REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 9370/09, proposto dalla Confederazione Italiana della Proprietà edilizia (Confedilizia), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Vittorio Angiolini e Paolo Panariti e con questi elettivamente domiciliata in Roma, via Celimontana n. 38, presso lo studio dell’avv. Panariti,
contro
il Ministero dello sviluppo economico, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato presso i cui Uffici in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, è per legge domiciliato, nonché
nei confronti di
UNI – Ente Nazionale Italiano di Unificazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio,
e con l’intervento di
ad adiuvandum:
del decreto 23 luglio 2009 del Ministro delle attività produttive, avente ad oggetto “Miglioramento della sicurezza degli impianti ascensoristici anteriori alla direttiva 95/16/CE”, nonché di ogni atto antecedente e presupposto, esecutivo, attuativo, conseguenziale e comunque connesso;
per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia,
del decreto 23 luglio 2009 del Ministro delle attività produttive, avente ad oggetto “Miglioramento della sicurezza degli impianti ascensoristici anteriori alla direttiva 95/16/CE”, nonché di ogni atto antecedente e presupposto, esecutivo, attuativo, conseguenziale e comunque connesso.
Visti il ricorso ed i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dello sviluppo economico;
Visto l’atto di intervento ad adiuvandum dell’Assoutenti Onlus – Associazione Nazionale Utenti dei Servizi Pubblici;
Viste le memorie prodotte dalle parti in causa costituite a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 25 marzo 2010 il Consigliere Giulia Ferrari; uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;
Svolgimento del processo
1. Con ricorso notificato in data 11 novembre 2009 e depositato il successivo 20 novembre 2009 la Confederazione Italiana della Proprietà edilizia (Confedilizia) impugna il decreto 23 luglio 2009 del Ministro delle attività produttive, avente ad oggetto “Miglioramento della sicurezza degli impianti ascensoristici anteriori alla direttiva 95/16/CE”, e ne chiede l’annullamento.
Espone, in fatto, che con decreto del Ministro delle attività produttive del 26 ottobre 2005 si era tentato di imporre retroattivamente l’applicazione della normativa UNI EN 8180 sugli ascensori. La sospensiva, richiesta dalla stessa Confederazione che aveva immediatamente impugnato detto decreto, era stata respinta dal Tar Lazio sul rilievo che l’atto impugnato non avrebbe potuto sortire effetto perché avrebbe rinviato all’adozione di un successivo decreto dirigenziale la determinazione delle modalità di svolgimento delle verifiche ed i criteri generali delle prescrizioni di adeguamento. Detto decreto non fu mai adottato, con la conseguenza che il D.M. del 26 ottobre 2005 non ha mai prodotto effetti, pur non essendo stato annullato in autotutela.
L’impugnato decreto, che non richiama il precedente decreto ministeriale né per superarlo né per coordinarsi con esso, applica retroattivamente le norme tecniche UNI EN 880. Il decreto del 2009 impone ai proprietari degli edifici di concordare l’effettuazione di verifiche straordinarie in occasione della verifica periodica dell’impianto già programmata, al fine di individuare prescrizioni di interventi di adeguamento, a loro volta da attuare entro termini prefissati. Tali verifiche straordinarie e prescrizioni di interventi di adeguamento non sono finalizzate ad un controllo tecnico di sicurezza più specifico o più approfondito di quelli ordinari, ma solo alla “realizzazione di un’analisi delle situazioni di rischio presenti nell’impianto per la quale può essere utilizzata la norma di buona tecnica più recente”. In altri termini, si è inteso imporre, come era stato tentato di fare già nel 2005, indipendentemente da una valutazione di affidabilità effettiva, l’adeguamento di ogni impianto, anche da tempo installato, a specifiche tecniche sopravvenute come quelle dettate dalla normativa UNI EN 8180.
2. Avverso il predetto provvedimento la ricorrente è insorta deducendo:
a) Violazione e falsa applicazione art. 17 L. n. 400 del 1988, in relazione all’art. 5 D.P.R. n. 162 del 1999.
