L’addebito della separazione conseguente al tradimento non può fondarsi sulle voci di paese ma deve essere certo e, soprattutto, deve essere la vera causa che ha irrimediabilmente compromesso l’unione coniugale.

 

Cass. 9 maggio 2013 n. 11008
Svolgimento del processo

1) Con ricorso depositato il 13 febbraio 2001, R.M.A., che aveva contratto matrimonio concordatario in data ……con R. M., convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Avezzano quest’ultimo, chiedendo la pronuncia della separazione con addebito al coniuge per il comportamento aggressivo da lui tenuto – culminato in un episodio di lesioni verificatosi il 12 ottobre 2000, per il quale la ricorrente aveva sporto querela – con imposizione a carico del M. di un cospicuo assegno di mantenimento in suo favore, in considerazione del notevole divario di reddito tra lui, consulente del lavoro, proprietario di immobili e con reddito da lavoro annuo medio pari a circa lire 100.000.000, e lei, insegnante con reddito pari a lire 1.800.000 mensili, e che aveva anche contratto un mutuo per l’acquisto di una mansarda in comproprietà con la sorella. Il M. si costituì in giudizio, opponendo alla domanda della R. una richiesta di addebito della separazione alla stessa per violazione del dovere di fedeltà. Quanto agli aspetti economici, pose in rilievo la sostanziale parità dei rispettivi redditi, riferendosi le indicazioni della moglie al suo reddito lordo, e rivendicò la comproprietà della mansarda.
2) Con sentenza non definitiva del 13 febbraio 2003 il Tribunale adito pronunciò la separazione dei coniugi, rimettendo la causa al giudice istruttore per il prosieguo. Quindi, con sentenza definitiva in data 24 giugno 2006, respinse le domande, ritenendo non raggiunta la prova in ordine ai fatti rispettivamente dedotti dalle parti. Quanto agli aspetti patrimoniali, assegnata la casa coniugale alla moglie, il Tribunale stabilì l’obbligo per il coniuge di corrispondere in favore della donna un assegno mensile di mantenimento pari ad Euro 360,00.
3) Il M. propose gravame avverso la predetta sentenza. La R. propose appello incidentale chiedendo, oltre all’addebito della separazione al coniuge, un aumento del contributo di mantenimento e l’imposizione al coniuge del pagamento pro quota del mutuo contratto in costanza di matrimonio.
4) La Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza depositata il 19 giugno 2008, in parziale accoglimento del gravame, rigettò la domanda della R. di assegnazione dell’abitazione coniugale e, in parziale accoglimento dell’appello incidentale, determinò nella maggior somma di Euro 550,00 la misura dell’assegno mensile di mantenimento. Il giudice di secondo grado, quanto alla infedeltà della R. dedotta dal M. escluse la rilevanza, ai fini della decisione sull’addebito della separazione, della relazione sentimentale asseritamente intrattenuta dalla R. con tale P., osservando che, anche se fosse stata ritenuta raggiunta, nonostante la genericità degli elementi acquisiti, privi di univoche ed obiettive connotazioni fattuali e temporali, la relativa prova sulla base delle deposizioni testimoniali, essa non sarebbe stata comunque idonea a configurare il preteso addebito, in quanto, essendo tale rapporto intervenuto in epoca successiva o tutt’al più concomitante con la comparizione dei coniugi nella fase presidenziale del procedimento, avvenuta il 18 aprile 2001, non si sarebbe potuto ravvisare il nesso di causalità tra l’infedeltà e la crisi definitiva della coppia. Quanto alla asserita precedente relazione della R. con tale E..C., gli elementi emergenti dall’istruttoria erano, secondo la Corte, insufficienti ad acclararne l’effettiva sussistenza nonché il ruolo di causa efficiente in ordine al verificarsi dell’irreversibile crisi matrimoniale. Parimenti, quanto alla istanza di addebito della separazione al M., secondo la Corte di merito erano risultate sfornite di prova le affermazioni della donna in ordine ai comportamenti violenti del coniuge. La doglianza del M. relativa all’assegnazione della casa coniugale alla R. fu ritenuta fondata, attesa la mancanza di figli e la comproprietà della casa in capo ad entrambi i coniugi, che, quindi, avrebbero dovuto, quanto al godimento dell’immobile, fare applicazione delle norme in materia di comunione. Infine, quanto all’assegno di mantenimento, la Corte di merito sottolineò la rilevante disparità di reddito tra i coniugi e la conseguente impossibilità per la R. di mantenere, da separata, un tenore di vita analogo a quello che la convivenza matrimoniale le aveva consentito. In ordine all’ammontare dell’assegno, ritenne il giudice di secondo grado che il venir meno dell’assegnazione della intera casa coniugale alla R. comportasse inevitabilmente effetti economici negativi per la stessa, che non avrebbe potuto godere dell’intera abitazione.
