Cassazione civile , sez. II, 17 giugno 2010 , n. 14626

Qualora una norma del regolamento di condominio vieti le innovazioni che modifichino l’architettura, l’estetica o la simmetria del fabbricato, essa non solo contribuisce a definire la nozione di decoro architettonico formulata dall’art. 1132 c.c., ma recepisce anche un autonomo valore nel senso che il decoro architettonico del fabbricato condominiale in questione è qualificato da elementi attinenti alla simmetria, all’estetica e all’architettura generale impressi dal costruttore o comunque esistenti al momento dell’esecuzione dell’innovazione, sicché l’alterazione di esso è ravvisabile in conseguenza della menomazione anche di uno solo dei predetti elementi.

Fatto

Con separati atti di citazione notificati il 16 dicembre 1997, il Condominio di (OMISSIS), detto Condominio (OMISSIS), posto in (OMISSIS), frazione (OMISSIS), conveniva in giudizio, dinanzi alla Pretura di Mondovì, i condomini P.G. e D.S. P.A., da un lato, e B.A. e P.B. G., dall’altro, per sentirli condannare alla rimozione delle finestre che costoro avevano aperto su facciate condominiali di due distinti corpi di fabbrica, all’interno di due mansarde, deducendone la contrarietà al disposto dell’art. 11 del regolamento condominiale, che vietava di apportare varianti che potessero alterare la stabilità, l’estetica, il decoro e la simmetria dell’edificio.

I convenuti resistevano eccependo che l’amministratore non era stato autorizzato all’azione da alcuna delibera dell’assemblea condominiale e che, nel merito, le aperture eseguite non arrecavano pregiudizi di alcun genere al fabbricato comune.

Riunite le due cause, il Tribunale di Mondovì (nelle more divenuto competente ai sensi del D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51) accoglieva la domanda di condanna alla rimessione in pristino e compensava le spese.

La Corte di Torino, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 16 settembre 2004, ha respinto l’appello principale di P.G. ed altri e dichiarato inammissibile l’appello incidentale del Condominio, ponendo le spese del grado a carico degli appellanti in via principale.

In ordine alla legittimazione attiva dell’amministratore, la Corte territoriale ne ha riconosciuto la sussistenza, rilevando che nel caso di specie l’amministratore ha agito contro taluni di essi per la violazione del regolamento condominiale posto a tutela della conservazione delle parti comuni dell’edificio, ed escludendo che le azioni conservative cui è legittimato l’amministratore, senza il bisogno di previo mandato dell’assemblea, siano solo quelle a carattere cautelare.

Nel merito, la Corte subalpina ha evidenziato che le finestre in questione, pur non deturpando le facciate esterne dei due fabbricati, non ne conservano l’originaria simmetria; e, sul presupposto della maggiore estensione dell’art. 11 del regolamento condominiale rispetto al tenore dell’art. 1120 cod. civ., ha ritenuto, confermando la decisione del Tribunale, l’illegittimità delle modifiche apportate dai convenuti.

Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello, notificata il 23 dicembre 2004, hanno proposto ricorso, con atto notificato il 4 febbraio 2005, P.G. e D.S.P.A., B.A. e P.B.G., sulla base di tre motivi.

Ha resistito, con controricorso, il Condominio, il quale, a sua volta, ha proposto ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo.

Al ricorso incidentale hanno resistito, con controricorso, P. G. e gli altri intimati indicati in epigrafe.

In prossimità dell’udienza i ricorrenti in via principale e controricorrenti al ricorso incidentale hanno depositato una memoria illustrativa.

Diritto

1. – Preliminarmente, il ricorso principale ed il ricorso incidentale devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., essendo entrambe le impugnazioni riferite alla stessa sentenza.

2. – Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1130, 1131 e 1132 cod. civ., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto della legittimazione processuale dell’amministratore di condominio di edifici) si lamenta che la Corte d’appello abbia ritenuto legittimamente proposta l’azione esercitata dal Condominio, pur essendo l’amministratore privo di regolare specifico mandato dell’assemblea. Sostengono i ricorrenti che le azioni a difesa dei diritti dei condomini sulle parti comuni di un edificio non rientrano tra gli atti meramente conservativi e cautelari e che la rappresentanza ope legis dell’amministratore è esclusa per le azioni di riduzione in pristino nei confronti dei singoli condomini.

3. – Il motivo è privo di fondamento.