Non essendo “norme autorizzate”, le norme UNI EN 8180 avrebbero solo potuto, secondo l’art. 5, terzo comma, D.P.R. n. 162 del 1999, essere pubblicate con “regolamento” adottato con decreto ministeriale, seguendo la procedura dettata dall’art. 17, quarto comma, L. n. 400 del 1988. Nel caso di specie l’impugnato decreto non è individuato come “regolamento” e non è stato preceduto dall’acquisizione del parere del Consiglio di Stato.
2) Violazione e falsa applicazione art. 5 D.P.R. n. 162 del 1999, in relazione ai principi sulla pubblicità delle fonti del diritto ed al’art. 23 Cost..
L’impugnato decreto, in violazione dell’art. 5 D.P.R. n. 162 del 1999, non ha pubblicizzato e reso conoscibile alla generalità degli utenti la normativa tecnica. La predetta normativa UNI EN 8180, alla quale si devono adeguare gli ascensori, resta di proprietà dell’UNI, che ne può concedere a pagamento la licenza, peraltro circoscritta all’uso di una sola copia e con divieto di riproduzione, anche non integrale, che non sia ad esclusivo uso del cliente.
3) Violazione e falsa applicazione artt. 5 e 14 all.to I al D.P.R. n. 162 del 1999, in relazione artt. 17 L. n. 400 del 1988 ed all’art. 23 Cost., Sviamento ed eccesso di potere.
Non essendo una normativa “armonizzata”, per l’art. 5, terzo comma, D.P.R. n. 162 del 1999 dovrebbe al più valere come “norma tecnica nazionale” di carattere prudenziale, in quanto serva al rispetto dei requisiti essenziali di sicurezza di cui all’all.to I. In contrasto con detti principi il decreto ministeriale impone, invece, l’adeguamento degli ascensori alla normativa UNI EN 8180 in maniera assoluta e incondizionata, comminando in via sanzionatoria il fermo dell’impianto e senza circoscrivere l’applicazione della stessa normativa né distinguere le previsioni a seconda che siano collegate o meno con i requisiti essenziali di sicurezza di cui all’all.to I.
Illegittimamente, inoltre, la verifica straordinaria è imposta per impianti invariati e funzionanti, al di fuori delle previsioni di cui all’art. 14 D.P.R. n. 162 del 1999, e dunque in palese violazione dell’art. 17 L. n. 400 del 1988 sulla prevalenza dei regolamenti governativi su quelli ministeriali, solo per giustificare un eventuale successivo fermo dell’impianto e mettere le spese per la stessa “verifica straordinaria” totalmente a carico del proprietario, in spregio dell’art. 23 Cost.
d) Violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 19 D.P.R. n. 162 del 1999, in relazione alla direttiva comunitaria 95/16/CE – Sviamento ed eccesso di potere.
L’utilizzo nel tempo della normativa UNI EN 8180 non può discostarsi dal disposto dell’art. 19 D.P.R. n. 162 del 1999, il quale prescrive che fino alla data del 30 giugno 1999 è consentito commercializzare e mettere in servizio, oltre ai componenti di sicurezza, gli ascensori conformi alle norme vigenti fino alla data di entrata in vigore del regolamento. L’illegittimità del decreto impugnato è tanto più grave in quanto il principio di irretroattività delle specifiche tecniche sulla sicurezza degli ascensori è stato sancito dal D.P.R. n. 162 del 1999, in pedissequa esecuzione degli obblighi comunitari nascenti dall’art. 15 della direttiva 95/16/CE, secondo cui “gli Stati membri ammettono, sino al 30 giugno 1999, la commercializzazione e la messa in servizio di ascensori…. conformi alle normative vigenti nel loro territorio alla data di adozione della presente direttiva”.
e) Violazione e falsa applicazione dell’art. 17 L. n. 400 del 1988, in relazione all’art. 3 L. n. 241 del 1990 – Carenza ed insufficienza della motivazione – Eccesso di potere.