5) Per la cassazione di tale sentenza ricorre il M. affidandosi a sette motivi. Resiste con controricorso la R. . Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
Motivi della decisione
1) Con il primo motivo di ricorso si deduce “vizio di motivazione della sentenza impugnata, rilevante ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., sotto il profilo dell’omesso e/o insufficiente esame di fatti, controversi e decisivi, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia oggetto di ricorso, che, ove presi in considerazione, avrebbero portato ad una diversa soluzione della controversia in ordine alla prova dell’adulterio apparente della R.”. Avrebbe errato la Corte di merito nell’escludere la sussistenza dei presupposti per l’addebito della separazione alla R., richiesto dall’attuale ricorrente, non avendo attribuito il dovuto rilievo alla circostanza che la frequentazione intrattenuta dalla donna con il suo collega E. C., per le modalità esteriori con le quali era stata coltivata e per l’ambiente nel quale i coniugi vivevano – una cittadina di provincia -, avesse comportato offesa alla sua dignità. I giudici di merito, valutate le deposizioni testimoniali, che non avevano pienamente confermato il rapporto amoroso tra la R. ed il C., avevano concluso per la non ravvisabilità di indizi gravi e concordanti in ordine a concreti comportamenti della donna intesi consapevolmente alla violazione del dovere di fedeltà né tali da ingenerare apparenze determinanti offesa alla dignità ed all’onore del coniuge. In particolare, la Corte di merito aveva valorizzato al riguardo la prospettazione del C. secondo la quale il suo rapporto con la R. sarebbe stato solo di particolare amicizia: ciò che, secondo il ricorrente, non avrebbe affatto escluso l’adulterio apparente, che sarebbe confermato, invece, dalle ulteriori risultanze probatorie, svalutate dal giudice di secondo grado. Conclusivamente, ai sensi dell’art. 366 bis, secondo periodo, cod. proc. civ., abrogato e tuttavia applicabile nella specie ratione temporis, il ricorrente sintetizza la illustrata censura osservando che la motivazione della sentenza impugnata si appalesa “inidonea a giustificare la decisione poiché, ai fini della prova del fatto controverso, ovvero dell’adulterio sentimentale della R., ha omesso di considerare e, comunque, non ha sufficientemente valutato: che il teste C. aveva ammesso la particolare ed ottima amicizia con la R., protrattasi per un anno e mezzo allorché non erano impegnati dall’orario scolastico; che la teste V. aveva riportato di aver sentito parlare i colleghi del marito di una relazione intrattenuta da questi con la R., che gli stessi si vedevano e che le frequentazioni erano abbastanza assidue; che i testi M..T. e P..D.B. avevano affermato, rispettivamente, di aver visto una volta la R. con un uomo in un atteggiamento abbastanza confidenziale e che si diceva che quest’ultima avesse delle relazioni; che la famiglia di origine del M. aveva ricevuto una telefonata e due lettere anonime, nelle quali si denunciava una relazione della R. ; che erano comparse scritte con vernice spray sui muri della cittadina ove i coniugi risiedevano, le quali schernivano il M. per il tradimento della moglie col C. ; elementi, questi, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia oggetto di ricorso e decisivi in ordine alla prova dell’adulterio apparente, in quanto, ove considerati, il giudice, logicamente argomentando, non poteva pervenire al risultato decisorio criticato dal momento che portavano, con un giudizio di verosimile certezza, ad una diversa soluzione della controversia giustificando il convincimento che la frequentazione della R. col C., in ragione degli aspetti esteriori con cui era stata coltivata, aveva dato luogo a più che plausibili sospetti di infedeltà, in violazione dei doveri derivanti dal matrimonio e pregiudicando la dignità personale del M.”.
