La Corte di Cassazione ha affermato in più occasioni che in tema di appalto è di regola l’appaltatore che risponde dei danni provocati a terzi ed eventualmente anche dell’inosservanza della legge penale durante l’esecuzione del contratto, attesa l’autonomia con cui egli svolge la sua attività nell’esecuzione dell’opera o del servizio appaltato, organizzandone i mezzi necessari, curandone le modalità ed obbligandosi a fornire alla controparte l’opera o il servizio cui si era obbligato, mentre il controllo e la sorveglianza del committente si limitano all’accertamento e alla verifica della corrispondenza dell’opera o del servizio affidato all’appaltatore con quanto costituisce l’oggetto del contratto.
Una responsabilità del committente nei riguardi dei terzi risulta configurabile solo allorquando si dimostri che il fatto lesivo sia stato commesso dall’appaltatore in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente stesso (sentenze 23 marzo 1999, n. 2745, e 2 marzo 2005, n. 4361), oppure quando sia configurabile in capo al committente una culpa in eligendo per aver affidato il lavoro ad impresa che palesemente difettava delle necessarie capacità tecniche, ovvero in base al generale principio del neminem laedere di cui all’art. 2043 cod. civ. (sentenze 6 agosto 2004, n. 15185, e 27 maggio 2011, n. 11757).
Tali affermazioni valgono anche in caso di subappalto, in quanto il subappaltatore, anche se attua lavori in precedenza appaltati ad altri, assume con l’autonoma gestione del lavoro la piena responsabilità di quanto si svolge nel luogo di lavoro, al punto che l’eventuale ingerenza dell’appaltatore esclude la responsabilità del subappaltatore soltanto se questi divenga un suo mero esecutore (sentenza 15 ottobre 2007, n. 21540).
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 15 ottobre – 15 novembre 2013, n. 25758
Presidente Finocchiaro – Relatore Cirillo
Svolgimento del processo
1. L’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Padova, la s.n.c. Impresa edile Bonetto, di P..B. , per sentirla condannare al rimborso della somma di lire 148.686.868, con interessi compensativi, erogata dall’ente previdenziale in favore di P.C. , a seguito di infortunio sul lavoro. Il P. , infatti, mentre stava svolgendo un lavoro di impermeabilizzazione di un lastrico solare all’interno di un cantiere edile della società Bonetto – nella qualità di artigiano incaricato dall’impresa Borma di Gi..Bo. , subappaltatrice – era caduto da un’impalcatura dall’altezza di dodici metri, riportando gravi danni.
La società Bonetto si costituiva chiedendo il rigetto della domanda nonché di poter chiamare in causa l’impresa Borma, ritenuta unica responsabile dell’accaduto, e la società di assicurazione Allianz subalpina, allo scopo di essere garantita.
Entrambi i chiamati si costituivano, chiedendo il rigetto delle domande proposte nei loro confronti.
Il Tribunale di Padova rigettava la domanda, con compensazione delle spese.
2. La sentenza veniva appellata in via principale dall’INAIL e in via incidentale dal P. e dalla società Allianz.
La Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 12 febbraio 2009, così provvedeva: accoglieva l’appello principale, condannando la società Bonetto a pagare all’INAIL la somma di Euro 131.963,30, oltre interessi e rivalutazione; accoglieva l’appello incidentale del P. e condannava la società Bonetto a pagare allo stesso la somma di Euro 86.322,75, oltre interessi e rivalutazione; accoglieva la domanda proposta dalla società Bonetto nei confronti dell’impresa Borma, che condannava al pagamento, nei confronti della prima, della somma di Euro 87.314,42, oltre interessi e rivalutazione; rigettava la domanda proposta dall’impresa Bonetto nei confronti del P. e della società di assicurazione; provvedeva alla liquidazione delle spese di lite.
Osservava la Corte territoriale, per quanto di interesse in questa sede, che la domanda di manleva proposta dalla società Bonetto nei confronti dell’impresa del Bo. doveva essere considerata ammissibile, poiché la relativa eccezione di prescrizione era stata sollevata dal Bo. solo in secondo grado, e quindi tardivamente.
