Le disposizioni delle distanze tra fabbricati mirano a salvaguardare gli edifici considerati nella sua interezza. Da ciò consegue che, in caso di stabili in condominio tutti i condomini, e non soltanto quelli fra costoro che siano proprietari delle porzioni direttamente prospettanti verso le costruzioni che violano le distanze legali, sono legittimati ad agire per far valere il rispetto delle distanze stesse.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

Con ricorso del 9-7-2003 S.G.A., proprietario e possessore dell’immobile urbano sito in (…) con balconi posteriormente affaccianti al primo piano sulla via (…), denunciava al Tribunale di Foggia che R.P., edificando su di un preesistente seminterrato costruito a distanza illegale da tale R.Fr.Pa., aveva realizzato una sopraelevazione a distanza di circa cinque metri dai suddetti balconi, e dunque a distanza illegale rispetto al limite minimo di metri sei stabilito dall’art. 10 delle norme di attuazione dello studio particolareggiato della zona omogenea B, approvato in variante al Programma di Fabbricazione; il ricorrente pertanto chiedeva la sospensione dei lavori che veniva accordata con ordinanza del 15-12-1993 successivamente revocata dal Collegio su reclamo del R..

Frattanto il S. aveva iniziato il giudizio di merito dinanzi al Tribunale di Foggia con atto di citazione del 19-12-1993 con il quale, premesso l’illegale posizionamento sia del seminterrato realizzato dal dante causa del R. in forza di concessione edilizia del 21-5-1980 sia della sopraelevazione eretta dal R. stesso in base a concessione edilizia del 3-12-1992, chiedeva che fosse negata la servitù di tenere il seminterrato a distanza inferiore di sei metri dalla proprietà dell’attore, che fosse ripristinata la distanza legale tra questa ed il fabbricato R., e la condanna di quest’ultimo al risarcimento dei danni subiti.

Il convenuto costituendosi in giudizio contestava il fondamento delle domande attrici di cui chiedeva il rigetto, e spiegava comunque domanda di garanzia nei confronti del suo dante causa Fr.

R.P., che restava contumace.

Il Tribunale adito con sentenza n. 994/1999 rigettava la domanda principale del S. e disattendeva conseguentemente la suddetta domanda di garanzia.

Avverso tale sentenza il Santoro proponeva gravame cui resisteva il R.; restavano contumaci invece R.Fr.Pa., e, dopo il suo decesso, R.An., A.G. R. ed R.Au..

La Corte di Appello di Bari con sentenza del 29-7-2005 ha dichiarato l’insussistenza del diritto del R. di tenere la sopraelevazione realizzata in via Torre Covino a distanza inferiore a quella stabilita dall’art. 10 della normativa comunale e, per l’effetto, ha condannato l’appellato ad arretrare detta sopraelevazione fino alla distanza di metri sei dal fronte con affaccio verso la via (…) del fabbricato con ingresso da Corso (…) comprendente l’immobile di proprietà dell’appellante, ha assegnato al R. il termine di mesi sei dalla notificazione della sentenza stessa per l’esecuzione dei lavori suddetti come meglio descritti nella relazione redatta dal CTU B.G. il 10-11-1993, ha condannato l’appellato al risarcimento dei danni subiti dal S. nella misura di Euro 10.000,00 oltre interessi legali dalla data della decisione, ed ha rigettato l’appello incidentale relativo alla domanda di garanzia.

Per la cassazione di tale sentenza il R. ha proposto un ricorso articolato in due motivi cui il S. ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 156, 157, 160 e 330 c.p.c. nonchè vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver disatteso l’eccezione dell’esponente di inammissibilità dell’appello perchè la notifica di detto atto al difensore era avvenuta in Foggia via Pietro N. (presso il dottor Mauro C.) e non nel domicilio eletto sempre in Foggia, Corso Roma (presso il dottor Giuseppe C.).

Il R., premesso che l’avvocato Natale C., proprio difensore, in sede di costituzione nel giudizio di primo grado aveva eletto domicilio in Foggia, via C. 28, presso il dottor Mauro C., e che in seguito nella comparsa conclusionale aveva mutato il domicilio in Foggia, Corso Roma 71, presso il dottor Giuseppe C., rileva che la notifica dell’appello, prima tentata in via C. 28 presso il domiciliatario dottor Mauro C., poi eseguita in via Pietro N. sempre presso il dottor Mauro C., non era avvenuta presso lo studio dell’avvocato Natale C. e/o presso l’effettivo domiciliatario Giuseppe C., ed era quindi stata fatta in luogo ed a persona che non aveva alcun collegamento con il R. ed il suo difensore, cosicchè detta notifica non era nulla, ma inesistente.