L’amministratore del condominio è legittimato, senza la necessità di una specifica autorizzazione dell’assemblea, ad agire in giudizio nei confronti dei singoli condomini e dei terzi al fine di: a) eseguire le deliberazioni dell’assemblea del condominio e curare l’osservanza del regolamento di condominio; b) disciplinare l’uso delle cose comuni cosi da assicurarne il godimento a tutti i condomini; c) riscuotere dai condomini i contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea; d) compiere gli atti conservativi inerenti alle parti comuni dell’edificio.

Menzionando gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni, l’art. 1130 cod. civ., n. 4, non si riferisce soltanto alle misure cautelari, ma anche a tutti gli atti diretti a conservare l’esistenza delle parti comuni.

La giurisprudenza di questa Corte, infatti, ha riconosciuto la legittimazione attiva dell’amministratore ad agire in giudizio senza l’autorizzazione dell’assemblea: per conseguire la demolizione della soprelevazione realizzata in violazione delle prescrizioni e delle cautele fissate dalle norme speciali antisismiche (Cass., Sez. Un., 8 marzo 1986, n. 1552); per ottenere la rimozione di alcuni vani costruiti sull’area solare dell’ultimo piano (Sez. 2^, 21 marzo 1969, n. 907); per conseguire la demolizione della costruzione effettuata, anche alterando l’estetica della facciata dell’edificio, sulla terrazza di copertura (Sez. 2^, 12 ottobre 2000, n. 13611); in via possessoria, contro la sottrazione, ad opera di taluno dei condomini, di una parte comune dell’edificio al compossesso di tutti i condomini (Sez. 2^, 3 maggio 2001, n. 6190; Sez. 2^, 15 maggio 2002, n. 7063);

per chiedere il risarcimento dei danni, qualora l’istanza appaia connessa con la conservazione dei diritti sulle parti comuni (Sez. II, 22 ottobre 1998, n. 10474).

Da tanto consegue che l’amministratore è legittimato, senza necessità di autorizzazione dell’assemblea dei condomini, ad instaurare il giudizio per la rimozione di finestre da taluni condomini aperte abusivamente, in contrasto con il regolamento, sulla facciata dello stabile condominiale, perchè tale atto, diretto a preservare il decoro architettonico dell’edificio contro ogni alterazione dell’estetica dello stesso, è finalizzato alla conservazione dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio, e pertanto ricade, ai sensi dell’art. 1130 cod. civ., n. 4, tra le attribuzioni dell’amministratore.

4. – Il secondo motivo prospetta “omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia prospettato dalle parti; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1120 e 1122 cod. civ., in relazione all’interpretazione del regolamento di condominio”.

Premesso che la norma del regolamento vieta di “fare allo stabile, comprese le parti di personale proprietà, lavori” e di “apportare varianti che possano comunque alterarne la stabilità, l’estetica, il decoro e la simmetria o in qualsiasi altro modo recare pregiudizio ai comproprietari”, i ricorrenti contestano che le modifiche apportate alle finestre della mansarde ricadano in alcun modo nelle ipotesi sanzionate da tale disposizione. L’affermazione del consulente tecnico d’ufficio secondo cui la forma trapezoidale della finestra si rivelerebbe estranea all’armonia della facciata, non terrebbe conto del criterio che, a livello di mansarda, la finestra trapezoidale costituisce un sistema costruttivo architettonico molto diffuso e presente in molte costruzioni della zona, che concilia esigenze funzionali con criteri estetici. Sarebbe altresì illogica la distinzione, operata dalla Corte territoriale, tra decoro ed estetica, essendo il primo elemento comprensivo della seconda. Nè sarebbe giustificata una interpretazione della normativa regolamentare nel senso di dettare requisiti per le innovazioni più severi in punto di estetica di quanto previsto dalla legge.

Con il terzo mezzo (violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1363 e 1366 cod. civ., in relazione alla interpretazione del regolamento di condominio e degli artt. 1120 e 1122 cod. civ., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia) si lamenta che la Corte territoriale non abbia dato alcuna rilevanza al fatto che l’ampliamento apportato dai ricorrenti alle finestre in questione si è reso necessario per rendere l’immobile abitabile sotto il profilo della legislazione edilizio-sanitarla. Di ciò avrebbe dovuto tenere conto la Corte d’appello, giacchè le norme sia di legge che del regolamento condominiale andrebbero interpretate secondo buona fede.

