Cass. civ. Sez. V, 10/08/2010, n. 18501
La disciplina della Tarsu per fasce di utenza ad opera del Comune – mediante distinzione tra la tariffa domestica e quella non domestica – comporta la soggettività passiva secondo la tariffa non domestica se il proprietario di un immobile, pur classificato catastalmente come abitazione civile, presti al conduttore servizi eccedenti la locazione e propri dell’attività alberghiera.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ALTIERI Enrico – Presidente
Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere
Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere
Dott. MELONCELLI Achille – rel. Consigliere
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
Comune di Imola, di seguito “Comune”, in persona del Sindaco in carica, signor M.M., rappresentato e difeso dagli avv. Del Federico Lorenzo e Laura Rosa, presso i quali è elettivamente domiciliato in Roma, Via Denza n. 20;
– ricorrente – contro
la IRAL srl, di seguito “Società”, in persona del legale rappresentante in carica, signor R.D., rappresentata e difesa dall’avv. Storace Francesco, presso il quale è elettivamente domiciliato in Via Crescenzio 20, Roma;
– intimata e controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale (CTR) di Bologna 25 ottobre 2005, n. 66/13/05, depositata il 29 novembre 2005;
udita la relazione sulla causa svolta nell’udienza pubblica del 14 maggio 2010 dal Cons. Dott. Achille Meloncelli;
udito l’avv. Valeria D’Ilio, delegata dall’avv. Lorenzo Del Federico;
udito l’avv. Francesco Storace per la Società;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale MATERA Marcello che ha concluso per l’accoglimento del ricorso
Svolgimento del processo
1. Gli atti di incoazione del giudizio di legittimità. 1.1. Il 7-12-15 dicembre 2006 è notificato alla Società un ricorso del Comune per la cassazione della sentenza descritta in epigrafe, che ha accolto l’appello della Società contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale (CTP) di Bologna 9 maggio 2003, n. 415/02/2003, che aveva rigettato il ricorso della Società contro il diniego di rettifica della denuncia della tarsu n. (OMISSIS) relativamente agli anni 1999 – 2002. 1.2. Il 12-17 gennaio 2007 è notificato al Comune il controricorso della Società. 2. I fatti di causa.
I fatti di causa sono i seguenti:
a) il 18 ottobre 2000 la Società chiede al Comune che sia rettificata la Tarsu sugli immobili da essa detenuti per gli anni d’imposta 1999-2002, eliminando un errore di calcolo delle superfici tassabili;
b) il Comune rigetta l’istanza;
c) la Società presenta successivamente un’altra istanza di rettifica, assumendo che sia errata la classificazione degli immobili al fine della Tarsu;
d) anche la seconda istanza è rigettata dal Comune;
e) il ricorso della Società è respinto dalla CTP di Bologna;
f) l’appello della Società è, invece, accolto dalla CTR con la sentenza ora impugnata per cassazione.
3. La motivazione della sentenza impugnata La sentenza della CTR;
oggetto del ricorso per cassazione, è, con riguardo ai capi impugnati in sede di legittimità, così motivata:
a) “con apposita istanza la Società chiedeva al Comune … una rettifica della denuncia a suo tempo presentata ai fini dell’applicazione della Tarsu relativamente agli anni che vanno dal 1999 al 2002”; in particolare, la Società “lamentava un errato calcolo delle superfici, un errato inserimento dei locali nella classe 7′ anzichè nella classe 1′ ed infine la detassazione di alcune aree adibite ad uso comune con altro condominio”;
b) “il Comune si opponeva alla richiesta ritenendo i locali adibiti a casa per vacanze e dunque ad attività alberghiera”;
c) la CTP “respingeva il ricorso, perchè sulla base delle risultanti degli atti e documenti allegati emergeva che la Società con i locali denunciati come case vacanze svolgeva attività imprenditoriale turistico alberghiera, di conseguenza i locali non potevano essere considerati ad uso domestico di civile abitazione”;
d) nel suo appello la Società precisa che essa “è una società immobiliare la cui unica attività è la gestione della locazione di immobili di proprietà, come dimostra il certificato CCIAA, immobili che sono accatastati in categoria A3, quindi appartamenti di civile abitazione, come si evince tra l’altro anche dalla risposta del dipartimento del turismo della provincia di Bologna, allegata agli atti, che la CTP è incorsa in errore definendo casa vacanze gli immobili locati dalla società che sono adibiti a locazione temporanea per studenti od operai che necessitano di soggiornare temporaneamente ad Imola e dintorni, quindi nulla a che vedere con una attività alberghiera dove si prestano altri servizi. Per quanto riguarda la quantità di superficie da tassare evidenzia che la CTP è incorsa in errore includendo negli immobili di proprietà della Società anche altri immobili non di proprietà ed anche alcune parti in comune con altro condominio per un totale eccedente di mq. 162”;
in sostanza, la Società chiede alla CTR, che gli immobili siano classificati nella classe 1 della tariffa Tarsu del Comune per il periodo 1999-2002 e che sia ridotta la superficie tassabile a mq.