2) Con la seconda censura si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ. La Corte di merito, pur avendo affermato il principio di diritto secondo il quale la prova dell’adulterio può desumersi anche solo attraverso presunzioni, avuto riguardo alla difficoltà di reperire prove dirette in una vicenda afferente alla sfera più intima delle persone, avrebbe, nella valutazione del caso di specie, ai fini della decisione sull’addebitabilità della separazione alla R., violato i criteri enucleabili in tema di formazione della prova per presunzioni dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ., obliterando elementi che avrebbero rivestito i caratteri della gravità e della precisione, ed omettendo di valutare organicamente gli elementi presuntivi isolati onde accertarne la concordanza con riguardo alla dimostrazione dell’apparenza dell’adulterio. La illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: “In tema di prova per presunzioni, a fronte dell’errore compiuto dal giudice del merito consistito, dapprima, nell’espungere dal quadro indiziario circostanze degne di farne parte ove esaminate nella loro giusta valenza atteso che rivestivano i caratteri della gravità e precisione, e, quindi, nell’isolarle artificiosamente, dica la Corte di Cassazione se il procedimento che deve seguirsi si articola, invece, in due momenti valutativi; in primo luogo occorre che il giudice valuti in maniera analitica ognuno degli elementi acquisiti al giudizio, onde conservare quelli che presi singolarmente rivestano i caratteri della precisione e della gravità, ossia presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; quindi, deve procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati ed accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non siano in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento”.
3) Con il terzo motivo si denuncia “vizio di motivazione della sentenza impugnata con riguardo alla contestata violazione delle norme di cui al motivo che precede, rilevante ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., sotto il profilo dell’omesso e/o insufficiente esame degli elementi indiziari, controversi e decisivi, acquisiti alla lite, che, ove presi in considerazione nel loro insieme nonché nel concorso degli altri provati in causa, avrebbero portato ad una diversa soluzione della controversia in ordine all’addebito”. La Corte di merito avrebbe erroneamente estrapolato dal quadro indiziario elementi che rivestivano i caratteri della gravità e precisione quanto alla potenziale efficienza probatoria della condotta della R., idonea a creare l’apparenza della violazione del dovere di fedeltà. Sintetizzando la doglianza ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., il ricorrente afferma che “la motivazione censurata si appalesa inidonea a giustificare la decisione poiché, sempre ai fini della prova dell’adulterio sentimentale della R., ha omesso di valutare e, comunque, non ha sufficientemente valutato, gli elementi indiziari addotti dal M., ovvero: il fatto che la teste V. aveva riportato di aver sentito parlare i colleghi del marito di una relazione intrattenuta da questi con la R., che gli stessi si vedevano e che le frequentazioni erano abbastanza assidue; che il teste D.B. aveva riferito che si diceva che la R. avesse delle relazioni; che la famiglia di origine del M. aveva ricevuto una telefonata e due lettere anonime, nelle quali si denunciava una relazione della R. ; che erano comparse scritte con vernice spray sui muri della cittadina ove i coniugi risiedevano, le quali schernivano il M. per il tradimento della moglie col C. ; elementi, questi, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia oggetto di ricorso e decisivi in ordine alla prova dell’adulterio apparente, in quanto, se considerati, il giudice, logicamente argomentando, non poteva pervenire al risultato decisorio criticato dal momento che portavano, con un giudizio di verosimile certezza, ad una diversa soluzione della controversia poiché giustificavano il convincimento che la frequentazione tra la R. ed il C., proprio in ragione degli aspetti esteriori con cui era stata coltivata, aveva dato luogo a più che plausibili sospetti di infedeltà ledendo la dignità del medesimo M., ove fossero stati valutati, dapprima in maniera analitica, onde conservare quelli che rivestivano i caratteri della precisione e gravità, e, quindi, apprezzati complessivamente nella loro sintesi, ed ancora suffragati, ai fini di una maggiore credibilità, dalle altre circostanze provate in causa – quali il fatto che il teste C. aveva ammesso la particolare ed ottima amicizia con la R., protrattasi per un anno e mezzo allorché non erano impegnati dall’orario scolastico; M..T. aveva riportato di aver visto una volta la R. con un uomo in un atteggiamento abbastanza confidenziale ed il M. aveva confessato di aver ricevuto, in maniera ossessiva, telefonate anonime che gli riferivano della relazione della moglie col C.”.
4) Con la quarta censura si deduce la violazione degli artt. 2730 e 2733 cod. civ. e dell’art. 116 cod. proc. civ. La Corte di merito avrebbe obliterato la confessione giudiziale resa dal M. in ordine all’avvenuto ricevimento da parte dello stesso di ossessive telefonate anonime che facevano riferimento ad una relazione intrattenuta dalla moglie con il C. ed al fatto che, contestualmente alle stesse, erano apparse scritte sui muri che lo schernivano per il tradimento. La illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: “A fronte dell’errore di diritto che si lamenta compiuto dal giudice di merito, consistito nella totale obliterazione delle risultanze di una prova legale, dica la Corte di Cassazione se la confessione giudiziale forma piena prova vincolante sia nei confronti della parte che l’ha resa sia nei confronti del giudice, che non potrà valutare liberamente la prova né accertare diversamente il fatto confessato”.
