Nel procedimento per la reintegrazione della quota di eredità riservata al legittimario costui ha diritto di conseguire la quota stessa in natura, e qualora tale reintegrazione venga effettuata mediante corresponsione di una somma di danaro, essendo il credito del legittimario non di valuta, ma di valore, debba procedersi all’aestimatio rei con riferimento all’epoca dell’apertura della successione e, quindi, alla rivalutazione del quantum pecuniario al momento della decisione giudiziale, affinchè il danaro costituisca l’esatto equivalente del valore della quota dei beni in natura che gli sarebbe spettata, tenendosi conto, altresì, nel caso di beni fruttiferi, dei “frutti” da lui non percepiti.

 

Cass. 8 aprile 2013, n. 8515
Svolgimento del processo
Z.H. e I.E. con atto di citazione del 8 settembre 2002 convenivano davanti al Tribunale di
Trento Z.E., e assumendo che in data 21 giugno 1968 era deceduto il loro dante causa Z.L.
senza lasciare testamento, i suoi eredi legittimi eredi erano gli attori e il convenuto, a cui il de
cuius aveva lasciato soltanto la quota di 1/2, essendo in regime di comunione legale dei beni
con la moglie di un autovettura e di un libretto di risparmio con saldo di L. 429.988, che in vita
Z.L. aveva donato al figlio E. esonerandolo dalla collazione 1/3 indiviso di due particelle
fondiarie, beni che il convenuto in data 1 luglio 1999, dunque, successivamente alla morte del
padre aveva venduto a B.C. per un prezzo dichiarato di L. 150.000.000, che il prezzo inserito
nell’atto di vendita era sicuramente inattendibile e simulato trovandosi i terreni nel famoso
centro turistico di (…OMISSIS…. ), chiedevano che venisse accertata e dichiarata che la
donazione del 18.08.1967 fosse lesiva dei diritti di legittima spettanti alle attrici ai sensi
dell’art. 542 c.c. e che per tanto venisse ridotta per la parte eccedente la quota disponibile al
fine di reintegrare nei loro diritti di legittima le attrici e di conseguenza venisse condannato il
convenuto a pagare alle attrici gli importi corrispondenti alle loro quote di legittima.
Si costituiva Z.E. contestando la domanda delle attrice e assumendo che non di donazione si
fosse trattato ma di un atto posto in essere dal padre per sfuggire ai propri creditori, e che,
comunque, egli aveva corrisposto al padre il valore dei fondi versandogli tutti i suoi guadagni
nel periodo di celibato e, successivamente, oltre L. 40 milioni, che il padre poco prima di
dormire gli aveva confidato di aver acquistato l’appartamento ove viveva con la moglie,
intestandolo però alla figlia e al di lei marito V.M. con atto di compravendita del 10 maggio
1987, che pertanto la sorella era tenuta alla collazione di detto immobile. In via
riconvenzionale, Z.E. chiedeva che venisse accertato che il contratto di compravendita del 10
maggio 1987, era simulato con conseguente imputazione nella massa ereditaria e riduzione di
quanto lesiva del suo diritto di legittima, che i beni della pretesa donazione ricevuta dal padre
non facevano parte della massa ereditaria in quanto era stato esonerato dalla collazione, che
comunque allo stesso dovevano essere accreditate le somme asseritamente versate al padre.
Il Tribunale di Trento, con sentenza n. 981 del 2005 rigettava le domande riconvenzionali
avanzate da Z.E., accoglieva la domanda delle attrici relativa alla riduzione della donazione di
data 18.08.1967, disponendo l’attribuzione dei beni costituenti nel relictum, condannava lo
stesso Z.E. al pagamento in favore della madre I.E. della somma ai valori attuali di Euro
36.084,80 e al pagamento in favore della sorella He. della somma di Euro 36.757,84.
Condannava il convenuto al pagamento delle spese giudiziali.