542, perchè mq. 162 costituiscono area comune non oggetto di tassazione;
c) la CTR “ritiene che la Società abbia sufficientemente documentato il fatto che gli immobili locati non siano oggetto di attività alberghiera, ma trattasi solamente di locazioni di immobili adibiti a civile abitazione, seppure di breve durata, per cui come tali devono essere classificati… ai fini della tassazione Tarsu … ne discende che gli immobili dovranno essere classificati nella Classe 1 della tariffa Tarsu e che la superficie da tassare dovrà essere commisurata sulla base dei 542 mq, dichiarati dalla Società essendo i restanti adibiti a parti comuni con altri condomini”. 4. Il ricorso per cassazione de Comune è sostenuto con due motivi d’impugnazione e, dichiarato il valore della causa in Euro 8.594,50, si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione, anche in ordine alle spese processuali.
5. Il controricorso della Società, integrato con memoria, si conclude con la richiesta di rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
6. Il primo motivo d’impugnazione.
6.1.1. Il primo motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs 05 febbraio 1997, n. 22, art. 49 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; Violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, art. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; Violazione e/o falsa applicazione della tabella 3-a del D.P.R. 27/04/ 1999, n. 158 con riferimento alla delibera di G.C. n. 574 del 19/12/2001, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; Omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”. 6.1.2. Con riferimento a quella parte della sentenza d’appello che s’è qui testualmente riprodotta nel par. 3.e), primo periodo, il Comune sostiene che “i Giudici di appello … nè indicano quali siano i documenti attraverso i quali la Società ha comprovato tali assunti, nè quali norme di legge hanno ritenuto applicabili alla concreta fattispecie nè tanto meno, infine, la CTR si è premurata di esplicitare … l’iter logico e giuridico che l’ha condotta a ritenere non probanti i rilievi dell’Ente impositore che, per contro, appaiono inequivocabilmente oggettivi”. Il Comune, dopo aver fatto riferimento all’atto di appello e alle sue controdeduzioni in secondo grado, afferma che “il carattere di affinità con la gestione di affittacamere e con quella alberghiera, seppure dotate di differenti specificità dei servizi resi, rafforzato dall’elemento comune dell’imprenditorialità … non fa dubitare della prassi circa la qualificazione da dare, per assimilazione, alle case per vacanze. Di tutta evidenza che, nella concreta fattispecie, il Comune … 3 dovendo scegliere quale tariffa applicare fra utenze domestiche e non domestiche, abbia opportunamente ritenuto assimilabile al caso di specie le seconde, in virtù delle obiettive circostanze di fatto e della normativa vigente”. S’invoca, quindi il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49 sottolineando che «la tariffa per l’utenza domestica pensata per il nucleo familiare, consta di una quota fissa e di una variabile e da ciò non si può prescindere. Le utenze “non domestiche”, al contrario, sono categoria residuale, ovvero non comprensiva di tutto ciò che non può entrare nella “utenza domestica”. Il Comune conclude, affermando che “non si riesce a comprendere come il gestore della tariffa avrebbe potuto considerare l’utenza come domestica, risultando impossibile determinare o individuare il numero dei componenti del nucleo familiare in considerazione sia dell’elevato e diversificato numero dei soggetti che si sono avvicendati, dietro corrispettivo ed anche per periodi brevi, negli immobili della Società, sia per il fatto che tutte le utenze sono intestate alla società contribuente e non ai singoli e momentanei fruitori del servizio”, così come s’era fatto rilevare in sede di appello, come risulta dal testo dell’atto di controdeduzioni riprodotto nel ricorso per cassazione.
