Cassazione civile , sez. II, sentenza 05.11.2010 n° 22599
Ai fini della interruzione del possesso ad usucapionem, sono produttivi di effetto soltanto quegli atti che comportino, per il possessore, la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa, oppure quegli atti giudiziali, provenienti dall’effettivo proprietario del bene, diretti ad ottenere “ope iudicis” la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapente (Nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto di non attribuire una tale valenza alla denuncia proveniente dagli stessi possessori e non dai proprietari, diretta a non subire turbative del loro possesso).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente
Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere
Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere
Dott. PETITTI Stefano – Consigliere
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 9934/2005 proposto da:
C.G. (OMISSIS), CO.GI. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PANARITI Benito, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato CAZZETTA PIERLUIGI;
– ricorrenti –
contro
C.L. (OMISSIS), C.M. (OMISSIS), C.A. (OMISSIS), C.R. (OMISSIS), CO.AD. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA ADRIANA 15, presso lo studio dell’avvocato PANINI Alberigo, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MANIGLIA GIUSEPPE;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 571/2004 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 24/02/2004;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 06/10/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;
udito l’Avvocato CAZZETTA PIERLUIGI difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato PANINI ALBERIGO difensore dei controricorrenti che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso in relazione ai primi tre motivi.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 21-4-1988 C.G. e Co.Gi. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Lecco, Co.An., C.A., C.L., C. A.M. e C.R. e, premesso di essere proprietari di immobili già di proprietà del padre C.C. siti in (OMISSIS), chiedevano la rettifica dell’atto di divisione del 29-3-1963 – costituente il titolo di proprietà degli attori, unitamente alla successione ereditaria – intervenuto tra C. C., loro dante causa, e Co.Gi., dante causa dei convenuti, relativamente alla titolarità di alcuni mappali e di diritti di servitù, qualificando tale domanda, in via subordinata, come accertamento della avvenuta usucapione.
I convenuti costituendosi in giudizio contestavano le domande attrici assumendo che la scrittura, privata addotta dagli attori a fondamento delle loro pretese risultava sottoscritta solamente da uno dei coeredi di Co.Gi. e non poteva quindi essere opposta agli altri e sostenendo l’operatività tra le parti dell’atto di divisione; essi chiedevano in via riconvenzionale la condanna degli attori alla rimessione in pristino dei mappali asseritamente posseduti illegittimamente mediante la demolizione delle opere eseguite e la consegna agli esponenti.
Il Tribunale adito con sentenza del 24-5-1997 respingeva la domanda attrice e, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale, dichiarava l’operatività tra le parti dell’atto di divisione.
Proposta impugnazione da parte di C.G. e di C. G. cui resistevano C.A., C.L., C. A.M. e C.R. che proponevano altresì appello incidentale la Corte di Appello di Milano con sentenza del 24-2-2004 ha respinto l’appello principale e, in accoglimento dell’appello incidentale, ha condannato C.G. e Co.Gi. a restituire agli appellati i fondi di cui ai mappali 261/e e della quota di fabbricato insistente sul mappale 261/d del Comune di Castello Brianza.
Per la cassazione di tale sentenza C.G. e C. G. hanno proposto un ricorso articolato in cinque motivi cui C.A., C.L., Co.Ad., C.M. e C.R. hanno resistito con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1102, 1140, 1141, 1158, 1164 e 2697 c.c., e art. 115 c.p.c., nonchè omessa e/o contraddittoria motivazione, assumono che la Corte territoriale non ha considerato da un lato che il compossesso da parte degli esponenti sui beni oggetto di causa non era mai stato contestato dalle controparti ed anzi era stato espressamente ammesso negli atti processuali, e dall’altro che non era stato invece provato da parte degli appellati ed appellanti incidentali il loro compossesso sugli stessi beni (in quanto contestato dagli istanti), ed ha quindi invertito l’onere della prova, omettendo di rilevare la pacificità del possesso ultraventennale degli immobili da parte di C.G. e di Co.Gi..
