Cass. civ. Sez. II, 24-06-2009, n. 14786
In tema di installazione di un ascensore in una chiostrina ad opera di alcuni condomini, occorre premettere che è legittimo, ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., sia l’utilizzazione della cosa comune da parte del singolo condomino con modalità particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione, purché nel rispetto delle concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri condomini, sia l’uso più intenso della cosa, purché non sia alterato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari, dovendosi a tal fine avere riguardo all’uso potenziale in relazione ai diritti di ciascuno nel rispetto del principio generale di cui all’art. 1102 cod. civ. D’altra parte, la trasformazione della cosa comune nell’interesse esclusivo di alcuni condomini e con pregiudizio del diritto di godimento della stessa anche di un solo condomino, configura l’innovazione vietata dall’art. 1120 cod. civ., comma 2, atteso che in tal caso: a) l’uso del bene avviene in violazione del limite sancito dall’art. 1102 cod. civ., di non alterare la destinazione naturale ed esorbita dal novero delle modifiche consentite al condomino, dovendo peraltro intendersi per innovazione in senso tecnico-giuridico non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l’entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria; b) le innovazioni che comportano la compromissione dei diritti degli altri condomini sono vietate ai sensi dell’art. 1120 c.c., comma 2, in quanto rendono il bene inservibile all’uso comune, dovendo qui considerarsi che la condizione di inservibilità del bene comune all’uso o al godimento anche di un solo condomino è riscontrabile anche nel caso in cui l’innovazione produca una sensibile menomazione dell’utilità che il condomino precedentemente ricavava dal bene.Non può al riguardo neppure richiamarsi la disposizione di cui alla L. n. 13 del 1989, art. 2, comma 1, che in tema di innovazioni idonee “ad eliminare le barriere architettoniche” prevede per facilitare il raggiungimento della maggioranza un abbassamento del quorum che sarebbe richiesto per le innovazioni, richiamando quelli di cui all’art. 1136 c.c., commi 2 e 3. Infatti l’art. 2, comma 3 citato fa salvo il disposto dell’art. 1120 c.c., comma 2, e art. 1121 c.c., comma 3, così escludendo la deroga al divieto delle innovazioni pregiudizievoli.
Sentenza per esteso:
Svolgimento del processo
L.V. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Roma il Condominio dello stabile sito in (OMISSIS) esponendo che: l’istante era proprietario dell’appartamento contraddistinto dall’interno tre di detto condominio; con Delib. 28 marzo 2001, l’assemblea del Condominio, alla quale non aveva partecipato, aveva deliberato, in accoglimento della proposta avanzata dalla condomina G., di consentire ai condomini B. e G. la installazione a loro spese di un ascensore nella chiostrina dell’edificio secondo il progetto di massima allegato al verbale, ed invitare il condomino T. a comunicare a quale prezzo sarebbe stato disposto a vendere la sua cantina, necessaria perchè l’installando ascensore potesse partire da terra e non, come dal progetto, dal primo pianerottolo.
Premesso che la realizzazione dell’impianto comportava danno a beni e servizi comuni, e che in ogni caso era compromesso e violato il suo diritto come condomino e come proprietario esclusivo dell’appartamento, impugnava la anzidetta delibera nel punto attinente all’impianto dell’ascensore,deducendo che l’assemblea aveva deliberato con la partecipazione di cinque condomini, dei quali peraltro soltanto due avevano diritto al voto, essendo gli altri portatori di interessi in conflitto con quelli del Condominio.
Il Condominio, costituendosi in giudizio,chiedeva il rigetto della domanda.
Con sentenza depositata il 20 gennaio 2003 il Tribunale rigettava la domanda proposta dall’attore.
Con sentenza dep. il 1 marzo 2006 la Corte di Roma, in riforma della sentenza impugnata dal L. ..accoglieva la domanda dichiarando la nullità della delibera impugnata.