7. Il secondo motivo d’impugnazione.
7.1.1. Il secondo motivo d’impugnazione è preannunciato dalla seguente rubrica: “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1117 cod. civ. in riferimento all’art. 13 Reg. Com. Tarsu in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; Omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”. 7.1.2. Con il secondo motivo d’impugnazione si censurano quelle parti della sentenza d’appello che si sono qui testualmente riprodotte nel par. 3.e), secondo periodo. Il Comune sostiene che la CTR avrebbe completamente travisato “sia le risultanze documentali, sia la corretta interpretazione delle norme di riferimento. Invero, quelle che la CTR qualifica erroneamente come locali “adibiti a parti comuni con gli altri condomini”, in realtà, sulla base sia delle planimetrie, sia delle visure catastali (allegato 4 alle controdeduzioni in appello del Comune), risultano essere “in parte di piena proprietà della società contribuente ed in parte occupate in via esclusiva dalla stessa. … Dalla visura catastale relativa al fabbricato oggetto di dichiarazione, infatti, risultano di proprietà della Società immobili di categoria C6, classe 4, sub numeri da 37 a 45, per i quali è evidente che non sussiste alcuna proprietà comune come individuata e qualificata dall’art. 1117 cod. civ.”.
Il Comune fa, poi, riferimento alle altre visure che sarebbero già stato prodotte in appello, rinviando a documenti allegati alle controdeduzioni presentate in secondo grado, sostenendo che “i locali interessati non sono direttamente afferenti a parti del condominio non di proprietà della Società e trova quindi applicazione l’art. 13 del Regolamento Comunale Tarsu … il quale prevede che resti ferma l’obbligazione tributaria nei confronti di coloro che occupano o detengono parti comuni in via esclusiva”.
Il Comune ritiene che «in questo quadro, pertanto, appaiono del tutto oscure le motivazioni che hanno spinto la CTR a riformare la sentenza di primo grado, dato che la stessa non si è minimamente preoccupata di spiegare il perchè non ha tenuto nella minima considerazione le incontrovertibili risultanze della documentazione catastale prodotta in giudizio dal Comune …”. 8. I due motivi sono così strettamente connessi dal punto di vista oggettivo, che li si possono esaminare congiuntamente.
Essi sono fondati per le ragioni qui di seguito esposte.
Come si desume chiaramente dal confronto tra quelle parti della motivazione della sentenza impugnata che si sono testualmente riprodotte nel par. 3d) e nel par. 3.e), la decisione del giudice di merito è sostanzialmente priva di motivazione, perchè la CTR si è adagiata nella formulazione del giudizio di sufficienza della documentazione prodotta dalla Società, senza specificare in che cosa consistano i documenti probatori esibiti, quali siano le situazioni giuridiche e di fatto in essi rappresentate, quale sia il percorso intellettivo che per ciascun documento e per il loro insieme ha condotto il giudice d’appello dalla sua condizione di iniziale ignoranza della fattispecie controversa al giudizio di sufficienza delle prove addotte per la prova dell’uso degli immobili al fine di civile abitazione e dell’eliminazione dall’oggetto della tarsu di parti comuni con altri condomini.
Due sono le indicazioni che il Collegio ritiene di dover indirizzare al giudice del rinvio.
A) Per la formulazione della prima indicazione si ricorda l’orientamento da tempo seguito dalla Corte per mettere in evidenza, ad uso dei giudici di merito chiamati a colmare, in sede di rinvio, l’insufficienza della motivazione della sentenza cassata, secondo cui la dichiarazione motivazio-nale, più brevemente motivazione, è … una specie di dichiarazione che, a parte altri elementi in comune con la dichiarazione dispositiva cui accede e di cui è strumentale, presenta una caratteristica sua propria ed esclusiva, che è costituita da un elemento strutturale della sua formula letteraria, con il quale si descrive, in relazione all’oggetto, il passaggio logico del dichiarante dallo stato psicologico iniziale di inesistenza (ignoranza) di un giudizio (contenuto di genere della motivazione) allo stato psicologico finale di esistenza di un giudizio specifico (contenuto di specie della motivazione). In altri termini, il contenuto di specie della dichiarazione motivazionaie deve comprendere sia il racconto del processo dinamico di formazione dell’atteggiamento psicologico del dichiarante (il giudizio nel caso della sentenza), sia il racconto del risultato del passaggio logico dall’ignoranza – iniziale posizione statica – alla conoscenza sotto la specie del giudizio – posizione statica finale, che è l’approdo statico dell’attività di acquisizione della conoscenza intorno all’oggetto (Corte di cassazione: 18 aprile 2003, n. 6233; per le varie applicazioni, Corte di cassazione: 11 giugno 2003, n. 9301; 1 luglio 2003, n. 10364; 1 luglio 2003, n. 10373; 17 dicembre 2003, n. 19362; 17 dicembre 2003, n. 19367; 22 gennaio 2004, n. 1037; 29 marzo 2004 n. 6244; 2 aprile 2004, n. 6539; 28 luglio 2004, n. 14219; 26 agosto 2004, n. 17024; 29 settembre 2004, n. 19481; 14 ottobre 2004, n. 20263; 6 dicembre 2004, n. 22867; 5 gennaio 2005, n. 130; 29 settembre 2005, n. 19085; 17 ottobre 2001, n. 20081; 18 novembre 2005, n. 24417; 18 novembre 2005, n. 24418; 18 novembre 2005, n. 24419; 23 gennaio 2006, n. 1236; 2 maggio 2006, n. 10079; 4 maggio 2007, n. 10263; 29 febbraio 2008, nn. 5470 e 5471; 26 maggio 2008, n. 13500; 21 gennaio 2009, n. 1446 e n. 1447). In sostanza, ciascuna delle dichiarazioni motivazionali di cui si compone la motivazione di una sentenza deve articolarsi in una subdichiarazione, il cui contenuto è un giudizio statico, e in una seconda subdichiarazione, il cui contenuto è un giudizio dinamico. … La loro formulazione potrebbe considerarsi corretta, solo quando il giudice di merito adotti dei comportamenti ben precisi: A) con riguardo all’oggetto, allo scopo di indicare con precisione lo stato iniziale del processo cognitivo, sarebbe stato necessario specificare i fatti di causa e le relative prove …;
B) con riguardo, poi, al contenuto di specie, sarebbe stato necessario che: a) si indicassero con precisione i fatti di causa ed i mezzi di prova e si descrivesse la valutazione operata degli uni e degli altri …; b) si descrivesse il percorso di formazione di ciascuno dei … giudizi espressi sugli … oggetti delle (sub)dichiarazioni inserite nella motivazione della sentenza impugnata. In sostanza, il Giudice di merito deve, nell’esercizio del suo potere esclusivo di conoscere della causa, effettuare due distinte, ma connesse, attività di acquisizione della conoscenza, delle quali deve, poi, fornire la descrizione. Egli deve, anzitutto, conoscere dell’esistenza dei fatti di causa e dei fatti rilevanti per la prova dei fatti di causa; la relativa attività è attività di acquisizione di conoscenza della specie della scienza (attività di scienza) e il risultato finale di questa prima operazione è l’accertamento (atto di scienza) degli uni e degli altri fatti. In secondo luogo, il Giudice di merito deve adottare i comportamenti intellettivi idonei a valutare l'(in)idoneità dei fatti addotti come prova dei fatti di causa a svolgere la funzione ipotizzata dalle parti e i comportamenti intellettivi idonei a qualificare i fatti di causa come giuridicamente (ir)rilevanti e, quindi, (in)idonei ad esser inseriti in una categoria dei fatti assunti da una norma giuridica come loro elemento costitutivo; la relativa attività è attività di acquisizione di conoscenza della specie del giudizio (attività di giudizio) e i risultati finali sono, rispettivamente, la valutazione dei fatti di prova e la qualificazione dei fatti di causa (atti di giudizio). Di tutti questi comportamenti cognitivi, volti a consentire il passaggio della mente del Giudice dalla sua iniziale condizione di ignoranza dei fatti di causa e dei fatti della loro prova e della loro rilevanza giuridica allo stato di conoscenza finale, il Giudice di merito deve fornire la descrizione, in modo che la subdichiarazione motivazionale a contenuto dinamico sia, per usare un’efficace espressione impiegata dalla dottrina, una “rappresentazione linguistica di un ragionamento decisorio”. …
Poichè, nel caso di specie, il Giudice d’appello ha indicato i fatti di causa solo genericamente e si è limitato alla formulazione degli atti di giudizio finale statico su di essi, trascurando la specificazione dei fatti e la descrizione sia delle attività di accertamento sia delle attività di giudizio, la motivazione della sua sentenza è strutturalmente lacunosa. Per di più, le lacune sono così numerose e così gravi che la motivazione è, non solo insufficiente, ma addirittura apparente e, quindi, sostanzialmente inesistente, perchè non si comprende nè quali siano gli oggetti dell’attività di conoscenza nè quali siano i comportamenti cognitivi assunti (attività di scienza e attività di giudizio) (Così, da ultimo, per tutte. Corte di cassazione 30 dicembre 2009, n. 27935, con un rilevo che vale anche per la sentenza qui impugnata). Nel riesame della controversia che venga riassunta dinanzi al Giudice di rinvio, questi dovrà ispirare, quindi, la sua condotta motivazionale al seguente principio di diritto, formulato per integrazione della disposizione normativa D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 36, comma 2, n. 4: “La sentenza deve contenere … la succinta esposizione dei motivi in fatto e in diritto, cioè:
1) l’indicazione specifica sia dei fatti di causa sia dei fatti addotti per la loro prova; 2) la descrizione sia dei comportamenti intellettivi di valutazione delle prove sia dei comportamenti intellettivi di qualificazione dei fatti di causa; 3) gli atti di giudizio statico e finale per ciascuna serie di comportamenti intellettivi”. B) La seconda indicazione che si indirizza la giudice di rinvio attiene, invece, a profilo di legittimità della sentenza impugnata.
Si deve tener conto, al riguardo, delle seguenti disposizioni normative:
a) del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, comma 5 secondo cui La tariffa è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio”;
b) il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, comma 6 secondo cui la tariffa di riferimento è articolata per fasce di utenza e territoriali;
c) il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, comma 8 secondo cui La tariffa è determinata dagli enti locali…, Ne deriva che se un Comune introduce, com’è incontestato tra le parti che abbai fatto il Comune di Imola, una tariffa differenziata per fasce di utenza – quella domestica e quella non domestica -, non è logico che, per stabilire se l’uso che si fa di un immobile sia di abitazione civile od alberghiero, ci si basi, coma ha fatto la CTR nel caso in esame, sulla classificazione catastale o sulla natura del contratto creativo della disponibilità a favore di non proprietari, dovendosi, invece, considerare la natura effettiva del rapporto tra il proprietario dell’immobile e la persona cui l’immobile è dato in uso, verificando se il proprietario presti unitariamente servizi che eccedano la locazione e non si estendano fino a caratterizzarli come servizi propri dell’attività alberghiera, come il cambio della biancheria, la pulizia dei locali, la fornitura del materiale di consumo a fini igienico – sanitari, la manutenzione ordinaria degli impianti e gli altri analoghi. L’accertamento dei fatti costitutivi della fattispecie dell’uso domestico o, in alternativa, dell’uso non domestico nell’ambito del generico rapporto di locazione non è stato effettuato dal giudice d’appello, che s’è limitato a constatare l’accatastamento degli immobili e la stipula di contratti di locazione.
Il principio di diritto da applicare in sede di rinvio è, in conclusione, il seguente: “se un Comune articola la tarsu per fasce di utenza, distinguendo la tariffa domestica da quella non domestica, è soggetto passivo di tarsu secondo la tariffa non domestica il proprietario di un immobile, pur classificato catastalmente come abitazione civile, che presti al locatario servizi eccedenti la locazione e propri dell’attività alberghiera”. 9. Conclusioni.
Le precedenti considerazioni comportano l’accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio della causa ad altra Sezione della CTR dell’Emilia Romagna, che, oltre ad applicare i principi di diritto enunciati al termine delle sezioni A) e B) del par. 8, liquiderà le spese processuali relative al giudizio di cassazione.
P.Q.M.
LA CORTE accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese processuali relative al giudizio di cassazione, ad altra Sezione della CTR dell’Emilia Romagna.