Ricorrono gli estremi della truffa contrattuale tutte le volte che uno dei contraenti ponga in essere artifizi o raggiri diretti a tacere o a dissimulare fatti o circostanze tali che, ove conosciuti, avrebbero indotto l’altro contraente ad astenersi dal concludere il contratto.
Gli artifizi o i raggiri richiesti per la sussistenza del reato di truffa contrattuale possono consistere anche nel silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze da parte di chi abbia il dovere di farle conoscere, indipendentemente dal fatto che dette circostanze siano conoscibili dalla controparte con ordinaria diligenza. In particolare dunque il silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze da parte di chi abbia il dovere giuridico di farle conoscere integra l’elemento oggettivo ai fini della configurabilità del reato di truffa, trattandosi di un raggiro idoneo a determinare il soggetto passivo a prestare un consenso che altrimenti non avrebbe dato. E in applicazione di questo principio è stato ritenuto correttamente configurato il reato di truffa, essendo il reato in esame configurabile, non soltanto nella fase di conclusione del contratto, ma anche in quella della esecuzione allorquando una delle parti, nel contesto di un rapporto lecito, induca in errore l’altra parte con artifizi e raggiri, conseguendo un ingiusto profitto con altrui danno.
Deve ritenersi integrato il reato di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico e non quello di falso in atto pubblico per induzione, nell’ipotesi della condotta del privato, parte di un contratto di compravendita immobiliare, che dichiari falsamente al notaio rogante la conformità urbanistica dell’immobile tacendo che lo stesso era stato oggetto di abusi edilizi. Il reato di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico sussiste dunque in quanto a carico del privato vi è l’obbligo giuridico di dire la verità in ordine alla condizione giuridica dell’immobile oggetto d’alienazione e alla corrispondenza dello stesso agli estremi della concessione, trattandosi d’obbligo preordinato alla tutela d’interessi pubblici, connessi all’ordinata trasformazione del territorio, prevalenti rispetto agli interessi della proprietà, mentre nessun obbligo di verificare la corrispondenza di tali dichiarazioni al vero incombe sul notaio rogante, tenuto solo a recepire le dichiarazioni del privato in ordine all’esistenza e agli estremi della concessione.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 19 marzo – 4 luglio 2013, n. 28703
Presidente Davigo – Relatore Diotallevi
Ritenuto in fatto
D.C. , nella sua qualità di parte civile, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste in data 5 marzo 2012, con la quale R.D. è stato assolto dai reati di truffa perché il fatto non sussiste e dal reato di false dichiarazioni rese a pubblico ufficiale in atto pubblico perché il fatto non costituisce reato.
A sostegno dell’impugnazione deduce:
a) Erronea applicazione della legge penale, (art. 640 c.p.). Manifesta illogicità della motivazione.
La ricorrente censura le valutazioni operate dai giudici di merito in ordine alla sussistenza dell’art. 640 c.p., relative all’opera realizzata dal R. . La ricorrente contesta che le modifiche realizzate concretizzino soltanto lievi difformità rispetto alla concessione edilizia e alla ritenuta buonafede del costruttore in ordine al mancato rispetto della normativa antisismica. In particolare contesta la ritenuta assenza della prova dell’elemento soggettivo del reato di truffa, con la conseguenza che il Rossi non avrebbe posto in essere gli artifici e raggiri necessari per carpire la buonafede della D. , e questo nonostante l’accertata difformità del fabbricato rispetto alla concessione edilizia e i vizi di realizzazione della copertura dell’unità abitativa. In sostanza la ricorrente censura il fatto che il Rossi sia venuto meno al dovere di informazione sancito dall’art. 1337 c.c. in particolare per i vizi occulti, relativi alla costruzione del tetto, accertati tramite le testimonianze e la CTU espletata in sede civile, pacificamente conosciuti dal ricorrente in base alle prove testimoniali e documentali acquisite. Né il comportamento della ricorrente (unitamente al coniuge) poteva essere interpretato come convinta consapevolezza dell’esecuzione delle riparazioni concernenti l’origine delle infiltrazioni dell’acqua, essendo stata effettuata la visita dell’immobile durante i mesi estivi; né il comportamento della figlia del R. , N. , poteva fungere da schermo causale al comportamento del padre. Peraltro proprio gli interventi parziali effettuati sul tetto dimostrerebbero la consapevolezza dell’uomo in ordine ai difetti esistenti. In realtà, secondo la ricorrente, il R. non avrebbe assicurato la garanzia di cui all’art. 1490 c.c.. Né potrebbe essere condiviso il giudizio formulato dalla Corte d’appello in ordine alla modesta entità del danno patito, peraltro eliminabile secondo la Corte d’appello con una semplice domanda di sanatoria. In ogni caso tale eventuale opportunità non farebbe venir meno la sussistenza della truffa contrattuale come non la farebbe venir meno la intervenuta richiesta di risarcimento del danno anziché quella della risoluzione del contratto.
b) Errata applicazione della legge penale con riferimento all’art. 483 c.p.; manifesta illogicità di motivazione.
Il ricorrente lamenta che le mendaci dichiarazioni del R. davanti al notaio in relazione alla conformità dell’immobile rispetto alla concessione edilizia, erroneamente sono state ritenute insufficienti ad integrare il reato di falso contestato. Come erroneamente sarebbe stata ritenuta la buona fede dei R. sul presupposto della mancata conoscenza dei progetti e delle difformità realizzate.