Ciò premesso, la Corte procedeva alla ricostruzione dei fatti ed alla conseguente attribuzione di responsabilità, rilevando che il P. era caduto dal tetto dell’edificio oltrepassando un parapetto alto metri 1,10, composto da montanti in legno e sormontato da cemento per circa 15-25 centimetri; tale parapetto era stato realizzato dalla società Bonetto su richiesta del Bo. . Era altresì pacifico che il P. era sprovvisto di cinture di sicurezza. Ora, pur non risultando applicabile, in relazione al rapporto tra la società Bonetto ed il danneggiato, la norma dell’art. 2087 cod. civ., l’eventuale omissione e la violazione di norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro rimaneva comunque valutabile nel caso specifico, ai sensi del principio generale di cui all’art. 2043 del codice civile.
In conclusione, quindi, la Corte attribuiva la responsabilità dell’evento dannoso, a titolo di colpa, nella misura del 60 per cento a carico della società Bonetto e del residuo 40 per cento a carico dell’impresa Boromello. Provvedeva, quindi, a fissare la somma per la quale l’INAIL poteva surrogarsi (danno patrimoniale) nei confronti della società Bonetto, riconosceva a favore del P. l’ulteriore somma di Euro 86.322,75 a titolo di danno biologico, e condannava l’impresa Boromello alla rifusione, in favore della società Bonetto, del 40 per cento della somma complessiva che questa avrebbe dovuto pagare all’INAIL.
3. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia propone ricorso principale la s.n.c. Pietro Bonetto, con atto affidato a due motivi.
Resistono, con separati controricorsi, l’INAIL, P.C. e Bo.Gi. ; quest’ultimo con atto contenente ricorso incidentale affidato a due motivi.
C..P. resiste con controricorso al ricorso incidentale del Bo. .
La s.n.c. Bonetto e l’INAIL hanno presentato memorie.
Motivi della decisione
I due ricorsi sono riuniti, avendo ad oggetto la medesima sentenza (art. 335 cod. proc. civ.).
1. Occorre preliminarmente rilevare che nel ricorso incidentale si eccepisce la presunta tardività del ricorso principale, siccome spedito per la notifica in data 6 aprile 2010 dall’Avv. O.R. in proprio, notifica giunta a destinazione il successivo 9 aprile 2010. Ritiene il ricorrente incidentale che la previsione dell’art. 149, ultimo comma, cod. proc. civ. – secondo cui la notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, con la consegna del plico all’ufficiale giudiziario – non troverebbe applicazione nel caso di notifica curata direttamente dal difensore, ai sensi della legge 21 gennaio 1994, n. 53, ipotesi nella quale il procedimento dovrebbe considerarsi concluso solo con la consegna dell’atto al destinatario.
1.1. Tale eccezione non è fondata.
Questa Corte, infatti, ha ribadito in più occasioni che, in tema di notificazione a mezzo del servizio postale, il principio, derivante dalla sentenza n. 477 del 2002 della Corte costituzionale, secondo cui la notificazione a mezzo posta deve ritenersi perfezionata per il notificante con la consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario, ha carattere generale, e trova pertanto applicazione anche nell’ipotesi in cui la notifica a mezzo posta venga eseguita, anziché dall’ufficiale giudiziario, dal difensore della parte ai sensi dell’art. 1 della legge n. 53 del 1994, essendo irrilevante la diversità soggettiva dell’autore della notificazione, con l’unica differenza che alla data di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario va in tal caso sostituita la data di spedizione del piego raccomandato, da comprovare mediante il riscontro documentale dell’avvenuta esecuzione delle formalità richieste presso l’ufficio postale, non estendendosi il potere di certificazione, attribuito al difensore dall’art. 83 cod. proc. civ., alla data dell’avvenuta spedizione, e non essendo una regola diversa desumibile dal sistema della legge n. 53 del 1994 (sentenze 30 luglio 2009, n. 17748, e 20 febbraio 2013, n. 4242).
Nella specie, il ricorso è stato spedito dall’Avv. Roberto Orfeo, debitamente autorizzato dal Consiglio dell’ordine di Padova, tramite il servizio postale in data 6 aprile 2010, ultimo giorno per la proponibilità del ricorso, essendo stata depositata la sentenza d’appello in data 19 febbraio 2009; il che comporta che l’eccezione è priva di fondamento.
2. Venendo al merito, con il primo motivo del ricorso principale si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1655, 2043, 2087 e 2222 del codice civile.
