Cass. civ. Sez. II, 11/03/2010, n. 5897

Le norme in materia di distanze legali, in quanto rivolte a regolare i rapporti tra proprietà autonome e contigue, sono applicabili nei rapporti tra i proprietari di unità immobiliari in un edificio in condominio soltanto quando siano compatibili con quelle particolari relative all’uso delle cose comuni e che in caso di contrasto prevalgono queste ultime, rispetto alle quali le prime si trovano in relazione di subordinazione.

Svolgimento del processo

Il Condominio (OMISSIS) ed i singoli condomini C.A., C.R. ed L.A. con ricorso del 22 gennaio 2002, premesso che O.A., proprietario nel condominio di un appartamento al piano terra e dello spiazzo ad esso antistante, aveva realizzato su quest’ultimo un’impalcatura in ferro in violazione del regolamento condominiale, del decoro h/ architettonico del complesso condominiale e dello spazio aereo insistente sul suolo comune, domandarono al Presidente del locale Tribunale la reintegrazione e/o manutenzione nel possesso del diritto “di godere della libertà degli spazi aerei posti tra l’edificio condominiale ed il vialone comune” e “di guardare dall’edificio condominiale altri spazi comuni”, e che all’ O. fosse ordinato di rimuovere l’opera.

Resistette il convenuto ed il Tribunale con ordinanza del 28 giugno 2002 accolse la domanda dei ricorrenti e condannò l’ O. alla immediata rimozione dell’impalcatura ed al ripristino dello stato dei luoghi, costituendo l’opera una costruzione e non osservando la stessa le distanze imposte dallo strumento urbanistico.

L’ordinanza, impugnata dall’ O., venne riformata il 9 settembre 2004 dalla Corte di appello di Salerno, che, in accoglimento del gravame, rigettò le domande del Condominio e dei condomini, osservando che lo spiazzo antistante l’abitazione del convenuto era adibito a giardino e che l’opera del convenuto non poteva essere qualificata costruzione, trattandosi di una struttura in ferro con funzione di sostegno delle fronte di un vicino albero di limone inidonea a creare intercapedini nocive, e che il pergolato con essa realizzato non alterava il decoro architettonico del complesso condominiale, perchè collocato in una zona “tutta occupata da giardini e verde”, e dalla c.t.u. e dagli altri atti del processo non risultava lesivo del diritto di veduta degli altri condomini.

Il Condominio, la C.A., il C.R. ed il L. sono ricorsi con due motivi per la cassazione della sentenza e l’intimato O. non ha svolto attività difensiva in giudizio.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, il ricorso denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 873 c.c., e dei principi generali in materia di distanze tra le costruzioni e per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, avendo escluso la natura di costruzione dell’opera del convenuto e l’obbligo del rispetto delle distanze previste dalla strumento urbanistico, nonostante avesse descritto il manufatto come “una struttura di sei piastrini in ferro, avente l’altezza apicale di m. 2,52, stabilmente fissata al suolo per essere bullonata alla base con relativi profilati di ferro cementati nel terreno” e, in senso contrario, nessun rilievo potessero assumere la sua funzione di “supporto ornamentale del giardino”, la mancanza di volumetria e l’inidoneità a creare intercapedini nocive.

Il motivo è infondato.

Il giudice di primo grado, pur avendo i ricorrenti lamentato la lesione del possesso del godimento degli spazi aerei posti tra l’edificio condominiale ed il vialone comune e della possibilità di osservare dall’edificio gli spazi comuni, si è pronunciato sulla diversa questione se l’opera del convenuto avesse turbato il loro possesso del godimento delle distanze legali tra le costruzioni e dalle vedute, e nei medesimi termini la controversia, in difetto di impugnazione sul punto, è stata decisa in secondo grado e va esaminata dunque in sede di legittimità. La giurisprudenza di questa Corte ha da tempo affermato il principio che le norme in materia di distanze legali, in quanto rivolte a regolare i rapporti tra proprietà autonome e contigue, sono applicabili nei rapporti tra i proprietari di unità immobiliari in un edificio in condominio soltanto quando siano compatibili con quelle particolari relative all’uso delle cose comuni e che in caso di contrasto prevalgono queste ultime, rispetto alle quali le prime si trovano in relazione di subordinazione (cfr.: Cass. civ., sez. 2′, sent. 9 ottobre 1998, n. 9995).

A tale principio si è adeguata la sentenza di secondo grado, la quale, evidenziato che l’opera costituiva la struttura di un pergolato ed aveva la funzione ornamentale di sostenere le fronde di un albero di limoni vegetante nel giardino del convenuto e che la zona nella quale insisteva era tutta occupata da giardini e verde, ha escluso che la sua realizzazione nella proprietà esclusiva del condomino a distanza dall’edificio condominiale inferiore a quella legale avesse comportato un’alterazione della destinazione od un pregiudizio delle cose comuni e del decoro architettonico del fabbricato.

Insindacabile, inoltre, per la sua sufficienza ed assenza di vizi logici è la motivazione che sorregge l’applicazione del principio, nonostante la lamentata esclusione della qualità di costruzione ad un’opera in profilati metallici stabilmente infissa al suolo, giacchè il giudice ha direttamente esaminato la documentazione esibita ed espressamente valutato le caratteristiche tanto del manufatto, sottolineando l’assenza di una struttura volumetrica, perchè aperta sia nei lati eterni che nella parte superiore, e la mancata creazione con essa di intercapedini, quanto del complesso condominiale, evidenziando l’inserimento del pergolato in un contesto ambientale omogeneo e lo svolgimento in esso di una funzione ornamentale.

Con il secondo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., ed omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo, avendo negato che l’opera ledesse il decoro architettonico dell’immobile ed impedisse le vedute esercitate dagli appartamenti, benchè il c.t.u. avesse affermato che “effettivamente l’opera realizzata dal resistente altera il de coro architettonico del complesso condominiale, nonchè ostacola l’esercizio delle vedute ai condomini proprietari degli appartamenti posti al primo e secondo piano della stessa verticale di quello del resistente stesso”.

Il motivo, che anche quanto alla violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., rileva nei limiti in cui si risolve in un vizio di motivazione (cfr.: Cass. civ., sez. 1′, sent. 20 giugno 2006, n. 14267), è infondato.

Nella sua prima parte, perchè l’indagine volta a stabilire se la specifica ed armonica fisionomia di un edificio o delle sue singole parti sia stata in concreto alterata e pregiudicata dall’opera realizzata da un condomino, tenuto conto della sua visibilità e della correlata esistenza di un danno economico valutabile, costituisce un apprezzamento di fatto del giudice di merito e nella specie, lo stesso non è censurabile in sede di legittimità, avendo egli adeguatamente e logicamente motivato con il richiamo al carattere ornamentale del pergolato ed al suo inserimento in una zona occupata a giardini e verde oltre che il suo convincimento, anche il suo dissenso dal giudizio meramente estetico espresso in contrario dal c.t.u..

Nella seconda, in quanto il richiamo all’ostacolo alle vedute di altri condomini non attinge nella sua genericità la ratto deciderteli della sentenza, che ha escluso l’acquisizione al processo della prova che l’opera violasse le distanze prescritte dagli artt. 905 e 906, c.c..

All’infondatezza di entrambi i motivi segue il rigetto del ricorso.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2010

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *