Per la validità non è necessaria l’esistenza di un rapporto lavorativo fra la società e chi riceve il plico
In materia di notificazione di atti a una persona giuridica, sul piano probatorio opera una presunzione in base alla quale, salvo prova contraria, la persona rinvenuta nella sede della società deve ritenersi addetta alla ricezione degli atti diretti a quest’ultima.
Questo, in sintesi, il principio ricavabile dalla sentenza della Cassazione n. 21942 del 27 ottobre, dove è stata anche ribadita la regola iuris per cui, in nome della tutela dell’affidamento dei terzi, nei casi di divergenza con la sede legale, anche la sede effettiva può essere considerata come valido luogo ove eseguire le notificazioni dirette all’ente.
La vicenda processuale
Una società impugnava dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Salerno alcune cartelle di pagamento relative alla Tarsu, deducendone l’illegittimità in quanto non precedute da valida notificazione degli atti di accertamento presupposti.
Contro la sfavorevole pronuncia di primo grado, l’interessata presentava appello che, peraltro, veniva rigettato.
In particolare, la Commissione tributaria regionale rilevava che gli avvisi di accertamento erano stati validamente notificati presso la sede sociale, a mani di persona ivi rinvenuta e qualificatasi come “consulente addetto alla sede”.
La sentenza di secondo grado veniva quindi impugnata in sede di legittimità, dove veniva riproposto il motivo dell’invalidità della notifica dell’atto di recupero tributario, affermandosi, in particolare, che la persona che aveva ricevuto i plichi, indicata nella relata di notificazione come “consulente”, non aveva in realtà alcun rapporto con la società.
Inoltre, veniva eccepita la circostanza (già sollevata nei gradi di merito) che comunque la notificazione in questione era stata eseguita in un luogo non corrispondente con la sede legale della persona giuridica.
I principi enunciati dalla Cassazione
Con la sentenza in rassegna, la Suprema corte ha rigettato entrambe le doglianze, confermando la legittimità del recupero d’imposta.
Quanto al luogo in cui la notificazione era stata effettuata, i giudici hanno richiamato la regola, già sostenuta da consolidata giurisprudenza, secondo cui, pur dovendo privilegiarsi, nell’interpretazione dell’articolo 46 del codice civile (il cui secondo comma prevede che “Nei casi in cui la sede stabilita ai sensi dell’articolo 16 o la sede risultante dal registro è diversa da quella effettiva, i terzi possono considerare come sede della persona giuridica anche quest’ultima”), il criterio dell’effettività della sede, deve peraltro tenersi conto della tutela dell’affidamento dei terzi che impone, nei casi di divergenza tra sede legale e sede effettiva, di considerare anche la seconda come sede sociale.
Quanto al soggetto abilitato a ricevere l’accertamento fiscale in nome e per conto della persona giuridica, la Corte suprema, sul rilievo che la relata di notifica dell’atto in questione indicava che il soggetto che aveva ricevuto il plico era persona “addetta alla sede”, ha osservato che, in presenza di una siffatta situazione, opera il principio secondo cui, per la validità della notificazione, “non è necessario un rapporto lavorativo, ma un mandato anche provvisorio a ricevere la corrispondenza…”.
Inoltre, puntualizza la sentenza in rassegna, quando la notifica diretta all’ente viene eseguita presso la sede sociale, sotto il profilo probatorio opera anche la presunzione in base alla quale “deve ritenersi che la persona rinvenuta nella sede della società, legale o effettiva, sia addetta alla ricezione degli atti diretti alla persona giuridica”.
Considerazioni
Il primo comma dell’articolo 145 cpc stabilisce che la notificazione alle persone giuridiche si esegue “nella loro sede mediante consegna di copia dell’atto al rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa…”.
In merito alle notificazioni eseguite a soggetti qualificati come “incaricati alla ricezione” ovvero “addetti alla sede”, un costante orientamento, ribadito dalla sentenza 21942/2010, del giudice di legittimità ritiene che, nel caso in cui la notificazione sia stata eseguita presso la sede sociale, la legittimazione alla ricezione si presume per il solo fatto – risultante dalla relata redatta dall’ufficiale notificatore – della presenza del soggetto consegnatario in tale luogo nonché dell’avvenuta accettazione dell’atto, mentre incombe sul destinatario l’onere della prova contraria (Cassazione, sentenze 2208/2006, 16102/2007, 29879/2008, 19582/2009 e 22342/2009).
La stessa giurisprudenza appena richiamata ha altresì specificato (e la pronuncia in rassegna conferma anche questo ulteriore principio) che, in queste ipotesi, è sufficiente che il consegnatario sia legato alla persona giuridica da un rapporto che, non dovendo essere necessariamente di prestazione lavorativa, può risultare anche dall’incarico, eventualmente provvisorio o precario, di ricevere la corrispondenza.
Quanto alla prova contraria, secondo la Cassazione, il destinatario dell’atto, oltre a dover provare l’insussistenza di qualsiasi rapporto di natura lavorativa con la società, deve altresì dimostrare che il consegnatario non è neppure addetto alla sede per non averne mai ricevuto incarico alcuno (sentenze 12754/2005 e 5762/2004).
La pronuncia che si commenta ribadisce, infine, il principio per il quale la notificazione di un atto tributario eseguita presso la sede “effettiva” anziché presso la sede legale è comunque valida, in quanto, anche nella materia delle notificazioni, vale la regola per la quale, laddove la sede legale della società sia diversa da quella effettiva, i terzi possono considerare sede anche quest’ultima (Cassazione, sentenze 3620/2004, 2671/2005, 17590/2009 e 24622/2008, commentata in FiscoOggi del 13 ottobre 2008).
Fonte: nuovofiscoggi
Segue il testo integrale della sentenza:
Cass. civ. Sez. V, Sent., 27-10-2010, n. 21942
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PLENTEDA Donato – Presidente
Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere
Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere
Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
TORREFAZIONE SARACENO CAFFE’ – LE TERRAZZE S.R.L. Elettivamente domiciliata in Roma, Via Ottorino Lazzarini, n. 19, nello studio dell’Avv. Maria Teresa D’Urso; rappresentata e difesa dall’Avv. D’URSO MARIO, giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI AGROPOLI, in persona del Sindaco p.t. elettivamente domiciliato in Roma, via Valadier, n. 39, nello studio dell’Avv. Vincenzo Sabia; rappresentato e difeso dall’Avv. D’AMBROSIO SAVERIO, giusta procura speciale a margine dalla comparsa in data 12.11.2009;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, Sezione distaccata di Salerno, n. 103/4/04, depositata in data 5 agosto 2004;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del dal consigliere Dott. Pietro Campanile;
Udita per la società ricorrente l’Avv. Modestino Acone, munito di delega, che ha chiesto l’accoglimento de ricorso;
Udito per il Comune di Agropoli l’Avv. Saverio D’Ambrosio, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso;
Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto Dott. Umberto Apice, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1.1 La S.r.l. Torrefazione Saraceno Caffè – Le Terrazze (d’ora in poi, “Torrefazione”) impugnava nei confronti del Comune di Agropoli le cartelle di pagamento relative alla TARSU per gli anni compresi fra il 1995 e il 1999, deducendone in primo luogo l’invalidità, in quanto non precedute da valida notificazione degli avvisi di accertamento, ed eccependo, comunque, l’infondatezza della pretesa.
1.2 – La Commissione tributaria provinciale di Salerno, con sentenza n. 101/17/2002, rigettava il ricorso.
1.3 – La Commissione tributaria regionale della Campania, con la sentenza indicata in epigrafe, confermava la decisione di primo grado, condannando la società appellante al pagamento delle spese processuali.
Veniva affermato, in particolare, che gli avvisi di accertamento erano stati validamente notificati presso la sede legale della società, ed a mani di persona qualificatasi come “consulente addetta alla sede”. 1.4 Avverso tale decisione La S.r.l. Torrefazione ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, illustrati con memoria.
Si è difeso con controricorso il Comune di Agropoli.
Motivi della decisione
2.1.1 – Deve procedersi, in primo luogo, all’esame dell’eccezione pregiudiziale, sollevata dalla ricorren-te nella propria memoria, inerente alla tardività della notifica e del deposito del controricorso del Comune. L’eccezione è infondata, in quanto, consentendo la natura procedurale del vizio denunciato l’esame degli atti processuali, va constatato che, essendo stato il ricorso notificato il 7 settembre 2005, e decorrendo il dies a quo per la notifica del controricorso (tenendo conto del periodo di sospensione feriale dei termini) dal 6 ottobre 2005, il termine previsto dall’art. 370 c.p.c., comma 1, risulta rispettato, poichè il controricorso risulta notificato (mediante consegna all’ufficiale giudiziario) in data 17 ottobre 2005.