Ai sensi dell’art. 17, terzo comma, L. n. 400 del 1988, atti normativi di rango regolamentare possono essere emessi da singoli Ministri quando la legge espressamente conferisce loro tale potere. La stessa disposizione dell’art. 5, terzo comma, D.P.R. n. 162 del 1999 è illegittima, e quindi da disapplicare, laddove, senza che ciò abbia fondamento nella legge, deferisce al regolamento ministeriale di emettere norme tecniche nazionali in assenza di norme armonizzate.
3. Il Ministero dello sviluppo economico si è costituito in giudizio ed ha sostenuto l’infondatezza del ricorso.
4. Si è costituita in giudizio, con atto di intervento ad adiuvandum, l’Assoutenti Onlus – Associazione Nazionale Utenti dei Servizi Pubblici, che ha sostenuto la fondatezza del ricorso.
5. L’UNI – Ente Nazionale Italiano di Unificazione non si è costituita in giudizio.
6. Con memorie depositate alla vigilia dell’udienza di discussione le parti costituite hanno ribadito le rispettive tesi difensive.
7. Alla Camera di consiglio del 10 dicembre 2009, sull’accordo delle parti, l’esame dell’istanza di sospensione cautelare è stato abbinato al merito.
8. All’udienza del 25 marzo 2010 la causa è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione
1. Fondata, ed assorbente di ogni altro motivo di doglianza, è la censura di violazione e falsa applicazione dell’art. 17, l. 23 agosto 1988 n. 400, nella parte in cui detta le regole alle quali l’Autorità emanante è obbligata ad attenersi nel procedimento di formazione dei regolamenti amministrativi. Nel caso in esame è infatti documentato, e non è neppure contestato, che non è stato acquisito il previo parere obbligatorio del Consiglio di Stato e non è stata neppure riportata nella intestazione dell’impugnato provvedimento la denominazione “regolamento”, come invece prescritto dalla norma innanzi richiamata.
Non può essere seguita l’Amministrazione intimata allorché, nel tentativo di neutralizzare la portata della censura in esame, afferma, ma senza offrire alcuna argomentazione a supporto della tesi avanzata, che l’impugnato D.M. non sarebbe un regolamento, ma un atto amministrativo generale, sottratto in quanto tale alle formalità di cui al cit. art. 17. E’ agevole infatti opporre che per atto amministrativo generale deve intendersi quello che si limita a dare attuazione al dettato di norme giuridiche preesistenti ed indirizzate ad una pluralità indeterminata di soggetti. Tale qualificazione non può essere ragionevolmente riconosciuta al decreto impugnato atteso che lo stesso, lungi dal limitarsi a svolgere detta funzione, crea norme nuove, con esse imponendo ai suoi destinatari obblighi patrimoniali pesantissimi e permanenti, gravemente sanzionati in caso di inadempimento, ma del tutto privi del necessario supporto normativo.
Tale supporto non può infatti essere ravvisato nell’art. 15, comma 2, della direttiva n. 95/16/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, né tanto meno nell’art. 19, d.P.R. 30 aprile 1999 n. 162 (che del primo si limita a riprodurre integralmente il testo). La direttiva, se correttamente letta, ha imposto la soggezione alle prescrizioni da essa dettate solo per le operazioni di commercializzazione e di messa in servizio degli ascensori effettuate a partire dal 30 giugno 1999, mentre per quelle antecedenti ha lasciato liberi gli Stati membri di continuare ad applicare la normativa nazionale vigente nei rispettivi territori.
Né il necessario supporto normativo potrebbe essere individuato nella Raccomandazione n. 95/216/CE, al quale l’impugnato D.M. fa espresso richiamo, per almeno due ragioni: innanzi tutto perché la raccomandazione non costituisce fonte di diritto, in quanto priva di carattere imperativo; in secondo luogo perché, a differenza della direttiva, non impegna gli Stati membri, i quali restano del tutto liberi di recepire o non i suoi suggerimenti.