Avverso questa sentenza proponeva appello Z.E. il quale eccepiva la carenza della motivazione
della sentenza e lamentava che il Giudice aveva respinto la richiesta delle prove in ordine alla
donazione in suo favore, nonchè il fatto che il Giudice non avesse considerato il valore degli
immobili al momento dell’apertura della successione, ma al momento della decisione. Si
costituiva Z.H. chiedendo il rigetto dell’impugnazione. La Corte di Appello di Trento con
sentenza n. 273 del 2006 rigettava l’appello e confermava la sentenza impugnata. A sostegno
di questa decisione la corte trentina osservava: a. che essendo stato Z. E. parte della
donazione del 1967 parte della donazione del 1967 la prova della simulazione della medesima
poteva essere data soltanto con contro scrittura; b) nell’ipotesi di restituzione dell’equivalente
della quota ereditaria in denaro, la determinazione doveva essere compiuta con riferimento al
momento della decisione giudiziale.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da Z.E. con ricorso affidato a quattro motivi.
Z.H. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1.= Con il primo motivo Z.E. lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 556 c.c. in
relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, sulla donazione di Z.L. a Z.E. nel 1967 e
sull’imputazione alla massa delle somme versate da Z.E. al padre. Z.E. sostiene di aver pagato
abbondantemente il terreno donatagli dal padre o di avere, comunque diritto di imputare le
somme versate al de cuius (una somma pari ad Euro 21181,45) a credito della sua quota di
legittima ed a debito della massa ereditaria, epperò, tale richiesta non è stata accolta – afferma
il ricorrente – dal primo Giudice e non è stata neppure considerata dalla Corte di merito. Il
Tribunale si sarebbe limitato, aggiunge ancora il ricorrente – ad affermare “che appare
irrilevante l’eventuale prova positiva in ordine a somme asseritamente versate dal figlio al
padre, atteso che eventuali versamenti potrebbero, comunque, riferirsi ad una collaborazione
del figlio nei confronti del padre nell’ambito del rapporto di lavoro”. La Corte di appello non ha sprecato “neppure una riga di motivazione per suffragare o confutare la decisione del primo
Giudice. Pertanto, conclude il ricorrente in questa sede si intende censurare l’inequivocabile
insufficienza di motivazione addotta dal primo Giudice, il quale si è limitato a ritenere i capitoli
di prova formulati inammissibili in quanto generiamo irrilevanti e l’assenza di una qualsivoglia
pronuncia sulle argomentazioni – del primo Giudice da parte della Corte di Appello. A
conclusione di queste osservazioni il ricorrente formula i seguenti quesiti di diritto: “1) Affermi
la Suprema Corte il diritto del ricorrente a provare, a fronte di inconfutabili versamenti di
somme di denaro effettuati in favore del de cuius, la natura di crediti di detti versamenti. 2)
Affermi la Suprema Corte il diritto del ricorrente di vedere imputare alla massa le somme
versate al de cuius a pari a L. 41.013.000 e, quindi, a credito della sua quota e a debito della
massa ai sensi dell’art. 556 c.c.. 3) Affermi la Suprema Corte se la motivazione della sentenza
pronunciata in sede di gravame non possa considerarsi legittima se il Giudice di Appello non
esprima le ragioni per le quali era da condividere la valutazione del primo Giudice, in modo che
emerga il percorso argomentativo che caratterizza le due sentenze e che tale percorso sia
corretto ed appagante.
1.1.= Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato. Intanto, va osservato che i primi
due quesiti sono inconferenti rispetto alla sentenza impugnata considerato che il Tribunale ha
esaminato e valutato la richiesta di ammissione di prova orale con la quale l’attuale ricorrente
intendeva dimostrare la natura dei versamenti di denaro che avrebbe effettuato a favore del
padre e – come anche afferma l’attuale ricorrente – il Tribunale ha ritenuto di escludere
l’ammissione di quella prova orale per la ragione assorbente che eventuali versamenti
avrebbero potuto riferirsi ad un rapporto di collaborazione lavorativa tra padre figlio. E tale
valutazione, è stata ritenuta sufficiente e appagante dalla Corte di Appello, laddove ha avuto
modo di specificare che la sentenza di primo grado era ampiamente motivata, anche per
quanto riguardo gli aspetti istruttori e l’esclusione della prova testimoniale. Pertanto, il
Tribunale prima e la corte di appello dopo, non hanno negato all’attuale ricorrente la possibilità
di provare la natura dei suoi versamenti ma hanno motivatamente ritenuto che la prova
richiesta, per sè stessa, fosse ininfluente rispetto alla decisione perchè non avrebbe assicurato
il risultato voluto e cioè che i versamenti di cui si dice, integrassero gli estremi di un
corrispettivo per i beni ricevuti dal padre e non, invece, quelli di un corrispettivo relativo ad
attività di lavoro.