Positivamente verificato risulta altresì il rispetto del termine per il deposito di detto controricorso, effettuato il successivo 3 novembre.
2.1.2 – Del pari infondata è l’eccezione concernente la mancata produzione della delibera a stare in giudizio per il Comune di Agropoli: soccorre in proposito il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui nel nuovo sistema istituzionale e costituzionale degli enti locali, salve diverse previsioni dello Statuto, è attribuita al sindaco l’esclusiva titolarità del potere di rappresentanza processuale del Comune, ai sensi del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 50 (T.U. leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267) cosicchè competente a conferire al difensore del Comune la procura alle liti è soltanto il sindaco, non essendo necessaria l’autorizzazione della giunta municipale ai sensi del disposto dell’art. 47 dello stesso testo normativo (Cass., n. 10099/07; Cass. SS.UU. n. 12868/2005, 186/2001).
In ogni caso, è stato altresì precisato che l’indicazione, nella procura rilasciata dal sindaco, dell’esistenza di una delibera e dei suoi estremi, deve ritenersi sufficiente ai fini della legittimazione, senza che tale delibera debba essere esaminata, divenendo ciò necessario solo nell’ipotesi in cui sia esplicitamente e specificatamente contestata l’esistenza di essa o la sua validità e la contestazione sia tempestiva, non essendo il giudice tenuto a svolgere di sua iniziativa accertamenti in ordine alla effettiva esistenza della qualità spesa dal rappresentante e dovendo egli solo verificare se il soggetto che ha dichiarato di agire in nome e per conto della persona giuridica abbia anche asserito di farlo in una veste astrattamente idonea ad abilitarlo alla rappresentanza processuale della persona giuridica stessa (Cass., 3 dicembre 2008, n. 28662). Tanto premesso, rileva la Corte che nel controricorso la delibera, adottata in data 11 ottobre 2005 (vale a dire in data anteriore al rilascio della procura) è stata opportunamente richiamata, a tacere del fatto che risulta depositata in copia entro il termine previsto dall’art. 372 c.p.c..
2.2.1 – Con il primo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione in relazione alla ritenuta validità delle notificazioni degli avvisi di accertamento, mentre con il secondo motivo si denuncia violazione degli art. 145 c.p.c., art. 46 c.c., e art. 2475 c.c., n. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
Si afferma, in particolare, che la società Torrefazione, all’epoca in cui vennero effettuate le notificazioni (novembre 1999) si era trasferita in una sede diversa da quella in cui le stesse vennero eseguite, pur “regolarizzando formalmente tale situazione con atto notarile registrato in data 14 febbraio 2000”. Si aggiunge che la persona che aveva ricevuto i plichi, indicata come consulente, non aveva in realtà alcun rapporto con la società.
Detti motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, in considerazione della loro intima connessione, sono infondati.
2.2.2 – Deve in primo luogo constatarsi l’insussistenza della denunciata carenza motivazionale.
Benvero nella sentenza impugnata, ancorchè in maniera concisa, vengono chiaramente indicate le ragioni in base alle quali le notificazioni degli avvisi di accertamento vengono considerate valide, sia perchè effettuate “presso la sede legale della società, in via (OMISSIS), quale risultava al momento della notifica”, sia perchè eseguite “nella mani di persona, tale G.I., qualificatasi come addetta alla sede”.
