Qualora il proprietario dell’ultimo piano di un condominio provveda a modificare una parte del tetto condominiale trasformandola in terrazza (od occupandola con altra struttura equivalente od omologa) a proprio uso esclusivo, tale modifica è da ritenere illecita non potendo essere invocato l’art. 1102 c.c., poiché non si è in presenza di una modifica finalizzata al migliore godimento della cosa comune, bensì all’appropriazione di una parte di questa che viene definitivamente sottratta ad ogni possibilità di futuro godimento da parte degli altri, non assume alcun rilievo il fatto che la parte di tetto sostituita od occupata permanentemente continui a svolgere una funzione di copertura dell’immobile.

 

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 9 gennaio – 28 febbraio 2013, n. 5039
Presidente Triola – Relatore Carrato

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 23 maggio 1994, non iscritto a ruolo, e successivamente riassunto e notificato il 12 luglio 1994, i sigg. G..C. , E..S. e M.F. , quali proprietari di tre porzioni immobiliari comprese nel fabbricato sito in (omissis) , assumevano che la signora M..C.Z. , proprietaria di una unità immobiliare al terzo piano, aveva costruito, nel 1991, un’altana in legno, senza ottenere la preventiva autorizzazione dei comproprietari ed in violazione dell’art. 1102 c.c. in quanto insisteva su parte comune dell’edificio ed ostruiva una botola condominiale di accesso al tetto, oltre che dell’art. 1127, commi 2 e 3, c.c., siccome comportava un pregiudizio per le condizioni statiche e per l’aspetto architettonico dell’edificio; tanto premesso, convenivano, dinanzi al Tribunale di Venezia, la predetta signora C.Z.M. al fine di sentirla condannare alla demolizione dell’altana con conseguente riduzione in pristino e al risarcimento dei danni previo accertamento della illegittimità dell’edificazione, instando, in subordine, per il pagamento dell’indennità loro spettante “ex lege”, con rivalutazione ed interessi. Nella costituzione della indicata convenuta (che insisteva per il rigetto della domanda sul presupposto che ella aveva esercitato legittimamente il proprio diritto di sopraelevazione ex art. 1127 c.c., senza comportare alcun tipo di pregiudizio per l’edificio condominiale), all’esito dell’istruzione probatoria (nel corso della quale veniva anche espletata c.t.u.), il Tribunale adito, con sentenza n. 1479 del 2001, accoglieva la domanda attorea e condannava la C.Z. alla demolizione ed asportazione del manufatto nonché alla riduzione in pristino della situazione preesistente a spese della stessa, condannando, inoltre, il sig. Ca. a corrispondere alla stessa convenuta la complessiva somma di L. 1.833.000, oltre interessi legali dalla pronuncia al soddisfo, quale importo equivalente alla metà dell’esborso necessario alla sostituzione di una vecchia colonna, ponendo a carico della medesima C.Z. le spese complessive del giudizio.
Interposto appello da parte della predetta C.Z. e nella resistenza di tutti gli appellati, la Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 67 del 2006 (depositata il 12 gennaio 2006), rigettava il gravame e condannava la stessa appellante anche alla rifusione delle spese del giudizio di secondo grado. A sostegno dell’adottata decisione, la Corte veneta ravvisava l’infondatezza del formulato appello sul presupposto dell’inapplicabilità, nella specie, del disposto di cui all’art. 1127 c.c., nel mentre sussistevano le condizioni per rilevare l’applicabilità dell’art. 1120 c.c. (senza che potesse ritenersi ricorrente un vizio di ultrapetizione), non potendosi qualificare l’altana per cui era controversia come una sopraelevazione.