Dopo avere ritenuto inammissibili e comunque ultronee le istanze istruttorie formulate dal Condominio soltanto nel giudizio di gravame, i giudici di appello rilevavano che, anche a voler prescindere dall’eccepito conflitto di interessi di tre partecipanti all’assemblea che pronunciò la delibera (conflitto peraltro sussistente….), la delibera impugnata non verteva sulla eliminazione delle barriere architettoniche di proprietà condominiale ma aveva ad oggetto la realizzazione di un ascensore nell’interesse esclusivo di due condomini non portatori di handicap, che avrebbe occupato con carattere di realità in modo stabile ed esclusivo una parte del cortile condominiale in violazione degli artt. 1102 e 1120 cod. civ., comprimendo i diritti del L. a godere della colonna d’aria e di luce nonchè del diritto di veduta su di esso esercitato dalle finestre del bagno e della cucina del suo appartamento; inoltre, l’impianto avrebbe comportato la chiusura definitiva delle finestre del vano scala che sarebbe stato privato di luce ed aria.
Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il Condominio dello stabile sito in (OMISSIS) sulla base di dieci motivi.
Resiste con controricorso l’intimato.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente,lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ., censura la decisione impugnata che aveva ritenuto inammissibili i mezzi istruttori articolati in sede di gravame, quando invece gli stessi erano stati già dedotti nel giudizio di primo grado con le memorie depositate ex art. 184 cod. proc. civ..
Con il secondo motivo il ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 345 e 184 cod. proc. civ., deduce che le istanze istruttorie erano preordinate a dimostrare quanto era stato dedotto da esso ricorrente che aveva contestato la natura di vedute delle aperture dell’appartamento dell’attore sulla chiostrina, che erano da qualificare come luci.
Con il terzo motivo il ricorrente lamentando violazione e falsa applicazione della L. n. 13 del 1989 in relazione alla L. n. 18 del 1971, art. 27, comma 1, censura la sentenza laddove aveva erroneamente ritenuto che la disciplina concernente le agevolazioni in materia di eliminazione delle barriere architettoniche trovano applicazione soltanto qualora nel condominio abitino portatori di handicap. Con il quarto motivo il ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1120 e 1121 cod. civ., artt. 934 e 936 cod. civ., censura la sentenza impugnata che, nel fare riferimento alla circostanza che la realizzazione dell’ascensore nell’interesse esclusivo dei condomini B. e G., avrebbe occupato stabilmente con carattere di realità ima parte del cortile condominiale e della soprastante colonna d’aria, non aveva considerato che nella sostanza la delibera aveva inteso realizzare una innovazione, secondo quanto previsto dagli artt. 1120 e 1121 cod. civ., tenuto conto che per il principio dell’accessione la proprietà dell’opera realizzata sarebbe stata pur sempre del condominio, avendo l’assemblea previsto che le relative spese sarebbero state poste a carico soltanto dei condomini richiedenti che ne avrebbero tratto immediata utilità.
Con il quinto motivo il ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione della L. n. 13 del 1989 in relazione alla L. n. 18 del 1971, art. 27, comma 1, deduce che ove la sentenza impugnata, nell’affermare che la delibera impugnata non avesse avuto ad oggetto la eliminazione delle barriere architettoniche, avesse inteso che in tale previsione non rientrasse la installazione dell’ascensore, tale statuizione sarebbe erronea, perchè la normativa in esame disciplina gli accorgimenti tecnici per l’accesso ai piani superiori, integrando la realizzazione dell’ascensore eliminazione delle barriere architettoniche.
Con il sesto motivo il ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 2373 cod. civ., nonchè omessa motivazione, censura la sentenza qualora si ritenesse che i giudici, nel fare riferimento alla sussistenza di un conflitto fra il condominio e i condomini che nel proprio esclusivo interesse avevano votato in senso favorevole all’approvazione della delibera, avesse inteso porre a base della decisione anche tale affermazione: in tal caso, tale statuizione sarebbe erronea, perchè il condomino che vota in assemblea comunque persegue un proprio interesse, mentre per configurare il conflitto di interesse deve sussistere una divergenza- che nella specie era del tutto insussistente – fra l’interesse del condomino e quello del condominio.