Considerato in diritto
1. Il ricorso della parte civile è fondato nei sensi più oltre chiariti.
2. Con riferimento al primo motivo osserva la Corte che il ricorso relativo alla motivazione in ordine alla valutazione dei fatti ed alla sussistenza della truffa è fondato; il giudizio espresso, infatti, non fa riferimento al principio di diritto che questa Corte ritiene di condividere.
Il compito del giudice di legittimità è quello di stabilire se il giudice di merito abbia nell’esame degli elementi a sua disposizione fornito una loro corretta interpretazione, ed abbia reso esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, applicando esattamente le regole della logica per giustificare la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass. 6^, 6 giugno 2002, Ragusa). Deve infatti affermarsi che, nella concreta fattispecie, il giudice di merito ha espresso un giudizio in ordine al compendio probatorio, carente nella motivazione; infatti gli elementi cui viene fatto riferimento (accertamenti tecnici e le deposizioni testimoniali in particolare) non sono stati utilizzati attraverso una coerente valutazione complessiva, utile a dimostrare l’omessa comunicazione da parte del costruttore Rossi del difetto strutturale riguardante le infiltrazioni d’acqua dal tetto, né a valorizzare la qualità e l’entità del danno accertato e cagionato dal prevenuto in conseguenza dei vizi strutturali del tetto e delle difformità del fabbricato, rispetto alla originaria concessione edilizia ed al progetto approvato. Allo stesso modo è stata sostanzialmente sottostimata la valutazione delle certificazioni degli enti Regionali, che hanno giudicato il fabbricato, così come consegnato agli acquirenti, non idoneo alla sua funzione. La fattispecie come sinteticamente rappresentata pertanto integra il disposto dell’art. 640 c.p., alla luce della giurisprudenza di questa corte che per la configurabilità di questo delitto ritiene che ricorrano gli estremi della truffa contrattuale tutte le volte che uno dei contraenti ponga in essere artifizi o raggiri diretti a tacere o a dissimulare fatti o circostanze tali che, ove conosciuti, avrebbero indotto l’altro contraente ad astenersi dal concludere il contratto. (Sez. 2, n. 32859 del 19/06/2012 – dep. 21/08/2012, D’Alessandro, Rv. 253660). E gli artifizi o i raggiri richiesti per la sussistenza del reato di truffa contrattuale possono consistere anche nel silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze da parte di chi abbia il dovere di farle conoscere, indipendentemente dal fatto che dette circostanze siano conoscibili dalla controparte con ordinaria diligenza. (Sez. 2, n. 41717 del 14/10/2009 – dep. 30/10/2009, P.C. in proc. Malandrin, Rv. 244952). Come deve ritenersi essere avvenuto nel caso di specie. In particolare dunque il silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze da parte di chi abbia il dovere giuridico di farle conoscere integra l’elemento oggettivo ai fini della configurabilità del reato di truffa, trattandosi di un raggiro idoneo a determinare il soggetto passivo a prestare un consenso che altrimenti non avrebbe dato. E in applicazione di questo principio è stato ritenuto correttamente configurato il reato di truffa, essendo il reato in esame configurabile, non soltanto nella fase di conclusione del contratto, ma anche in quella della esecuzione allorquando una delle parti, nel contesto di un rapporto lecito, induca in errore l’altra parte con artifizi e raggiri, conseguendo un ingiusto profitto con altrui danno. (Sez. 6, n. 5579 del 03/04/1998 – dep. 13/05/1998, Perina, Rv. 210613).
4. Deve essere inoltre accolto anche il secondo motivo di impugnazione. Osserva la Corte che nel caso di specie deve essere applicato il seguente principio di diritto in base al quale deve ritenersi integrato il reato di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico e non quello di falso in atto pubblico per induzione, nell’ipotesi della condotta del privato, parte di un contratto di compravendita immobiliare, che dichiari falsamente al notaio rogante la conformità urbanistica dell’immobile tacendo che lo stesso era stato oggetto di abusi edilizi. (Sez. 5, n.. 11628 del 30/11/2011 – dep. 26/03/2012, P.M. in proc. Pannarale e altri, Rv. 252298). Il reato di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico sussiste dunque in quanto a carico del privato vi è l’obbligo giuridico di dire la verità in ordine alla condizione giuridica dell’immobile oggetto d’alienazione e alla corrispondenza dello stesso agli estremi della concessione, trattandosi d’obbligo preordinato alla tutela d’interessi pubblici, connessi all’ordinata trasformazione del territorio, prevalenti rispetto agli interessi della proprietà, mentre nessun obbligo di verificare la corrispondenza di tali dichiarazioni al vero incombe sul notaio rogante, tenuto solo a recepire le dichiarazioni del privato in ordine all’esistenza e agli estremi della concessione. (Sez. 5, n. 35999 del 03/06/2008 – dep. 19/09/2008, Di Maulo e altri, Rv. 241585). La ricostruzione dei dati fattuali operata dalla parte civile appare coerente così come esposta nel ricorso e nelle memorie prodotte e sotto questo profilo la motivazione della Corte d’appello deve essere annullata, limitatamente agli effetti civili, anche perché la dichiarazione di conformità dell’immobile alle prescrizioni di legge era sottoposta ad una filiera di verifiche tecniche e al conseguente rilascio dei relativi certificati, che non potevano non rendere edotto il costruttore del reale stato dell’immobile medesimo.
5. Ne consegue che deve adottarsi pronunzia ai sensi dell’art. 622 c.p.p. come da dispositivo.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello per nuovo giudizio, a cui rimette la decisione in ordine alle spese del procedimento.