Nei confronti della menzionata sentenza ha proposto ricorso per cassazione la signora M..C.Z. , riferito a tre motivi, avverso il quale si è costituito, con controricorso, in questa sede di legittimità il solo intimato Ca.Gi. , mentre gli altri due non hanno svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

I. Con il primo motivo del ricorso (non assoggettato, “ratione temporis”, alla disciplina di cui all’art. 366 bis c.p.c., poiché con esso risulta impugnata una sentenza pubblicata il 12 gennaio 2006 e, quindi, antecedentemente al 2 marzo 2006) la ricorrente ha denunciato, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 1127 c.c., in relazione alla qualificazione della costruzione dedotta in controversia. In particolare, con questa censura, la difesa della C.Z. si duole della esclusione, con la sentenza impugnata, della riconducibilità dell’altana nel concetto di “nuova fabbrica”, sul ritenuto presupposto che la stessa non sia configurabile come una sopraelevazione, la cui costruzione è considerata ammessa alle condizioni stabilite dal richiamato art. 1127 c.c.. Secondo la prospettazione della ricorrente questa ricostruzione della Corte veneziana sarebbe errata perché la costruzione di una “nuova fabbrica” sopra il tetto a falde dell’edificio condominiale, la cui entità materiale e funzionale non viene neppure in minima parte incisa, costituirebbe una espressione del diritto di sopraelevazione spettante al proprietario dell’ultimo piano, requisiti questi che sarebbero riconoscibili all’altana dedotta in controversia come costruita dalla medesima ricorrente, la quale, peraltro, non sarebbe idonea a privare gli altri condomini delle potenzialità di uso della parte di tetto occupata dalla struttura dell’altana stessa (che non potrebbe essere diversa da quella della protezione del fabbricato).
2. Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione della medesima norma di cui all’art. 1127 c.c., sotto l’ulteriore profilo della ravvisata erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui era stato escluso che l’altana potesse essere considerata “nuova fabbrica” in sopraelevazione, poiché quest’ultima non si sarebbe potuta identificare con una costruzione inidonea a comportare l’aumento dell’altezza del fabbricato (rimanendo al di sotto del manto di copertura da sollevare di pari misura).
2.1. I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente siccome strettamente connessi.
Essi sono destituiti di fondamento e devono, perciò, essere rigettati. Innanzitutto è opportuno definire la natura e la struttura dell’altana, che costituisce un manufatto particolare tipico, soprattutto (ma non solo), della città di Venezia (e la controversia in esame è riferita proprio ad una costruzione di questo genere sita nel capoluogo Veneto). L’altana (chiamata anche “belvedere”) è, in sostanza, una piattaforma o loggetta realizzata (di regola in legno, con sua relativa precarietà) nella parte più elevata di un edificio (ed alla quale si accede, in genere, dall’abbaino, altro tipico elemento dell’architettura veneziana), che, in alcuni casi, può anche sostituire il tetto e che, a differenza delle terrazze e dei balconi, non sporge, di norma, rispetto al corpo principale dell’edificio di pertinenza.
Orbene, secondo la condivisibile giurisprudenza assolutamente prevalente di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 2865 del 2008 e Cass. n. 19281 del 2009), la sopraelevazione di cui all’art. 1127 c.c. si configura nei casi in cui il proprietario dell’ultimo piano dell’edificio condominiale esegua nuovi piani o nuove fabbriche in senso proprio ovvero trasformi locali preesistenti aumentandone le superfici e le volumetrie, ma non anche quando egli intervenga con opere di trasformazione relative all’utilizzazione del tetto che, per le loro caratteristiche strutturali (come quelle riconducibili ad un manufatto che occupi parzialmente la superficie del tetto stesso senza costituire un innalzamento, in senso stretto, in continuità ed in sovrapposizione rispetto all’ultimo piano), siano idonee a sottrarre il bene comune alla sua destinazione in favore degli altri condomini e ad attrario nell’uso esclusivo del singolo condomino. In tal senso, quindi, ai sensi del citato art. 1127 c.c., costituisce “sopraelevazione” soltanto l’intervento edificatorio che comporti lo spostamento in alto della copertura del fabbricato condominiale, mediante occupazione della colonna d’aria soprastante. E, del resto, la giurisprudenza di questa Corte è concorde anche nel rilevare che, in tema di condominio, sono legittimi, ai sensi dell’art. 1102 c.c., sia l’utilizzazione della cosa comune da parte del singolo condomino con modalità particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione, purché nel rispetto delle concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri condomini, sia l’uso più intenso della cosa, purché non sia alterato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari, dovendosi a tal fine avere riguardo all’uso potenziale in relazione ai diritti di ciascuno, con la conseguenza che, per converso, deve qualificarsi illegittima la trasformazione – anche solo di una parte – del tetto dell’edificio in terrazza ad uso esclusivo del singolo condomino, risultando in tal modo alterata la originaria destinazione della cosa comune, sottratta all’utilizzazione da parte degli altri condomini (cfr., ad es., Cass. n. 1737 del 2005; Cass. n. 24414 del 2006 e Cass. n. 5753 del 2007).
