Corte di Cassazione, sez. III, sentenza 28 settembre 2010, n. 20346

Se l’immobile è affetto da umidità il giudice può decretare il risarcimento danni (dovuti all’ammuffimento dei suppellettili ) in favore dell’inquilino a carico del proprietario, anche quando il locatario risulta sfrattato per non aver pagato i canoni mensili. (Nella specie Il proprietario intimava sfratto per morosità al locatario per essersi autoridotto il canone stabilito e per aver completamente omesso il pagamento nei mesi successivi).

Svolgimento del processo

Antonella Gargiulo intimava sfratto per morosità a Corrado Di Lorenzo per essersi quest’ultimo autoridotto, nel mese di ottobre 1999, il canone pattuito (da lire 600.000 a lire 400.000) e per avere omesso completamente il pagamento dei canoni nei successivi mesi di novembre e dicembre. Con il medesimo atto la Gargiulo citava il Di Lorenzo davanti al Tribunale di Perugia per sentir convalidare lo sfratto ed ottenere l’emissione di un decreto ingiuntivo per il pagamento dei canoni arretrati, per complessive lire 1.400.000. L’intimato si opponeva alla convalida deducendo che l’immobile locatogli era affetto da vizi ed in particolare da umidità. Negava di essersi autoridotto il canone e sosteneva che invece aveva dovuto provvedere alla sostituzione della pompa della caldaia. Il Giudice, preso atto dell’opposizione alla convalida dello sfratto, disponeva la trasformazione del rito. La Gargiulo chiamava in giudizio l’Immobiliare Pastorelli (che aveva realizzato l’immobile) chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per il difetto strutturale riscontrato nell’appartamento e per essere dalla stessa tenuta indenne in caso di sua condanna al risarcimento dei danni in favore del Di Lorenzo. L’immobiliare eccepiva l’inammissibilità e comunque l’infondatezza della domanda di garanzia. Il Tribunale pronunciava la risoluzione del contratto per inadempimento del Di Lorenzo e gli ordinava il rilascio dell’immobile; dichiarava inammissibile la domanda di risarcimento danni proposta in via riconvenzionale dall’attrice; rigettava la domanda di risarcimento danni proposta in via riconvenzionale dal convenuto. Avverso la sentenza proponeva appello il Di Lorenzo. Resistevano la Gargiulo e l’Immobiliare Pastorelli. La Corte d’Appello dichiarava inammissibile la domanda di risoluzione del contratto di locazione proposta soltanto in appello dal Di Lorenzo; condannava la Gargiulo al pagamento della somma onnicomprensiva di euro 2.500,00 in favore del Di Lorenzo. Proponeva ricorso per cassazione Antonella Gargiulo. Resisteva con controricorso e proponeva ricorso incidentale la Immobiliare Pastorelli s.r.l. Non svolgeva attività difensiva Corrado Di Lorenzo.

Motivi della decisione

I ricorsi devono essere previamente riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c. Con il primo motivo del ricorso principale parte ricorrente denuncia «Violazione e falsa applicazione dell’art. 253 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. per illegittima ammissione della prova testimoniale valutativa». Lamenta in particolare la Gargiulo che la Corte d’Appello ha violato l’art. 253 c.p.c. per aver ammesso una prova per testimoni «valutativa», accogliendo come dimostrazione del rapporto eziologico fra condizioni ambientali e danni i meri convincimenti personali dei medesimi testi. In altri termini, secondo la ricorrente, i testimoni non hanno provato né che i danni lamentati erano conseguenza dell’esposizione delle suppellettili all’umidità, né che le stesse fossero state a lungo esposte a tale fenomeno. Il motivo non è autosufficiente: esso infatti non riproduce né i capitoli di prova né le risposte formulate dai testimoni e non consente perciò a questa Corte di valutare se la prova testimoniale contenesse o no un’interpretazione del tutto soggettiva dei fatti di causa, così come affermato dalla stessa Gargiulo. Neppure fondata è la critica alla utilizzazione, da parte della Corte d’Appello, della nozione di “comune esperienza” per accertare il nesso di causalità tra la presenza di umidità e danno. Il ricorso a tale nozione, infatti, attiene all’esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito e pertanto l’uso, sia positivo che negativo, del relativo potere non è sindacabile in sede di legittimità. Né il giudice è tenuto ad indicare gli elementi sui quali la sua determinazione si fonda, essendo invece censurabile l’assunzione, a base della sua decisione, di una inesatta nozione di notorio, da intendere come fatto conosciuto da un uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo (Cass., 20.5.2009, n. 11729; Cass., 12.3.2009, n. 6023). Nella motivazione dell’impugnata sentenza non è dato invece rinvenire una inesatta nozione di notorio, essendo nozione di comune esperienza che gli oggetti conservati in un ambiente ricco di umidità vengano a danneggiarsi. Con il secondo motivo si denuncia «Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia già rilevati dalla parte attuale ricorrente ex art. 360 n. 5 c.p.c.». Sostiene in particolare la Gargiulo: a) che il Di Lorenzo teneva il riscaldamento a temperatura troppo elevata, così favorendo la condensa; b) che tale comportamento integra quanto meno la previsione dell’art. 1227, 2° comma, c.c.; c) che si è tenuto conto delle deposizioni testimoniali di parenti, amici e conoscenti del Di Lorenzo, ma non della deposizione testimoniale resa da Massimo Moretti, medico di famiglia; d) che non si sono indicate le ragioni di tale scelta. Anche questo motivo è infondato. L’art. 116, primo comma, cod. proc. civ. consacra infatti il principio del libero convincimento del giudice, al cui prudente apprezzamento – salvo alcune specifiche ipotesi di prova legale – è pertanto rimessa la valutazione globale delle risultanze processuali, ben potendo egli disattendere taluni elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata (Cass., 13.7.2004, n. 12912). L’impugnata sentenza ha analiticamente valutato le prove testimoniali e la loro attendibilità ed ha altresì rilevato che l’attrice non ha provato ex art. 1578, 2° comma, c.c. di aver ignorato senza colpa i vizi dell’immobile al momento della consegna. Per le ragioni che precedono non si rinvengono pertanto i dedotti vizi di motivazione. Con il primo motivo del ricorso incidentale la Immobiliare Pastorelli s.r.l. denuncia «Violazione e/o falsa applicazione degli art. 91, co. 1, 92, co. 2, 97 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. per illegittima pronuncia sulle spese in difformità del principio di soccombenza – motivazione erronea, illogica, contraddittoria e insufficiente in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.». Sostiene la ricorrente incidentale che l’impugnata sentenza è palesemente errata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91, comma 1, 92 comma 2 e 97 c.p.c. nonché per erroneità dei presupposti su cui si fonda la pronuncia sulle spese. In particolare afferma l’Immobiliare Pastorelli che, non avendo impostato le sue difese in termini di mera adesione alle posizioni della Gargiulo, essa merita un’autonoma valutazione in ordine alla condanna alle spese e l’intera refusione delle stesse in suo favore. Il motivo è infondato. La compensazione totale o parziale delle spese rientra infatti nei poteri discrezionali del giudice purché esse non siano addossate alla parte interamente vittoriosa e non è perciò sindacabile la compensazione totale tra il chiamante e il chiamato in causa per garanzia (Cass., 22.5.1975, n. 2029). Le ragioni sin qui addotte inducono in conclusione a rigettare entrambi i riuniti ricorsi mentre la reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese del processo di cassazione.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta compensando integralmente le spese del processo di cassazione.

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