5) Con la quinta censura si deduce “vizio di motivazione della sentenza impugnata, con riguardo alla contestata violazione delle norme di cui al motivo che precede, rilevante ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., sotto il profilo dell’omesso esame di fatti, controversi e decisivi, confessati giudizialmente da M.R. ed aventi efficacia di prova legale, che, ove presi in considerazione, avrebbero portato ad una diversa soluzione della controversia in ordine alla prova dell’adulterio sentimentale della R.”. La Corte di merito, nella motivazione del proprio convincimento in ordine alla insussistenza dell’adulterio apparente, avrebbe erroneamente omesso di dare rilievo al fatto che proprio l’apparizione delle scritte con vernice spray nonché le telefonate anonime ricevute dal M. consentivano di reputare che gli incontri della R. con il C. erano stati idonei a creare le apparenze della violazione, da parte della prima, del dovere di fedeltà. La illustrazione della censura viene sintetizzata, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., nel modo seguente: “La motivazione censurata si appalesa inidonea a giustificare la decisione, poiché, ai fini della prova del fatto controverso, ovvero dell’adulterio sentimentale della R., ha omesso di valutare che la confessione giudiziale resa dall’odierno ricorrente faceva piena prova del fatto che anche il M. aveva ricevuto, in modo ossessivo, telefonate anonime che denunciavano la relazione della moglie col collega di lavoro C. e che, proprio in concomitanza con dette telefonate anonime, apparvero le scritte con vernice spray in corrispondenza della sua abitazione, del suo ufficio e dell’abitazione della madre; elementi probatori, questi, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia oggetto di ricorso e decisivi in ordine alla prova dell’adulterio apparente, in quanto, se considerati, il giudice, logicamente argomentando, non avrebbe potuto pervenire al risultato decisorio criticato dal momento che portavano, con un giudizio di verosimile certezza, ad una diversa soluzione della controversia poiché i fatti suindicati, anche in ragione dei circostanziati riferimenti fattuali e temporali risultanti dai capitoli di prova e di quelli riportati dal M., giustificavano il convincimento che le frequentazioni della R. col C. erano state idonee a dar luogo, agli occhi dei terzi, a più che plausibili sospetti di infedeltà, creando le apparenze di una violazione dell’indicato dovere”.
6) I cinque riportati motivi – da esaminare congiuntamente per la evidente connessione che li avvince – sono inammissibili. A prescindere dalla tecnica di redazione dei quesiti – che, almeno con riguardo ai lamentati vizi motivazionali, propongono reiteratamente, sotto diverse prospettazioni, ai fini della prova del fatto controverso, i medesimi elementi indiziari -, le doglianze in esame, al di là della formulazione della rispettiva rubrica, sono all’evidenza volte sostanzialmente ad una rivisitazione delle risultanze istruttorie sotto il profilo della valutazione che di esse ha operato la Corte di merito e del rilievo che tale apprezzamento ha assunto nella formazione del convincimento del giudice di secondo grado in ordine alla sussistenza dell’adulterio della R., ovvero dell’apparenza di esso, ai fini della pronuncia sull’addebito della separazione a costei, richiesto dall’attuale ricorrente. Ebbene, una siffatta censura non può trovare ingresso nel presente giudizio, essendo inibito al giudice di legittimità il riesame degli apprezzamenti svolti dal giudice di merito in ordine alla valenza sul piano probatorio delle emergenze processuali, sempre che il percorso seguito per pervenire al proprio convincimento risulti espresso chiaramente e non sia affetto da errori giuridici o da illogicità. Nella specie, il tessuto motivazionale della sentenza impugnata consente di ricostruire in modo completo l’iter logico-giuridico della decisione, e di escluderne la censurabilità. Ed infatti, la Corte aquilana ha esaminato analiticamente le deposizioni testimoniali acquisite, desumendone la inidoneità, anche per la non univocità ed obiettività, a confermare in modo incontrovertibile la relazione extraconiugale della R. con il C., né ad ingenerare apparenze determinanti offesa alla dignità ed all’onore del coniuge.