La Corte territoriale si è correttamente uniformata ai richiamati principi escludendo che l’altana potesse costituire propriamente una sopraelevazione, continuando a fungere da copertura dell’edificio la parte di tetto su cui insiste la sua struttura e, ancorché essa sia qualificabile come una costruzione, non rappresenta, però, l’espressione del diritto di sopraelevazione da intendere nei precisati sensi (diversamente dal modo in cui è stato invocato dalla ricorrente). Il giudice di appello ha, infatti, accertato, in virtù di un percorso argomentativo esaustivo e logico fondato su idonei accertamenti di fatto avallati anche dalle risultanze della c.t.u., che non poteva ritenersi intervenuta l’edificazione di un nuovo piano o, comunque, di una nuova fabbrica, consistendo l’altana, piuttosto, in una modifica della situazione preesistente mediante una diversa ed esclusiva utilizzazione di una parte della porzione comune con relativo impedimento agli altri condomini dell’inerente uso (con correlata violazione del divieto stabilito dall’art. 1120, comma 2, c.c.), essendo indubbio che gli altri condomini erano rimasti privati delle potenzialità di uso (come quelle, ad es., riconducibili alla possibilità di installazione di antenne e alla riparazione o manutenzione della copertura stessa) della parte di tetto occupata dalla struttura dell’altana a beneficio esclusivo della C.Z. .
Né coglie nel segno l’argomentazione prospettata dalla ricorrente secondo cui, ai fini della qualificazione dell’altana come sopraelevazione, si sarebbe dovuto tener conto anche del disposto di cui all’ultimo comma dell’art. 1127 c.c. (che disciplina i criteri di computo dell’indennità da corrispondere agli altri condomini in relazione al valore attuale dell’area da occuparsi), in virtù del quale si dovrebbe considerare come sopraelevazione ogni “nuova fabbrica”, la cui superficie utile, di calpestio, si vada ad aggiungere alle superfici preesistenti e si ponga sopra la linea terminale dell’ultimo piano preesistente.
Invero, deve, innanzitutto, considerarsi che il concetto generale di “sopraelevazione” è evincibile dal comma 1 del citato art. 1227 c.c., il quale pone riferimento all’attività di “elevazione” di nuovi piani o nuove fabbriche, mentre nei commi successivi esso viene meramente richiamato ad altri fini. L’uso del termine “elevazione” (e non di “utilizzazione”) implica – come già, oltretutto, evidenziato precedentemente – la conseguenza che la nuova costruzione debba necessariamente connotarsi per la sua idoneità a produrre un sollevamento ovvero un innalzamento ad un’altezza superiore rispetto al piano originario, mediante l’occupazione della colonna d’aria soprastante. La disposizione dell’ultimo comma dello stesso art. 1127 c.c. nella parte in cui pone riferimento “all’area da occuparsi con la nuova fabbrica” è diretta, in effetti, a dettare un semplice criterio di calcolo dell’indennità da corrispondere agli altri condomini in caso di sopraelevazione in senso stretto e la parte finale di detto comma avalla tale interpretazione, imponendo a colui che esegue una sopraelevazione l’obbligo di mantenere i diritti di uso e godimento che i condomini avevano in precedenza sulla copertura. Il riferimento specifico del comma in questione al lastrico solare, di cui si impone l’obbligo della ricostruzione nel caso in cui preesista alla sopraelevazione, ha la mera funzione di evidenziare l’impossibilità di interscambiabilità di un tipo di copertura rispetto ad un altro e di impedire, così, al proprietario dell’ultimo piano di sostituire il lastrico con altra forma di copertura (come potrebbe essere, ad es., quella di un tetto a falde).