La censura è infondata.

La Corte territoriale ha rilevato che dall’esame del fascicolo di primo grado si evinceva che l’avvocato Natale C., difensore del R. già domiciliato in Foggia, via C. 28, presso il dottor Mauro C., nella comparsa conclusionale si era domiciliato sempre in Foggia, Corso Roma 71, presso il dottor Gianni C.; ha quindi osservato che la notifica dell’atto di appello era stata dapprima tentata in via C. 28 e, verificato l’avvenuto trasferimento, in via Pietro N. sempre presso il dottor Mauro C., che aveva ricevuto l’atto senza nulla obiettare e per di più qualificandosi espressamente come “domiciliatario” dell’avvocato Natale C., ed ha aggiunto che l’atto aveva prodotto il suo effetto, essendosi il R. costituito proprio con il ministero dell’avvocato Natale C.; si trattava dunque di un vizio della notificazione sanato “ex tunc” per il raggiungimento dello scopo.

Orbene tale convincimento è pienamente condivisibile, essendo la notifica dell’atto di appello stata eseguita presso il precedente domiciliatario dell’avvocato Natale C. (ovvero il dottor Mauro C.) qualificatosi comunque ancora come tale, e che aveva curato la consegna dell’atto al destinatario; si tratta pertanto di notifica eseguita a mani di persona che aveva un evidente collegamento con l’avvocato Natale C. e dunque nulla, con la conseguenza che tale nullità è stata sanata in conseguenza del raggiungimento dello scopo dell’atto a seguito della costituzione in giudizio dell’avvocato Natale C..

Con il secondo articolato motivo il ricorrente, denunciando violazione degli artt. 100 e 112 c.p.c. artt. 873 – 948 e 949 c.c. – artt. 9 e 10 dello strumento urbanistico del Comune di (…) e del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 nonchè vizio di motivazione, assume che erroneamente la Corte territoriale ha accolto le domande del S..

Sotto un primo profilo il R. sostiene che, ipotizzando l’effettiva sussistenza della violazione delle disposizioni sulle distanze legali, la sentenza impugnata sarebbe corretta in quanto ha sanzionato l’obbligo di rastremare la nuova fabbrica per la parte (tetto a falda) frontistante la proprietà del S.; a diverse conclusioni invece si deve pervenire riguardo all’affermato obbligo di rastremazione della nuova fabbrica per tutta la sua altezza e quindi anche per tutte le parti frontistanti il fabbricato di proprietà dell’esponente sottostante la proprietà S.;

infatti le azioni ex artt. 948 e 949 c.c. sono preposte a difesa della proprietà e non di una proprietà il cui titolare non è parte in causa; pertanto non poteva ordinarsi la demolizione della nuova fabbrica per la parte (sottostante alla proprietà S.) frontistante alla proprietà di terzi (nella specie di proprietà del R.).

Tale assunto è infondato.

Infatti le disposizioni delle distanze tra fabbricati mirano a salvaguardare gli edifici considerati nella sua interezza; da ciò consegue che, in caso di stabili in condominio (come nella fattispecie riguardo al fabbricato nel quale il R. è proprietario dell’appartamento sottostante a quello di proprietà del S.) tutti i condomini, e non soltanto quelli fra costoro che siano proprietari delle porzioni direttamente prospettanti verso le costruzioni che violano le distanze legali, sono legittimati ad agire per far valere il rispetto delle distanze stesse.

Il ricorrente poi assume che, contrariamente al convincimento del giudice di appello, la nuova fabbrica realizzata dall’esponente integrava una sopraelevazione in quanto il suo dante causa aveva già edificato la prima parte della fabbrica in forza di due concessioni del 21-5-1980, con conseguente applicabilità dell’art. 9 dello strumento urbanistico locale che prevedeva, per gli ampliamenti e le sopraelevazioni, la possibilità di edificare con distacco minimo dai confini e dagli edifici non minore di quelli preesistenti.

Tale profilo di censura è infondato.

