/00, 45/00, 5116/98, 1509/98 5956/96, 11948/93 e 5670/91).
5.1. – La sentenza impugnata si è limitata ad affermare che la rampa aerea e lo scivolo carraio insistenti sul fondo di proprietà C. , risolvendosi in una peculiare pavimentazione di un’area libera, non rivestono il carattere di “costruzione”.
Vi è, però, che per sua stessa definizione una rampa “aerea” (aggettivo che è riferibile a ciò che si colloca o mostra di collocarsi nell’aria) non può non essere sensibilmente elevata rispetto al suolo, e che del pari uno scivolo carraio solo se completamente interrato può non risultare almeno in parte emergente dal terreno. E la circostanza che l’una e l’altro fungano da copertura di un edificio sottostante – come desume dal ricorso posto a quota inferiore rispetto a quella del fondo di proprietà S. , non muta i termini della questione, perché nel caso di dislivello tra fondi, è qualificabile come costruzione, ai fini delle disposizioni sulle distanze, ogni manufatto che eccedendo la pura necessità di contenere il terreno più elevato, esprima un’opzione ulteriore e di tipo architettonico.
Escludendo che entrambi i ridetti manufatti fossero qualificabili come costruzioni, la sentenza impugnata è incorsa, pertanto, nella violazione dell’art. 873 c.c. e nel connesso vizio motivazionale, in quanto ha esaminato in maniera incongrua un punto decisivo della controversia a stregua della corretta esegesi della norma anzi detta.
6. – S’impone, pertanto, la cassazione della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Brescia, che nel decidere la controversia si atterrà ai principi sopra esposti e provvederà, altresì, sulle spese del presente giudizio di cassazione, ai sensi dell’art.383, ultimo comma c.p.c..
P.Q.M.
La Corte accoglie nei termini di cui in motivazione il primo p il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti con rinvio ad