3. Con il terzo ed ultimo motivo la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per la violazione dell’art. 1120 c.c. e la falsa applicazione dell’art. 1102 c.c., nonché per la carenza e, comunque, insufficienza di motivazione in relazione al punto decisivo della controversia riferito alla ritenuta circostanza che la costruzione dell’altana impediva agli altri condomini di far uso della parte del tetto occupata da tale manufatto (ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.).
3.1. Anche questo motivo è privo di fondamento e va, perciò, disatteso.
Secondo la ricostruzione dedotta dalla ricorrente, l’utilizzazione dello spazio aereo sovrastante il tetto comune, mentre non incide minimamente sulla struttura, sulla conformazione e sulla funzione dello stesso, consente al singolo condomino un miglior godimento della cosa comune alla quale ha apportato a proprie spese un incremento costituito dall’altana, la quale non sarebbe idonea a modificare né ad alterare la destinazione propria del tetto né ad impedire agli altri condomini di farne uso, secondo il loro diritto.
La riferita prospettazione non è meritevole di adesione.
Per quanto già evidenziato in relazione ai primi due motivi del ricorso ed escluso che l’altana possa essere qualificata come una sopraelevazione in senso proprio, la Corte di appello di Venezia, sulla base di una valutazione di merito adeguatamente motivata e riscontrata da conferenti accertamenti in punto di fatto, ha appurato che, mediante l’installazione arbitraria dell’altana ed in assenza di qualsiasi autorizzazione legale da parte della collettività condominiale, la ricorrente aveva illegittimamente occupato, a suo esclusivo vantaggio, un parte condominiale, sottraendola all’utilizzazione e godimento da parte degli altri condomini. In tal senso, perciò, il giudice di secondo grado si è uniformata al più convincente orientamento giurisprudenziale di questa Corte (cfr., soprattutto, Cass. n. 4466 del 1997; Cass. n. 1737 del 2005; Cass. n. 5753 del 2007, cit., e Cass. n. 14950 del 2008), al quale si aderisce, in virtù del quale, in tema di condominio, la sostituzione integrale o parziale del tetto – così come la sua permanente occupazione in parte con la sovrapposizione di altro manufatto – ad opera del proprietario dell’ultimo piano di un edificio condominiale, con una diversa copertura (terrazza od altra struttura equivalente, come potrebbe essere proprio un’altana) che pur non eliminando l’assolvimento della funzione originariamente svolta dal tetto stesso, valga ad imprimere al nuovo manufatto, per le sue caratteristiche strutturali e per i suoi annessi, anche una destinazione ad uso esclusivo dell’autore dell’opera, costituisce alterazione della destinazione della cosa comune e non può considerarsi insita nel più ampio diritto di sopraelevazione spettante al proprietario dell’ultimo piano.
In altri termini, qualora il proprietario dell’ultimo piano di un edificio condominiale provveda a modificare una parte del tetto condominiale trasformandola in terrazza (od occupandola con altra struttura equivalente od omologa) a proprio uso esclusivo, tale modifica è da ritenere illecita non potendo essere invocato l’art. 1102 c.c., poiché non si è in presenza di una modifica finalizzata al migliore godimento della cosa comune, bensì all’appropriazione di una parte di questa che viene definitivamente sottratta ad ogni possibilità di futuro godimento da parte degli altri, non assume alcun rilievo il fatto che la parte di tetto sostituita od occupata permanentemente continui a svolgere una funzione di copertura dell’immobile.
4. In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni esposte, il ricorso deve essere integralmente respinto. Si ravvisano, tuttavia, alla stregua della complessità delle questioni giuridiche trattate e della peculiarità della controversia (con riferimento anche alla particolarità della costruzione venuta in considerazione, sulla quale non constano precedenti di questa Corte), giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese relative al presente giudizio di legittimità tra le parti costituite, mentre non occorre adottare alcuna pronuncia in ordine al rapporto processuale intercorso tra la ricorrente e le altre parti intimate, che non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente, tra le parti costituite, le spese del presente giudizio.

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