1.2.= Il terzo quesito è, invece, infondato considerato che la Corte di Trento, in merito
all’ammissione della prova, ha adeguatamente motivato l’esclusione della prova orale richiesta,
non solo condividendo la valutazione del primo Giudice, ma specificando, ulteriormente, che
essendo stato Z.E. parte della donazione del 1967 la prova della simulazione poteva essere
data soltanto con controdichiarazione. Va tenuto conto che il dato, che Z.E. avrebbe voluto
dimostrare e, cioè, che, nonostante, l’atto del 1967 non riportasse l’indicazione di un
corrispettivo per i beni donati, di fatto avrebbe abbondantemente pagato il terreno donatogli
dal padre, presupponeva la dimostrazione di una simulazione, dimostrazione che è mancata e
che, comunque, non avrebbe potuto essere data mediante prova testimoniale. E di più, per
quanto abbiamo già detto non vi era neppure la prova certa che i pretesi versamenti cui fa
riferimento l’attuale ricorrente fossero stati effettuati quale corrispettivo del terreno donatogli e
non quale corrispettivo di una attività lavorativa che il padre avrebbe svolto a vantaggio del
figlio e che il capitolato di prova orale richiesta avrebbe potuto dissipare tale incertezza.
2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1417
c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 come vizio
della motivazione relativa alla valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione: sul contratto
di compravendita concluso nel 1987 da Z.H.e V.M. dissimulante un atto di donazione indiretta
da parte del di lei padre, Z.L.. Secondo il ricorrente, il Tribunale, avrebbe immotivatamente
errato nel non ammettere le prove orali, e la stessa prova per presunzioni, per dimostrare la
simulazione dell’atto di compravendita del 1987 avente ad oggetto l’acquisto da parte della
propria sorella He. e del di lei marito di un appartamento sito in (.. OMISSIS.. ), in realtà
dissimulante una donazione fatta dal de cuius alla figlia He., considerato che agendo in veste di
legittimario asseritamente leso nel suo diritto di riserva doveva essere considerato terzo. Ed
ancor di più la Corte di merito avrebbe errato nel non prendere in considerazione le censure
riferite al riguardo alla sentenza di primo grado. Il motivo viene concluso con la formulazione
dei seguenti quesiti: 1) Affermi la Suprema Corte se l’erede che agisca nella sua qualità di
legittimario per accertare che la simulazione dissimulata sia lesiva della quota di legittima a lui
spettante, della quale chiede la riduzione per reintegra nella quota di sua spettanza, diventi terzo rispetto all’atto impugnato. 2) Affermi la Suprema Corte se l’erede legittimario terzo
rispetto all’atto che si ritiene simulato, soggiaccia nell’accertamento della simulazione della
donazione alle limitazioni probatorie previste dall’art. 1417 c.c. o invece sia ammesso a
provare la simulazione di un contratto di compravendila tra il de cuius e un altro di cui egli è
estreaneo, a mezzo di prova testimoniale. 3) Affermi la Suprema Corte se la prova della
dissimulata donazione da parte dell’erede legittimario che è terzo rispetto all’atto impugnato
possa essere fornita per presunzioni, se gravi, precise e concordanti.
2.1.= Il motivo è inammissibile perchè non solo non coglie la ratio della sentenza impugnata e,
ancor prima, della sentenza del Tribunale di Trento, ma e, soprattutto, perchè i quesiti proposti
sono inconferenti rispetto alla sentenza, considerato che nè il Tribunale, nè la Corte di Trento
hanno affermato che le prove indicate dallo Z. non fossero ammissibili perchè lo stesso non era
da considerarsi terzo rispetto agli atti oggetto della pretesa simulazione, ma, al contrario
hanno ritenuto l’inammissibilità delle prove richieste per le ragioni indicate nell’ordinanza del Gi
del 28 novembre 2003.
