In caso di ritardato rilascio dell’immobile a seguito di risoluzione (o naturale scadenza) del contratto di locazione, il diritto al risarcimento del maggior danno ex art. 1591 cod. civ. non sorge automaticamente, ma richiede, da parte del locatore, la specifica dimostrazione di avere subito un pregiudizio nella propria sfera giuridica, prova che ben può essere data anche a mezzo di presunzioni, purchè gravi, precisi e concordanti.
Tali possono essere valutati rapportando il canone corrisposto dal precedente conduttore negli ultimi mesi di vita del rapporto, nonchè quello successivamente concordato dal locatore con altro conduttore.
Cassazione Civile, Sez. III Sent. n. 4789/2013
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata il 15 febbraio 1995 D.S. convenne innanzi al Tribunale di Palermo l’INAIL chiedendone la condanna al risarcimento dei danni da lui patiti per il ritardo con il quale l’immobile locato al predetto istituto gli era stato restituito.
Espose che, dopo un tormentato iter giudiziario, il contratto di locazione era stato risolto per inadempimento del conduttore, il quale era stato altresì condannato a ristorarlo dei pregiudizi subiti, da liquidarsi in separata sede.
L’INAIL, costituitosi in giudizio, contestò le avverse pretese.
Con sentenza del 31 ottobre 2002 il giudice adito confermò l’ordinanza emessa, ex art. 186 quater cod. proc. civ., di condanna dell’Ente al pagamento in favore dell’attore della somma di lire 246.269,030, oltre accessori.
Proposto gravame principale dall’INAIL e incidentale dal D., la Corte d’appello, in data 14 febbraio 2006, ha confermato, per quanto qui rileva, la sentenza impugnata.
Per la cassazione di detta pronuncia ricorre a questa Corte l’INAIL, formulando tre motivi.
Resiste con controricorso, illustrato anche da memoria, D. S..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1 Con il primo motivo l’impugnante denuncia violazione degli artt. 2697 e 1591 cod. civ., ex art. 360 c.p.c., n. 3.
Sostiene che il giudice di merito avrebbe fatto malgoverno della consolidata giurisprudenza del Supremo Collegio secondo cui il maggior danno che il locatore assuma di aver subito per effetto della morosità del conduttore e del mancato, tempestivo rilascio dell’immobile locato, ex art. 1591 cod. civ., scaturendo da una fonte di responsabilità ex contractu, va rigorosamente provato, nella sua sussistenza e nel suo concreto ammontare, dal locatore medesimo, posto che l’obbligo risarcitorio non sorge automaticamente, sulla base del valore locativo presumibilmente ricavabile in relazione ad astratte possibilità di locazione o di vendita del bene, ma va accertato in relazione alle concrete condizioni e caratteristiche del cespite, alla sua ubicazione, alle possibilità di utilizzazione, e quindi all’esistenza di ben precise proposte di locazione o di acquisto, ovvero di altri, concreti propositi di utilizzazione.
La Corte d’appello di Palermo, disattendendo la giurisprudenza di legittimità, avrebbe invece presunto l’esistenza del maggior danno, nella misura, almeno, della differenza tra canone convenzionale, ove inferiore al c.d. equo canone, e quest’ultimo, calcolato con riferimento all’epoca di cessazione del rapporto, per giunta rimettendosi, per la quantificazione dei pretesi pregiudizi subiti dal locatore, agli esiti della disposta consulenza tecnica d’ufficio.
1.2 Con il secondo mezzo il ricorrente lamenta vizi motivazionali, ex art. 360 c.p.c., n. 5, con riferimento alla medesima questione.
2 Le censure, che si prestano a essere esaminate congiuntamente per la loro evidente connessione, sono infondate per le ragioni che seguono.
Con una motivazione esente da errori giuridici e da vizi logici la Corte territoriale, ricordato che il diritto al risarcimento del maggior danno ex art. 1591 cod. civ. non sorge automaticamente, ma richiede, da parte del locatore, la specifica dimostrazione di avere subito un pregiudizio nella propria sfera giuridica, prova che ben può essere data anche a mezzo di presunzioni, purchè gravi, precisi e concordanti, ha affermato che correttamente il giudice di prime cure aveva tratto elementi di convincimento dalla consulenza tecnica d’ufficio e ciò tanto più che questa non appariva finalizzata al calcolo, in astratto, del valore locativo dell’immobile, bensì all’accertamento, in concreto, del pregiudizio subito dall’attore.
L’esperto aveva invero valorizzato, nella conclamata difficoltà di instaurazione di concrete trattative con terzi per la locazione di un immobile occupato, dati assolutamente inconfutabili, come il canone corrisposto dal medesimo Istituto negli ultimi mesi di vita del rapporto, nonchè quello successivamente concordato dal locatore con altro conduttore.
3 Ritiene il collegio che siffatto apparato argomentativo resista alle critiche svolte in ricorso.
Contrariamente all’assunto dell’impugnante, infatti, essa utilizza in chiave presuntiva elementi saldamente ancorati al contesto fattuale di riferimento, dandone una lettura plausibile e conforme a criteri di comune buon senso (confr. Cass. civ. 3 gennaio 2012, n. 1372).
A ciò aggiungasi che la parte che in sede di legittimità si duole dell’adesione del giudice alla consulenza tecnica, assumendone l’acriticità, non può limitarsi a lamentare genericamente l’inadeguatezza della motivazione, ma, in considerazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione e del carattere limitato di tale mezzo di impugnazione, ha l’onere di indicare quali siano le circostanze e gli elementi rispetto ai quali essa invoca il controllo di logicità, riportando per esteso le pertinenti parti della consulenza tecnica già oggetto di specifiche censure, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del lamentato difetto di motivazione (confr. Cass. civ. 7 marzo 2006, n. 4885).
Ora, considerato che nella fattispecie mancano del tutto siffatte, puntuali allegazioni, la doglianza si risolve in definitiva nell’invito a una diversa ricostruzione dei fatti e ad una diversa valutazione delle prove, preclusa in sede di legittimità.
4 Con il terzo motivo, prospettando vizi motivazionali, l’impugnante contesta l’affermazione del giudice di merito secondo cui nulla era dovuto a titolo di miglioramenti perchè, a prescindere dalla loro effettiva sussistenza, il conduttore non aveva dato la prova del consenso del locatore all’esecuzione delle opere de quibus, sicchè la domanda non poteva trovare, in ogni caso, accoglimento.
5 Le critiche non hanno pregio.
E’ sufficiente al riguardo considerare che, a sostegno della dedotta, erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, il ricorrente si limita a richiamare genericamente, e in maniera puramente assertiva, pretesi riconoscimenti, da parte del locatore, delle opere asseritamente eseguite a sue spese, nonchè la documentazione tecnica acquisita al giudizio di merito, senza indicare con precisione nè il contenuto, nè l’esatta allocazione di tali atti nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte: il che preclude alla Corte ogni preliminare verifica in ordine alla sussistenza e alla decisività del denunciato malgoverno delle emergenze istruttorie. Il ricorso è respinto.
L’impugnante rifonderà alla controparte vittoriosa le spese del giudizio, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 5.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre IVA e CPA, come per legge.