7) Con il sesto motivo si deduce “vizio di motivazione della sentenza impugnata, rilevante ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., sotto il profilo della contraddittoria valutazione del fatto, controverso e decisivo, che l’adulterio sentimentale della R. col C. aveva avuto il ruolo di causa efficiente in ordine al verificarsi della crisi coniugale”. La sentenza impugnata non consentirebbe la ricostruzione della ratio decidendi della pronuncia stessa nella parte in cui ha escluso ogni nesso di causalità tra la denunciata violazione del dovere di fedeltà da parte della R. e la situazione di intollerabilità della convivenza tra i coniugi. Le argomentazioni della Corte di merito, relative alla inesistenza di tale nesso né con riguardo alla relazione della R. con il C., collocata nel periodo risalente agli anni 1995-1996, né con riguardo a quella con il P., successiva o concomitante con l’udienza presidenziale del 18 aprile 2001, farebbero pensare ad una rottura dell’unità familiare precedente all’asserito primo rapporto extraconiugale della donna, conclusione che sarebbe contraddittoria con le risultanze probatorie, dalle quali non sarebbe emersa la preesistenza di una crisi irrimediabile tra i coniugi già in atto indipendentemente dalla relazione della R. con il C. . Il ricorrente sintetizza la doglianza nel modo seguente: “La motivazione censurata si appalesa inidonea a giustificare la decisione poiché, in ordine alla prova del fatto – controverso – che fu la frequentazione della R. col C. a rendere intollerabile la convivenza della prima col M., quella parte della medesima motivazione che lo ha escluso non può logicamente coesistere con l’altra parte che, invece, ha ritenuto che la medesima convivenza fosse intollerabile nell’aprile 2001, prima della relazione extraconiugale della R. con A..P. ; fatto, questo, che non consente una corretta ricostruzione della ratio decidendi che ha orientato il giudice nella soluzione giuridica raggiunta ed, al contempo, si appalesa decisivo in quanto, ove preso in considerazione, avrebbe portato ad una decisione diversa da quella adottata in ordine all’addebito, poiché, logicamente argomentando, avrebbe giustificato il convincimento che l’intollerabilità della convivenza tra il M. e la R. aveva trovato causa nella prima frequentazione, in difetto della prova della preesistenza di una rottura tra i coniugi, autonoma ed indipendente rispetto alla violazione del dovere di fedeltà che conseguì nel 1995/1996 all’adulterio apparente col C. ”.
8) Con il settimo motivo si deduce ancora “vizio di motivazione della sentenza impugnata, rilevante ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., sotto il profilo della omessa e/o insufficiente valutazione del fatto, controverso e decisivo, che l’adulterio sentimentale della R. col C. aveva avuto il ruolo di causa efficiente in ordine al verificarsi della crisi coniugale”. La tesi della Corte di merito, secondo la quale sarebbe mancata la prova del nesso di causalità tra l’assunto episodio di infedeltà della R. con il C. ed il determinarsi della intollerabilità della convivenza coniugale, risulterebbe incoerente con il materiale probatorio acquisito. La doglianza viene sintetizzata, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., nel modo seguente: “La motivazione censurata si appalesa inidonea a giustificare la decisione poiché, ai fini della prova del fatto controverso, ovvero della circostanza che l’adulterio sentimentale della R. col C., risalente agli anni 1996/1997 circa, fosse stato causa della frattura del rapporto coniugale della prima col M., ha omesso di valutare e, comunque, non ha sufficientemente valutato le ammissioni della R. nel ricorso introduttivo e quelle del M. in comparsa di risposta, nonché le affermazioni della teste M.M. ; elementi, questi, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia oggetto di ricorso e decisivi in ordine alla prova dell’adulterio sentimentale, in quanto, se considerati, il giudice, logicamente argomentando non poteva pervenire al risultato decisorio criticato dal momento che portavano, con un giudizio di verosimile certezza, ad una diversa soluzione della controversia giustificando il convincimento che furono proprio gli incontri tra la R. ed il C. a spiegare concreta incidenza negativa sull’unità familiare della prima col M.”.
9) Le due censure da ultimo illustrate, che vanno trattate congiuntamente, per la intima connessione logico-giuridica, sono inammissibili. È sufficiente, al riguardo, considerare che il percorso argomentativo della Corte di merito muove dal presupposto della inesistenza dell’adulterio, anche di quello solo apparente. In tale prospettazione, nemmeno si pone il problema del nesso di causalità tra l’infedeltà e la intollerabilità della prosecuzione della convivenza tra i coniugi.
10) In definitiva, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. In ossequio al principio della soccombenza, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del presente giudizio, che vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 3200,00, di cui Euro 3000,00 per compensi, oltre accessori di legge.

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