La Corte territoriale, premesso che i lavori relativi alla sopraelevazione assentita il 3-12-1991 con concessione rilasciata direttamente al R., resosi acquirente dell’immobile il 2-1- 1991, erano iniziati il 9-3-1993, ha rilevato che in base al nuovo strumento urbanistico comunale entrato in vigore il 12-4-1980 per la zona in cui ricadevano gli immobili rispettivamente di proprietà delle parti in causa l’art. 10 prescriveva che per le nuove costruzioni i distacchi tra edifici non dovevano essere inferiori a metri 6,00, e che invece dalla CTU espletata era risultato che la nuova costruzione realizzata dal R. (emergente dal suolo in sopraelevazione del manufatto ex R.) si trovava a metri 4,93 dal fronte del preesistente ed antistante fabbricato del S. e del R.; chiarito poi che l’area in cui sorgeva il “compendio ex R. – R.” era priva di ogni tipo di costruzione, secondo le risultanze della CTU, ne discendeva l’inapplicabilità dell’art. 9 del menzionato strumento urbanistico locale, richiamato dall’art. 10 per le sole nuove costruzioni ricadenti in zone parzialmente edificate, e dunque era inapplicabile la previsione di “distacchi minimi dagli edifici non minori di quelli preesistenti”;

la sentenza impugnata ha pure escluso l’applicabilità in via diretta dell’art. 9, che invero riguardava soltanto “l’ampliamento, sopraelevazione e sostituzione di singoli edifici esistenti”;

infatti, anche a prescindere dal fatto che il manufatto già di proprietà del R., non emergendo dal livello del piano di campagna del preesistente fabbricato S. – R., non costituiva costruzione rilevante ai fini delle distanze, era decisivo evidenziare che detto manufatto non esisteva alla data di pubblicazione (12-4-1980) del nuovo strumento urbanistico locale contenente l’art. 9, in quanto i lavori erano iniziati successivamente in data 29-9-1980 e terminati il 25-11-1980.

Pertanto all’esito di tale accertamento in ordine al fatto che la suddetta costruzione era stata realizzata successivamente all’entrata in vigore del suddetto strumento urbanistico, correttamente la Corte territoriale ha escluso l’applicabilità del menzionato art. 9 ed ha applicato l’art. 10.

Infine il ricorrente censura la condanna dell’esponente al risarcimento dei danni in quanto la relativa domanda era generica e comunque non provata; comunque il danno quantificato era all’evidenza eccessivo rispetto alla presunta lesione.

Anche tale assunto è infondato.

La sentenza impugnata ha premesso che il risarcimento del danno conseguente alle violazioni delle distanze, costituendo un illegittimo asservimento della proprietà dell’istante, compete a quest’ultimo senza la necessità di una specifica attività probatoria, e che quindi tale danno, in difetto di precise indicazioni della parte danneggiata, è rimesso alla valutazione equitativa del giudice di merito, come appunto nella fattispecie, atteso che, pur essendo certo nella sua consistenza ontologica, sussisteva una certa difficoltà a provarne l’ammontare; pertanto il giudice di appello, tenuto conto dell’epoca iniziale degli abusi, ha determinato detto danno all’attualità in Euro 10.000,00 oltre interessi legali dalla decisione.

Orbene tale convincimento è conforme all’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui in materia di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative dello stesso, quali i regolamenti comunali, al proprietario confinante che lamenti tali violazione compete, oltre la tutela in forma specifica, anche quella risarcitoria, con la precisazione che, determinando la suddetta violazione un asservimento di fatto del fondo del vicino, il danno deve ritenersi “in re ipsa”, senza necessità di una specifica attività probatoria (Cass. 7-3-2002 n. 3341; Cass. 7-5-2010 n. 11196); conseguentemente la domanda di risarcimento danni proposta dal S. non necessitava di ulteriori specificazioni, e neppure era necessario l’espletamento di una attività istruttoria in proposito; infine è appena il caso di osservare l’assoluta genericità, e quindi l’inammissibilità, del profilo di censura relativo alla quantificazione del suddetto danno, limitato alla deduzione di una sua pretesa eccessività rispetto alla lesione, senza pertanto denunciare concretamente alcun vizio motivazionale.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di Euro 2000,00 per compensi e di Euro 200,00 per spese oltre accessori come per legge.

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