Quanto al primo profilo, è agevole constatare che nel ricorso, in cui si da atto, come sopra evidenziato, che il luogo della notificazione degli avvisi corrispondeva alla sede legale della società, in quanto il trasferimento della sede legale sarebbe stato non solo pubblicizzato, ma perfino deliberato in epoca successiva alla notifica. Soccorre, in proposito, il principio secondo cui, nel regime vigente in epoca anteriore alle modificazioni introdotte dal D.Lgs. n. 5 del 2003, alle società a responsabilità limitata il coordinato disposto degli artt. 2436 e 2494 c.c., prescriveva, in caso di adozione di modificazioni statutarie, la pubblicazione sul Bollettino ufficiale delle società per azioni e a responsabilità limitata “del testo integrale dell’atto modificato nella sua redazione aggiornata”. L’art. 2457 ter c.c., commi 1 e 2, disciplinava il regime di opponibilità ai terzi degli atti per i quali era prevista la pubblicazione, con l’effetto che, mentre dopo quindici giorni dalla pubblicazione la modificazione statutaria era opponibile ai terzi iuris et de iure, prima di quel termine l’atto era inopponibile solo se il terzo dimostrava di non averne avuto conoscenza, restando nell’ipotesi estrema della mancata pubblicazione e, comunque, per il tempo che l’aveva preceduta, l’inopponibilità, sino a quando la società non dimostrava la conoscenza del terzo (Cass., 5 febbraio 2009, n. 2835; Cass., 23 marzo 2001, n. 4180).
Non può omettersi di considerare, del resto, che la sempre maggiore prevalenza accordata, nella interpretazione dell’art. 46 c.c., al principio dell’effettività della sede, deve pur sempre coordinarsi con la tutela dell’affidamento dei terzi, ragion per cui, in caso di divergenza dalla sede legale da quella effettiva, la prima non può considerarsi esautorata, essendo consentita una mera equiparazione, come, del resto, suggerisce il tenore del capoverso della norma testè citata (“Nei casi in cui la sede stabilita ai sensi dell’art. 16 o la sede risultante dal registro è diversa da quella effettiva, i terzi possono considerare come sede della persona giuridica anche quest’ultima”), fra le due sedi (Cass., 5 maggio 2009, n. 10307;
Cass., 24 febbraio 2004, n. 3620; Cass., 28 luglio 2000, n. 9978).
2.2.3 – Quanto al secondo profilo, premesso che dalla relata di notifica risulta che tale G., consulente, fosse “addetta alla sede”, deve richiamarsi il principio secondo cui non è necessario un rapporto lavorativo, ma un mandato, anche provvisorio, a ricevere la corrispondenza (Cass., 21 ottobre 2009, n. 22342; Cass., 10 settembre 2009, n. 19582, Cass., 19 dicembre 2008, n. 29879).
Non può omettersi di rimarcare, sotto il profilo probatorio, la presunzione in base alla quale deve ritenersi che la persona rinvenuta nella sede della società, legale o effettiva, sia addetta alla ricezione degli atti diretti alla persona giuridica (Cass., 13 dicembre 1999, n. 13935; Cass., 14 giugno 2005, n. 12754). Deve rilevarsi, a tale riguardo, che, in violazione dei principi di specificità ed autosufficienza, nel ricorso viene richiamato, senza alcun riferimento al suo effettivo tenore – in maniera tale, quindi, da impedire la verifica della sua decisività – un documento “allegato agli atti processuali” che avrebbe dovuto dimostrare che la predetta G. era “persona estranea all’azienda”. 2.3 – Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4: la Commissione tributaria regionale avrebbe omesso di esaminare la questione inerente alla “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, artt. 59, 66 e 67, e del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49”.
Il motivo in esame, che contiene una generica doglianza relativa all’omessa pronuncia in merito alle questioni sopra richiamate, è inammissibile, in quanto, oltre ad indicare l’atto con cui la questione era stata dedotta, si sarebbero dovuti riferire gli esatti termini nei quali la stessa era stata proposta. Come questa Corte ha costantemente ribadito, perchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice di merito siano state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, e, dall’altro, che tali domande o eccezioni siano state riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell’autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività (Cass., 9 ottobre 2008, n. 24791;
Cass., 11 giugno 2008, n. 15462; Cass., 19 marzo 2007, n. 6361; Cass. Sez. Un., n. 15781 del 2005).
2.4 – Avuto riguardo alla validità, come sopra evidenziata, delle notificazioni degli avvisi di accertamento, va rilevata l’inammissibilità delle questioni introdotte con il quarto motivo di ricorso, concernenti il merito della pretesa tributaria, laddove in sede di impugnazione della cartella esattoriale, preceduta da valida notificazione dell’avviso di accertamento, non impugnato, possono essere dedotti soltanto i vizi propri della cartella medesima (Cass., 25 gennaio 2006, n. 1434).
2.5 – Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla refusione in favore del Comune di Agropoli delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.