3.= Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza o del procedimento, error
in procedendo, (art. 360 c.p.c., n. 4) in relazione agli artt. 112, 99 e 101, c.p.c. e dell’art. 24
Cost.. Secondo il ricorrente il comportamento del Giudice del merito censurato con i primi due
motivi viene denunciato anche sotto il profilo dell’error procedendo che comporta la nullità
della sentenza o del procedimento. Tenuto conto delle premesse di fatto e delle deduzioni di
diritto di cui ai precedenti motivi viene formulato il seguente quesito di diritto: Affermi la
Suprema Corte se gli stessi vizi di cui ai quesiti di diritto formulati ai punti 1^ e 2^
costituiscano errore in procedendo, e siano pertanto deducibili ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4,
anzichè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, e se in caso affermativo, gli errores in procedendo
comportino la nullità della sentenza e del procedimento. 3.1. = il motivo rimane assorbito dai o
nei precedenti motivi. Tuttavia è inammissibile considerato che il ricorrente non ha specificato
le ragioni per le quali i vizi denunciati nei motivi precedenti costituivano anche vizi in
procedendo.
4.= Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 555,
556, 561, 563 e 564 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè violazione dell’art. 360
c.p.c., n. 5, come vizio della motivazione relativa alla valutazione dei fatti rilevanti ai fini della
decisione. Avrebbe errato la Corte di Trento, secondo il ricorrente, nell’aver ritenuto che i beni
della donazione effettuata nel 1967 andavano valutati alla data della decisione e non al
momento della donazione. Il ricorrente lamenta ancora l’erroneità della stima della CTU e,
nonostante, avesse formulato specifiche censure alla relazione tecnica la Corte di merito non le
ha esaminato e neppure prese in considerazione. L’attuale ricorrente conclude il motivo in
esame formulando il seguente quesito: Affermi codesta Spettabile Corte se nel procedimento
per al reintegrazione della quota di eredità riservata al legittimario, costui abbia diritto di
conseguire la quota stessa in natura, e che, qualora tale reintegrazione venga effettuata
mediante corresponsione di una somma di denaro, essendo il credito del legittimario non di
valuta, ma di valore, debba procedersi all’aestimatio rei con riferimento all’epoca dell’apertura
della rivalutazione del quantum pecuniario della decisione giudiziale.
4.1. = Il motivo è fondato. E’ orientamento di questa Corte, che, in questa sede si intende
riconfermare, secondo il quale, nel procedimento per la reintegrazione della quota di eredità
riservata al legittimario costui ha diritto di conseguire la quota stessa in natura, e che, qualora
tale reintegrazione venga effettuata mediante corresponsione di una somma di danaro,
essendo il credito del legittimario non di valuta, ma di valore, debba procedersi all’aestimatio
rei con riferimento all’epoca dell’apertura della successione e, quindi, alla rivalutazione del
quantum pecuniario al momento della decisione giudiziale, affinchè il danaro costituisca
l’esatto equivalente del valore della quota dei beni in natura che gli sarebbe spettata,
tenendosi conto, altresì, nel caso di beni fruttiferi, dei “frutti” da lui non percepiti (Cass.
SS.UU. n. 1792/95 e n. 2383/92, Cass. n. 7478/2000). Ora, nel caso in esame, la Corte
territoriale ha errato nell’affermare che doveva essere corrisposto il valore attuale della quota
e non, invece – come avrebbe dovuto affermare – che doveva essere corrisposto il valore della
quota alla data di apertura della successione rivalutata all’attualità ed operare di conseguenza.
In definitiva, va accolto il quarto motivo del ricorso e rigettati gli altri. La sentenza impugnata
va cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata ad altra sezione della Corte di
appello di Trento, la quale provvederà al regolamento delle spese, anche del presente giudizio
di cassazione.
P.Q.M.La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso e rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in
relazione al motivo accolto e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di Appello di Trento
anche per il regolamento delle spese giudiziali del presente giudizio di cassazione.Così deciso
in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione civile della Corte Suprema di
Cassazione, il 14 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2013

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