Gli artt. 1120 e 1121 cod. civ. – si osserva – rappresentano un compromesso tra il diritto di proprietà del singolo condomino e i diritti del condominio, nel senso che il diritto del singolo potrebbe essere compresso e limitato a favore del condominio solo nel caso in cui gli altri condomini ricevano un danno dal comportamento del singolo. Diversamente, si finirebbe per consentire al condominio comportamenti meramente emulativi.

5. – Entrambi i motivi – i quali possono essere esaminati congiuntamente, data la loro stretta connessione – sono infondati.

Questa Corte ha già statuito che, poichè le norme del regolamento di condominio di natura negoziale possono derogare o comunque integrare la disciplina legale, deve ritenersi che qualora una norma del regolamento di condominio vieti le innovazioni che modifichino l’architettura, l’estetica o la simmetria del fabbricato, essa non solo contribuisce a definire la nozione di decoro architettonico formulata dall’art. 1120 cod. civ., ma recepisce anche un autonomo valore (dandone una definizione più rigorosa), nel senso che il decoro architettonico del fabbricato condominiale in questione è qualificato da elementi attinenti alla simmetria, estetica ed architettura generale impressi dal costruttore o comunque esistenti al momento dell’esecuzione dell’innovazione, sicchè l’alterazione di esso è ravvisabile in conseguenza della menomazione anche di uno solo dei predetti elementi (Cass., Sez. 2^, 28 novembre 1987, n. 8861; Cass., Sez. 2^, 6 ottobre 1999, n. 11121).

Muovendo da tale principio di diritto, la Corte territoriale – interpretando, con congrua motivazione, esente da vizi logici e giuridici, il regolamento condominiale – ha accertato che esso ha esteso il divieto di immutazione sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all’estetica, all’aspetto generale dell’edificio; e – alla stregua della disposta c.t.u. – ha argomentatamente rilevato (con un accertamento di fatto che resiste alle censure articolate dai ricorrenti) che le finestre in questione, pur non deturpando le facciate esterne dei due fabbricati, non ne conservano l’originaria simmetria, essendo estranee per forma, disegno e posizione rispetto all’armonia delle facciate medesime, e pertanto hanno una incidenza negativa dal punto di vista estetico.

Non hanno rilievo nè l’accampato frequente impiego della forma trapezoidale delle finestre in molte costruzioni della zona o la circostanza che le aperture realizzate si siano rese necessarie per rendere le mansarde dei condomini ricorrenti abitabili.

Invero, una volta che il regolamento contrattuale di origine contrattuale abbia configurato il concetto di decoro architettonico in maniera più pregnante, dandone una definizione più rigorosa di quella accolta dall’art. 1120 cod. civ., si da includervi la conservazione degli originari valori estetico-simmetrici del fabbricato, la compromissione (accertata dal giudice del merito) dei rapporti di simmetria derivanti dall’apertura, sulla facciata esterna, di finestre di forma trapezoidale, disarmoniche rispetto all’estetica dell’edificio, non è impedita nè dal fatto che detta forma sia frequentemente impiegata in interventi similari, posto che la legittimità dell’opera prescinde dalla rispondenza della soluzione tecnica adottata all’interesse del condomino che l’adotta o a generali ed astratti standards costruttivi; nè dalla necessità dell’opera per rendere abitabile la porzione (nella specie, sottotetto) di proprietà del singolo condomino, giacchè l’illegittimità di un’opera lesiva dell’interesse dei partecipanti al condominio non è preclusa dal vantaggio personale che il proprietario abbia a trarre dalla trasformazione edilizia della propria porzione.

6. – Con l’unico motivo di ricorso incidentale (motivazione insufficiente e/o contraddittoria su un punto decisivo della controversia; violazione delle norme di diritto inerenti al principio della soccombenza in tema di ripartizione delle spese processuali), il Condominio sostiene che erroneamente la Corte territoriale avrebbe ritenuto inammissibile l’appello incidentale sul regolamento delle spese di primo grado.

7. – La doglianza è inammissibile, perchè, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (tra le tante, Cass., Sez. 5^, 16 aprile 2003, n. 6055; Cass., Sez. Un., 28 luglio 2005, n. 15781), il Condominio non riportai negli esatti termini le ragioni spiegate a sostegno del motivo di appello.

8. – Entrambi i ricorsi sono rigettati.

Le spese del giudizio di cassazione – liquidate come da dispositivo – devono essere poste a carico dei ricorrenti in via principale, stante il loro maggior grado di soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta entrambi. Condanna i ricorrenti in via principale, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dal Condominio, che liquida in complessivi Euro 1.900,00 di cui Euro 1.700,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2010

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