Con il settimo motivo il ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1102, 1120 e 1121 cod. civ., nonchè motivazione omessa ..carente e/o illogica, censura la sentenza impugnata laddove aveva affermato che la installazione del vano cabina e dell’ascensore avrebbe determinato la evidente compressione del godimento della colonna d’aria e di luce, inevitabilmente ridotta; al riguardo deduce che l’artt. 1102 consente di utilizzare la cosa comune anche per un fine particolare e per ritrarre un utilità aggiuntiva con il solo limite che non ne derivi una lesione del pari diritto spettante agli altri condomini; l’art. 1120 cod. civ., consente quelle innovazioni che non elidano totalmente l’uso o il godimento del singolo condomino; la Corte aveva fatto malgoverno delle norme citate apparendo intenderle nel senso che il condomino non potrebbe comunque servirsi della cosa comune, pur se nel rispetto delle condizioni di cui all’art. 1102 cod. civ.; d’altra parte, i giudici avevano omesso ogni motivazione o comunque essa appariva insufficiente in ordine alla circostanza che l’ascensore, che avrebbe occupato un decimo della superficie della chiostrina, avrebbe impedito al L. di utilizzare il bene secondo il proprio diritto; del tutto apodittica era l’affermazione secondo cui la realizzazione di un traliccio aereo, insistente in proiezione su circa un decimo della chiostrina condominiale, avrebbe reso quest’ultima inservibile all’uso o al godimento comune.
Con l’ottavo motivo il ricorrente,lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., nonchè motivazione insufficiente e/o contraddittoria, censura la decisione laddove aveva dapprima apoditticamente qualificato come vedute le aperture del bagno e della cucina dell’appartamento dell’attore e poi contraddittoriamente aveva affermato l’esistenza di un modesto diritto di veduta.
Con il nono motivo il ricorrente,lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 1120 e 1121 cod. civ., nonchè motivazione insufficiente e/o contraddittoria, censura la sentenza impugnata che immotivatamente aveva ritenuto che avessero natura di veduta- e non invece di luci – le finestre sul vano scale, mentre non era stato motivato perchè la realizzazione dell’impianto avrebbe privato di aria e luce il vano scale.
I motivi, essendo strettamente connessi, vanno esaminati congiuntamente.
Va innanzitutto rilevato che la declaratoria di nullità della delibera impugnata si basa sulla illegittimità della progettata installazione dell’ascensore in quanto la realizzazione: a) avrebbe comportato con la installazione della cabina la esclusiva e stabile occupazione della chostrina a vantaggio soltanto dei condomini che ne avrebbero beneficiato; b) avrebbe compresso con il vano ascensore il godimento della colonna d’aria e di luce della chiostrina nella quale sarebbe stato costruito; b) avrebbe determinato la lesione del diritto di veduta esercitato dalle finestre del bagno e cucina dell’appartamento; c) avrebbe determinato la chiusura definitiva delle finestre del vano scala per effetto della collocazione davanti ad esse dell’impianto con conseguente privazione di aria e luce.
Ciò posto, deve innanzitutto ritenersi che il riferimento meramente incidentale compiuto dalla sentenza impugnata alla sussistenza di un conflitto di interessi e alla conseguente invalidità dei voti espressi dai condomini interessati alla realizzazione dell’impianto costituisce una motivazione ad abundantiam che, come tale, non integra una ratio decidendi posta a base della impugnata sentenza, atteso che i giudici hanno ritenuto che la questione era assorbita dall’accoglimento delle altre ragioni che hanno fondato il giudizio di illegittimità della delibera impugnata: pertanto, il ricorrente difetta di interesse a sollevare in proposito censure.
Orbene, va considerato che è legittimo, ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., sia l’utilizzazione della cosa comune da parte del singolo condomino con modalità particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione, purchè nel rispetto delle concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri condomini, sia l’uso più intenso della cosa, purchè non sia alterato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari, dovendosi a tal fine avere riguardo all’uso potenziale in relazione ai diritti di ciascuno nel rispetto del principio generale di cui all’art. 1102 cod. civ..