Rileva la società ricorrente che l’infortunio occorso al P. trae origine dallo svolgimento di un’attività che essa ricorrente aveva concluso con l’impresa di Gi..Bo. , la quale aveva il ruolo di subappaltatrice; quest’ultima, quindi, avendo assunto l’onere di svolgimento del lavoro di impermeabilizzazione con mezzi propri ed in piena autonomia, era da ritenere responsabile esclusiva ai sensi dell’art. 1655 del codice civile. La società Bonetto, committente, “non si era ingerita, né poteva ingerirsi” nell’esecuzione di tale lavoro, come la stessa Corte d’appello ha riconosciuto nel rilevare che tra la società Bonetto ed il P. non poteva applicarsi l’art. 2087 cod. civ., stante l’assenza di un contratto di lavoro subordinato.
Pertanto, la Corte territoriale avrebbe errato nel riconoscere una concorrente responsabilità a carico della società Bonetto, dovendosi ritenere esclusivo responsabile il subappaltatore Bo. .
2.1. Il motivo non è fondato.
La giurisprudenza di questa Corte ha affermato in più occasioni che in tema di appalto è di regola l’appaltatore che risponde dei danni provocati a terzi ed eventualmente anche dell’inosservanza della legge penale durante l’esecuzione del contratto, attesa l’autonomia con cui egli svolge la sua attività nell’esecuzione dell’opera o del servizio appaltato, organizzandone i mezzi necessari, curandone le modalità ed obbligandosi a fornire alla controparte l’opera o il servizio cui si era obbligato, mentre il controllo e la sorveglianza del committente si limitano all’accertamento e alla verifica della corrispondenza dell’opera o del servizio affidato all’appaltatore con quanto costituisce l’oggetto del contratto.
In tale contesto, pertanto, una responsabilità del committente nei riguardi dei terzi risulta configurabile solo allorquando si dimostri che il fatto lesivo sia stato commesso dall’appaltatore in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente stesso (sentenze 23 marzo 1999, n. 2745, e 2 marzo 2005, n. 4361), oppure quando sia configurabile in capo al committente una culpa in eligendo per aver affidato il lavoro ad impresa che palesemente difettava delle necessarie capacità tecniche, ovvero in base al generale principio del neminem laedere di cui all’art. 2043 cod. civ. (sentenze 6 agosto 2004, n. 15185, e 27 maggio 2011, n. 11757).
Tali affermazioni valgono anche in caso di subappalto, in quanto il subappaltatore, anche se attua lavori in precedenza appaltati ad altri, assume con l’autonoma gestione del lavoro la piena responsabilità di quanto si svolge nel luogo di lavoro, al punto che l’eventuale ingerenza dell’appaltatore esclude la responsabilità del subappaltatore soltanto se questi divenga un suo mero esecutore (sentenza 15 ottobre 2007, n. 21540).
D’altra parte, però, questa Corte ha anche insegnato, proprio in relazione alla sicurezza nei cantieri di lavoro, che sussiste l’obbligo per il committente, nella cui disponibilità permane l’ambiente di lavoro, di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità e la salute dei lavoratori, ancorché dipendenti dall’impresa appaltatrice, consistenti nell’informazione adeguata dei singoli lavoratori, nella predisposizione di tutte le misure necessarie al raggiungimento dello scopo e nella cooperazione con l’appaltatore per l’attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi sia al luogo di lavoro sia all’attività appaltata; sicché l’omissione di cautele da parte dei lavoratori non è idonea ad escludere il nesso causale rispetto alla condotta colposa del committente che non abbia provveduto all’adozione di tutte le misure di prevenzione rese necessarie dalle condizioni concrete di svolgimento del lavoro (sentenza 20 ottobre 2011, n. 21694, ripresa dalle ancor più recenti sentenze 5 luglio 2013, n. 14207, e 9 agosto 2013, n. 19081).
Non può, quindi, trarsi da tali principi il convincimento che debba essere necessariamente escluso il concorso di responsabilità tra committente ed appaltatore ovvero – come nel caso di specie – tra appaltatore e subappaltatore (v., al riguardo, il caso di cui alla sentenza 19 aprile 2006, n. 9065), dovendosi aver riguardo alla specificità dei singoli episodi ed alle modalità con le quali si è verificato l’evento dannoso. Ed è appena il caso di notare che la legislazione più recente – benché non applicabile alla fattispecie ratione temporis – è andata evolvendo nel senso di una crescente attenzione al problema della sicurezza sul lavoro, riconoscendo il principio della solidarietà tra committente ed appaltatore per tutti i danni subiti dal lavoratore che non risultino indennizzati dall’INAIL (art. 7 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, art. 1, comma 910, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, art. 26, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81).