Con il secondo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1102, 1158, 1163, 1164, 1165, 1167, 2697, 2727, 2728 e 2729 c.c., artt. 112 e 115 c.p.c., ed omessa e/o insufficiente motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver escluso la sussistenza di prove documentali e testimoniali in ordine all’invocato pacifico possesso da parte degli esponenti degli immobili per cui è causa e per aver anzi evidenziato erroneamente diversi atti come “indicativi della titolarità del diritto di proprietà o di qualsiasi altro diritto reale sull’immobile escludendo in capo agli appellanti, la pienezza e l’esclusività del diritto, quale sostitutivo del proprio”; in tal senso erano state valorizzate una denuncia presentata dagli appellanti il 6-6-1985 nei confronti di L., An. ed C.A. per violazione dell’art. 637 c.p. (ingresso abusivo sul fondo altrui) ed una denuncia per violazione del diritto di proprietà sporta da questi ultimi nel 1985 al Sindaco del Comune di Castello Brianza nei confronti di C.G. e di Co.Gi. per ampliamento e sistemazione della tettoia per il ricovero di attrezzi agricoli di cui al mappale 261, foglio 2, di Via (OMISSIS), a seguito della quale il Sindaco con ordinanza del 29-7-1985 aveva ordinato agli attuali ricorrenti la demolizione di opere realizzate senza concessione edilizia; ebbene tali denunce erano irrilevanti in quanto intervenute ben due anni dopo il maturare del termine ventennale utile all’usucapione, iniziato il 29-3-1963, allorchè si era verificata l’interversione del possesso in occasione del rogito Donegana, e terminato il 29-3-1983; inoltre non vi era comunque prova che in seguito alle suddette denunce fosse intervenuta una interruzione ultrannuale dell’usucapione di cui all’art. 1167 c.c.;
neppure è stato spiegato come una pretesa turbativa del possesso relativamente ad una sola parte degli immobili potesse avere effetto sulla residua parte di essi; quanto poi alla denuncia presentata dalle controparti al Sindaco di Castello Brianza, gi trattava di atto irrilevante perchè non incidente sul possesso, mentre la denuncia sporta dagli esponenti costituiva soltanto la manifestazione del possesso dei beni per cui è causa “animo domini”.
I ricorrenti infine rilevano che le deposizioni testimoniali in ordine alla dimostrazione del potere di fatto ultraventennale sugli immobili da parte degli istanti non erano affatto di segno contrario alle emergenze documentali, come invece ritenuto dal giudice di appello, e che non erano state valutate le prove di natura presuntiva derivanti dalla circostanza che il rustico esistente sul mappale 261/d era risultato essere utilizzato per metà da ciascuna delle parti, e che parte avversa aveva recintato il suddetto mappale con l’apposizione di un cancello, arretrando sino alla mezzeria del rustico onde consentire agli appellanti principali il libero accesso alla metà degli stessi utilizzata, così riconoscendo il diritto di proprietà altrui.
Le enunciate censure, da esaminare contestualmente, sono fondate.
Il giudice di appello ha escluso la prova da parte degli attuali ricorrenti di un possesso “uti domini” pacifico e continuato ultraventennale degli immobili predetti, evidenziando anzi la sussistenza di due atti interruttivi di esso da parte degli effettivi proprietari (ovvero le due denunce sopra richiamate), ed aggiungendo che le dichiarazioni dei testi P.M. e B.R. non potevano ritenersi attendibili, considerato che la prima era la madre degli appellanti e la seconda era la moglie di C. G.; comunque entrambe le suddette deposizioni erano in contrasto con la prova documentale – rappresentata dalle menzionate denunce – della opposizione al possesso da parte degli aventi diritto.
Da tali elementi discende la considerazione che nel convincimento maturato dalla Corte territoriale hanno avuto un peso preponderante, più che la valutazione del materiare probatorio attinente alla prova del possesso, i due pretesi atti interruttivi costituiti dalla denunce sopra richiamate.
In proposito peraltro deve anzitutto evidenziarsi l’irrilevanza di tali atti, entrambi riferiti all’anno 1985, ovvero ad epoca in cui sarebbe già decorso il termine ventennale del possesso utile all’usucapione (iniziato secondo l’assunto di C.G. e Gi. quantomeno dal 29-3-1963, allorchè era stata formalizzata la divisione per atto notaio Donegana).