D’altra parte, la trasformazione della cosa comune nell’interesse esclusivo di alcuni condomini e con pregiudizio del diritto di godimento della stessa anche di un solo condomino, configura l’innovazione vietata dall’art. 1120 cod. civ., comma 2, atteso che in tal caso: a) l’uso del bene avviene in violazione del limite sancito dall’art. 1102 cod. civ., di non alterare la destinazione naturale ed esorbita dal novero delle modifiche consentite al condomino, dovendo peraltro intendersi per innovazione in senso tecnico-giuridico non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l’entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria (Cass. 11936/1999); b) le innovazioni che comportano la compromissione dei diritti degli altri condomini sono vietate ai sensi dell’art. 1120 c.c., comma 2, in quanto rendono il bene inservibile all’uso comune, dovendo qui considerarsi che la condizione di inservibilità del bene comune all’uso o al godimento anche di un solo condomino è riscontrabile anche nel caso in cui l’innovazione produca una sensibile menomazione dell’utilità che il condomino precedentemente ricavava dal bene (Cass. 20639/2005). In proposito occorre considerare che in tema di condominio il giudice di merito deve accertare se l’uso del bene comune da parte di un condomino sia tale da pregiudicare le facoltà di godimento da parte degli altri, verificando se sia violato il principio di solidarietà cui devono essere informati i rapporti condominiali attraverso il contemperamento degli interessi di tutti i condomini ovvero se l’opera integri o meno un innovazione pregiudizievole, accertando se parti del bene comune siano di fatto destinate ad uso e comodità esclusiva di singoli condomini o se il bene, nelle parti residue, sia sufficiente a soddisfare anche le potenziali, analoghe esigenze dei rimanenti partecipanti alla comunione, e che lo stesso, ove tutte le predette esigenze risultino soddisfatte, non perderebbe la sua normale ed originaria destinazione. Ed i giudici di appello hanno compiuto puntualmente tale indagine,avendo verificato che la delibera impugnata aveva ad oggetto l’autorizzazione ad eseguire un opera che:
1) avrebbe comunque comportato la stabile ed esclusiva occupazione da parte di alcuni condomini di una porzione della chiostrina che sarebbe stata così destinata all’uso soltanto dei condomini a vantaggio dei quali sarebbe stato costruito l’impianto; 2) la sottrazione definitiva di parte del suolo comune all’uso della collettività nonchè la realizzazione del vano ascensore avrebbe “conculcato” direttamente ed immediatamente il diritto del condomino dissenziente all’uso della chiostrina a causa della compressione delle facoltà di godimento della colonna d’aria e di luce, così evidentemente ritenendo che, in considerazione delle stesse caratteristiche dell’impianto e della sua ubicazione, si sarebbe verificata la sostanziale compromissione della funzione naturale del bene comune, tenuto conto che le chiostrine sono cortiletti interni, che sono destinati a dare aria e luce all’immobile; 3) l’installazione dell’impianto avrebbe altresì direttamente ed immediatamente comportato la chiusura delle aperture del vano scala, determinando così privazione di aria e luce. In particolare i giudici non hanno condiviso quanto ritenuto dalla decisione di primo grado che aveva ritenuto legittima l’installazione dell’impianto: in tal modo la Corte ha escluso che le sue modeste dimensioni, alle quali aveva fatto riferimento la decisione di primo grado, impedissero di incidere sulla destinazione della cosa comune, avendo ritenuto a stregua di una valutazione comparativa degli interessi dei condomini che i beni comuni non fossero in grado di soddisfare le esigenze degli altri comproprietari di trame utilità secondo la loro destinazione naturale: trattasi di un accertamento di fatto riservato al prudente apprezzamento del giudice di merito che, come tale, è sottratto al sindacato di legittimità se non per vizio di motivazione che nella specie non è configurabile, avendo i giudici considerato, tenuto conto – come già detto – delle caratteristiche dell’impianto e della sua incidenza sulle cose comuni, le conseguenze pregiudizievoli sulle normali facoltà di godimento dei beni medesimi. Ed è senz’altro congrua ed immune da vizi di logicità la motivazione laddove ha ritenuto che la collocazione dell’impianto davanti alle aperture avrebbe privato di aria e luce il vano scala:
del tutto irrilevante appare stabilire se si fosse trattato di luci o di vedute.