2.2. La Corte d’appello, con accertamento di fatto supportato da adeguata motivazione priva di vizi logici, ha posto in evidenza che la società Bonetto stava svolgendo lavori in appalto per la realizzazione di un centro commerciale; che, nell’ambito degli stessi, aveva subappaltato il lavoro di impermeabilizzazione di un lastrico solare all’impresa di Gi..Bo. , la quale aveva materialmente incaricato il P. ; e che durante lo svolgimento del lavoro il P. , privo di cinture di sicurezza e di altri dispositivi di protezione, era caduto dall’impalcatura alta dodici metri, riportando gravi danni.
La Corte territoriale ha perciò riconosciuto un concorso colposo in capo all’appaltatore ed al subappaltatore, provvedendo al riparto percentuale delle singole responsabilità.
Ha osservato la Corte, in particolare, che, poiché il P. era di fatto abilitato ad accedere al cantiere della società Bonetto, egli avrebbe dovuto “trovare in loco tutte le provvidenze necessarie a garantirgli di lavorare in condizioni di sicurezza”, per cui la società Bonetto avrebbe dovuto provare, semmai, che dell’apprestamento delle necessarie cautele contro gli infortuni era stata gravata l’impresa Bo. nella qualità di subappaltatrice. Tale onere non era stato assolto, anzi risultava dagli atti che il parapetto era stato realizzato dalla società Bonetto, la quale non aveva provato né che lo stesso fosse di garantita solidità, né che la caduta potesse essere ricondotta in via esclusiva alla disattenzione del lavoratore P. .
D’altra parte anche il Bo. , che aveva chiamato il P. ad eseguire il lavoro, aveva comunque l’onere di indicargli “i rischi specifici esistenti nell’ambiente di lavoro e la necessità di servirsi dei mezzi di protezione messi a disposizione, ovvero ancora di segnalare all’appaltatore B. le deficienze dei dispositivi già esistenti e di richiederne di più appropriati”, tanto più che la vittima era un lavoratore con scarsa esperienza.
Simile ricostruzione in fatto, cui ha fatto seguito il riparto delle responsabilità nei termini già riportati, ha condotto la Corte di merito a valutazioni giuridiche del tutto coerenti con le premesse, che sono in questa sede da ribadire. In relazione al profilo specifico della responsabilità della società Bonetto, ricorrente principale, la Corte di merito ha richiamato il principio del neminem laedere, osservando che, in rapporto al tipo di lavoro e al fatto che il cantiere era stato predisposto dalla società Bonetto ed era comunque nella sua disponibilità, non poteva ritenersi venuta meno la responsabilità dell’appaltatore (subcommittente rispetto all’impresa Bo. ).
Data la correttezza dell’inquadramento giuridico e la rigorosa ricostruzione in fatto, il primo motivo del ricorso principale è rigettato.
3. Con il secondo motivo del ricorso principale si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Osserva la ricorrente che la sentenza impugnata sarebbe priva di coerenza logica nella parte in cui ha ritenuto dimostrata una decisiva circostanza, e cioè che l’impalcatura dalla quale era caduto il lavoratore fosse stata costruita dalla società Bonetto, su richiesta dell’impresa Bo. . In realtà, invece, tale circostanza non era stata affatto provata, sicché veniva meno ogni elemento rilevante al fine di riconoscere la sussistenza di un illecito imputabile, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., alla società ricorrente. Oltre a ciò, la Corte territoriale avrebbe errato anche nell’affermare che il P. sia caduto dall’impalcatura a causa del cedimento del parapetto, mentre l’infortunato era caduto per mancanza delle cinture di sicurezza.
3.1. Il motivo non è fondato.
Si tratta, com’è agevole intuire, di una doglianza che, attraverso l’apparente censura del vizio di motivazione, tenta di ottenere da questa Corte una nuova e diversa ricostruzione e valutazione dei fatti, con ciò andando ben oltre i limiti del presente giudizio di legittimità.