2. Dalla riconosciuta fondatezza della censura finora esaminata deriva, come corollario obbligo, analogo riconoscimento per le censure dedotte, con il secondo motivo di ricorso, avverso l’impugnato decreto, nella parte in cui esso impone ai privati proprietari pesanti prestazioni personali e patrimoniali al di fuori di qualsiasi prescrizione legislativa e soprattutto lascia ampio spazio nella loro individuazione ad una associazione privata (l’UNI), alle cui libere determinazioni, assunte nel tempo e finalizzate ad un continuo adeguamento delle tecniche di valutazione dei rischi degli impianti, da essa imposte, dipende la loro progressiva quantificazione e i vantaggi economici che l’associazione ne ricava. La riprova della anomala e ingiustificata posizione di vantaggio che ad essa si è ritenuto di assicurare, in danno dei proprietari, è già nell’obbligo fatto ai privati proprietari di acquisire, ad un prezzo esoso, limitatamente ad una sola copia del cartaceo recante il testo delle norme tecniche da osservare ed “ad esclusivo uso del cliente”, la licenza da parte dell’UNI ad utilizzare la normativa tecnica da essa prediposta, di cui è ritenuta proprietaria e che per questa ragione non è pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, come sarebbe doveroso per ogni normativa che alla collettività si impone di applicare.
3. Ma ciò che al Collegio preme sottolineare è che dall’esame complessivo delle censure dedotte e della documentazione depositata risulta con palese evidenza l’illegittimità sotto tutti profili del decreto impugnato. Ed invero l’ordinamento vigente già impone ai proprietari di immobili dotati di ascensori due verifiche annuali e una straordinaria ad opera di tecnici specializzati ed autorizzati, con i relativi costi di non limitato livello. Per effetto del decreto impugnato a detto sistema, niente affatto abrogato ma tuttora vigente e cogente, ora se ne sovrappone un altro motivato con riferimento alla migliore qualità che garantirebbero le tecniche UNI, come se la loro applicazione non potesse essere imposta ai tecnici che effettuano i primi controlli. In sostanza si mantiene in piedi un sistema, della cui efficacia si dubita, ma che obbliga i suoi operatori a segnalare immediatamente eventuali difetti dell’ascensore ai relativi proprietari perché provvedano ad eliminarli, e ad esso se ne sovrappone un altro, che introduce un’ulteriore verifica. Il primo controllore è controllato dal secondo, senza che sia neppure stabilito, in caso di esiti diversi, a quale dei due i privati proprietari devono conformarsi.
Ma ciò che colpisce, nell’esame dell’intera vicenda, è che con palese sviamento di potere l’impugnato decreto non è stato affatto adottato al fine di garantire una più efficace tutela contro i rischi connessi all’uso dell’ascensore. La riprova della fondatezza del rilievo è nello stesso provvedimento, nel quale è detto chiaramente che l’obiettivo perseguito dal Governo è quello di “rilanciare l’edilizia” e quindi di fronteggiare la crisi, che essa attualmente attraversa, “anche” con la messa in sicurezza degli impianti tecnologici all’interno degli edifici, e “fra questi l’ascensore” in quanto “indispensabile mezzo di trasporto”.
La nuova normativa viene quindi imposta non per colmare evidenti carenze nell’attuale sistema di sicurezza, ma per finalità occupazionali, cioè per salvare posti di lavoro, senza preoccuparsi delle ricadute gravissime che tale politica ha sull’economia delle famiglie. La riprova è nel fatto che il precedente decreto ministeriale 26 ottobre 2005, a Motivi: fronte delle reazioni dell’opinione pubblica, non è stato mai attuato e neppure abrogato, sicchè attualmente convivono due provvedimenti di identico contenuto.
4. Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere accolto e, per l’effetto, deve essere annullato l’impugnato provvedimento.
Quanto alle spese di giudizio, può disporsene l’integrale compensazione fra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sezione III Ter,
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.
Compensa integralmente tra le parti in causa le spese e gli onorari del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.