Occorre ricordare che il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, atteso che la denuncia di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, attribuisce alla Corte di Cassazione il potere di accertare la correttezza dell’iter logico- giuridico seguito dal giudice esclusivamente attraverso l’analisi del provvedimento impugnato, non essendo compito del giudice di legittimità quello di controllare l’esattezza della decisione o la sua corrispondenza alle risultanze processuali attraverso l’esame e la valutazione degli atti processuali che non sono consentiti alla Corte, ad eccezione dei casi in cui essa è anche giudice del fatto.
Va ancora considerato che, seppure i giudici facevano riferimento anche al carattere di realità della stabile occupazione della chiostrina, riferimento che è certamente erroneo se inteso ad escludere la natura condominiale dell’impianto da realizzare, la sentenza ha ritenuto, proprio ai sensi dell’art. 1120 c.c., comma 2, l’opera una innovazione pregiudizievole dei diritti sulle cose comuni e come tale vietata, non potendo al riguardo neppure richiamarsi la disposizione di cui alla L. n. 13 del 1989, art. 2, comma 1, che in tema di innovazioni idonee “ad eliminare le barriere architettoniche di cui alla L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 27, comma 1, del D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384, art. 14, art. 1, comma 1…” prevede per facilitare il raggiungimento della maggioranza un abbassamento del quorum che sarebbe richiesto per le innovazioni, richiamando quelli di cui all’art. 1136 c.c., commi 2 e 3, e ciò, peraltro, indipendentemente dalla presenza di portatori di handicap, in relazione ai quali è dettata invece la particolare disposizione di cui al secondo comma della norma citata, secondo cui nel caso di rifiuto del condominio di eseguire le opere, viene consentito direttamente al portatore di handicap o chi lo rappresenta di porre in essere una serie di strumenti per ovviare a dette barriere.
Seppure la sentenza aveva erroneamente fatto riferimento alla circostanza che i condomini i quali avevano chiesto l’autorizzazione all’installazione dell’ascensore non erano portatori di handicap, i giudici hanno comunque correttamente affermato che l’art. 2, comma 3 citato fa salvo il disposto dell’art. 1120 c.c., comma 2, e art. 1121 c.c., comma 3, così escludendo la deroga al divieto delle innovazioni pregiudizievoli.
In considerazione delle ragioni che hanno fondato la decisione secondo quanto si è detto sopra e che sono di per sè idonee a sorreggere la motivazione, appare ininfluente verificare la lesione o meno del diritto di veduta esercitato dall’appartamento di proprietà esclusiva dell’attore e quindi accertare se le aperture in questione fossero da considerare luci o vedute, per cui la mancata ammissione delle richieste istruttorie al riguardo articolate dal ricorrente appare del tutto inconferente al fine del decidere, atteso il mutamento di destinazione conseguente alla esclusiva e stabile occupazione di una porzione del bene comune di cui si è detto con compromissione dei diritti di godimento relativi alla chiostrina e al vano scala.
Con il decimo motivo il ricorrente denuncia motivazione assente, laddove la sentenza impugnata aveva ritenuto assorbite tutte le altre, pur fondate, doglianze avanzate dall’appellante.
La censura è inammissibile, posto che il ricorrente non ha interesse ad impugnare una statuizione relativa alle deduzioni formulate dalla controparte e che, in quanto ritenute assorbite dall’accoglimento delle altre doglianze poste a base dell’impugnazione, non erano state accolte con la sentenza impugnata.
Il ricorso va rigettato.
In considerazione della peculiarità della vicenda processuale, che ha portato i giudici di merito a una difforme risoluzione della questione controversa, le spese della presente fase vanno compensate.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 aprile 2009.
Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2009