Il ricorso per cassazione, infatti, conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (sentenza 16 dicembre 2011, n. 27197). Ne consegue che il vizio di omessa o insufficiente motivazione deducibile in sede di legittimità sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa (sentenze 23 dicembre 2009, n. 27162, 18 marzo 2011, n. 6288, e 21 febbraio 2013, n. 4366).
4. Occorre procedere, a questo punto, all’esame del ricorso incidentale.
Con il primo motivo il controricorrente Bo. lamenta che la Corte d’appello abbia deciso nel merito – anziché dichiararla inammissibile – la domanda c.d. di manleva avanzata in primo grado dalla società Bonetto. Quest’ultima, infatti, aveva chiesto che il giudizio fosse esteso all’impresa Boromello, ritenendola responsabile esclusiva dell’evento; ma tale domanda impropriamente definita di manleva – non era stata fatta oggetto di appello incidentale, sicché doveva ritenersi implicitamente rinunciata. Ne consegue che la Corte d’appello avrebbe dovuto dichiarare inammissibile ogni pretesa nei confronti del Bo. .
4.1. Il motivo non è fondato.
Per giurisprudenza pacifica di questa Corte, la parte vittoriosa nel giudizio di primo grado, difettando del relativo interesse, non ha l’onere di proporre appello incidentale per far valere le domande e le eccezioni non accolte e, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 cod. proc. civ., può limitarsi a riproporle, mentre l’onere di avanzare appello incidentale sussiste solo nei confronti della parte rimasta parzialmente soccombente (Sezioni Unite, sentenza 24 maggio 2007, n. 12067, confermata dalle successive sentenze 26 novembre 2010, n. 24021, e 14 marzo 2013, n. 6550).
Nel caso specifico, poiché la domanda risarcitoria era stata rigettata dal Tribunale di Padova, la società Bonetto era vincitrice in primo grado; e poiché la stessa ricorrente incidentale ammette che la società Bonetto aveva riproposto la domanda, senza però proporre appello incidentale (p. 7 del controricorso), ne consegue che nessuna rinuncia era configurabile né, tantomeno, una qualche inammissibilità della domanda risarcitoria nei confronti dell’impresa Boromello.
5. Con il secondo motivo del ricorso incidentale si lamenta che la Corte territoriale abbia erroneamente attribuito il quaranta per cento della responsabilità dell’accaduto all’impresa Boromello. Si rileva che, anche volendo riconoscere la sussistenza di una concorrente responsabilità dell’impresa artigiana che aveva dato l’incarico al P. , questa non potrebbe essere mai simile a quella dell’impresa appaltatrice, in quanto priva di autonomia organizzativa nella gestione del lavoro. Si chiede, quindi, che la sentenza venga cassata, con riconoscimento del carattere esclusivo o, comunque, largamente prevalente della responsabilità della società Bonetto.
5.1. Il motivo non è fondato.
È evidente, infatti, che, una volta riconosciuta la correttezza della ricostruzione operata dalla Corte territoriale in ordine alla sussistenza di una responsabilità sia dell’appaltatore che del subappaltatore (primo motivo del ricorso principale), la misura concreta del riparto tra le rispettive percentuali appartiene ad una valutazione di esclusiva competenza del giudice di merito, che ha argomentato sul punto in modo corretto e privo di vizi logici. Ipotizzare, da parte di questa Corte, una diversa suddivisione della responsabilità equivale a pretendere un nuovo giudizio, che esula completamente dai poteri del giudice di legittimità. E, d’altra parte, anche i relativi quesiti dimostrano in modo palese che il ricorrente incidentale cerca di ottenere da questa Corte una più favorevole ricostruzione del fatto dannoso e delle conseguenze giuridiche del medesimo.
6. In conclusione, il ricorso principale e quello incidentale sono entrambi rigettati.
A tale esito segue la condanna della parte ricorrente principale alla rifusione, in favore dei controricorrenti INAIL e P. , delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in conformità ai soli parametri introdotti dal decreto ministeriale 20 luglio 2012, n. 140, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.
Tali spese vanno invece compensate tra ricorrente principale e ricorrente incidentale, attesa la reciproca soccombenza.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale e quello incidentale; condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di cassazione nei confronti dei controricorrenti INAIL e P. , liquidate per ciascuno in complessivi Euro 8.700,00, di cui Euro 200,00, per spese, oltre accessori di legge; compensa le spese del giudizio di cassazione tra ricorrente principale e ricorrente incidentale.