Inoltre a nessuna delle due denunce suddette può attribuirsi valenza interruttiva del possesso in questione; premesso invero che non è consentito attribuire efficacia interruttiva del possesso se non ad atti che comportino, per il possessore, la perdita materiale del potere di fatto sulla cosa, oppure ad atti giudiziali siccome diretti ad ottenere “ope iudicis” la privazione del possesso nei confronti del possessore usucapente (Cass. 23-11-2001 n. 14917; Cass. 19-6-2003 n. 9845), è agevole osservare, quanto alla denuncia presentata a suo tempo da C.G. e Co.Gi. nei confronti di C.L., Co.An. ed C.A., che trattasi di atto proveniente dagli stessi possessori e non dai proprietari, significativo semmai della volontà da parte degli attuali ricorrenti di non intendere subire turbative del loro possesso, e che per altro verso non può neppure essere configurato come riconoscimento del diritto del proprietario da parte del possessore; sulla base del principio di diritto sopra richiamato è poi evidente che anche la denuncia presentata da C.L., C.A. ed C. A. per violazione del loro diritto di proprietà deve ritenersi ininfluente sulla prosecuzione del possesso sui beni, non impedito materialmente nè contestato in modo idoneo.
Pertanto, poichè l’erronea considerazione dei suddetti atti da parte del giudice di appello ha avuto un rilievo decisivo anche in ordine all’apprezzamento degli ulteriori elementi di prova costituiti essenzialmente dalle dichiarazioni dei testi escussi, occorre procedere ad una nuova valutazione del materiale probatorio in ordine all’invocato possesso “ad usucapionem” da parte degli attuali ricorrenti.
Con il terzo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, 1141, 1158 e 2697 c.c., artt. 112 e 115 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, assumono che, qualora poi la sentenza impugnata abbia inteso accogliere la tesi di controparte in ordine al compossesso dei beni per cui è causa, avrebbe dovuto trasferire agli esponenti il diritto di comproprietà “pro indiviso” della metà dei beni stessi.
Con il quarto motivo i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1427, 1432 e 1441 c.c. e artt. 112 e 115 c.p.c., e vizio di motivazione, sostengono che, contrariamente all’assunto del giudice di appello, gli esponenti non avevano domandato l’annullamento dell’atto divisionale a rogito notaio Degana del 29-3-1963 per errore, bensì l’accertamento del proprio diritto di proprietà in ordine ai beni in questione in relazione alla scrittura privata di “rettifica” sottoscritta dalle parti l’8-5-1973 avente effetti reali di trasferimento del diritto di proprietà.
In via di ulteriore subordine i ricorrenti rilevano che comunque, in riferimento alla domanda di annullamento della divisione menzionata, la Corte territoriale si è limitata ad affermare che la scrittura privata dell’8-5-1973 non spiegherebbe effetti nei confronti di coloro che non l’avevano sottoscritta, senza però pronunciarsi sulla domanda stessa nei confronti degli effettivi sottoscrittori (ovvero gli esponenti e C.L.).
Con il quinto motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1150 c.c. e artt. 112, 184, 189 e 345 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, sostengono che nel giudizio di secondo grado le controparti non avevano più chiesto la demolizione degli edifici realizzati sui mappali per cui è causa, ma la “consegna dei fondi”, caratterizzati quindi dall’incremento patrimoniale di valore che gli edifici avrebbero comportato, formulando così una domanda nuova; per tale ragione gli esponenti avevano chiesto in via di estremo subordine il riconoscimento delle indennità previste dall’art. 1150 c.c., erroneamente qualificata dal giudice di appello come domanda nuova, laddove invece si trattava di nuova eccezione ammissibile ai sensi dell’art. 345 c.p.c., nel testo antecedente alla riforma di cui alla L. n. 353 del 1990.
Tutti gli enunciati motivi restano assorbiti all’esito dell’accoglimento dei primi due motivi di ricorso.
In definitiva la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, e la causa deve essere rinviata anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.
P.Q.M.
LA CORTE Accoglie i primi due motivi di ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.