Alla proposizione formale di apposita istanza di rimborso – laddove, non rientri tra quelle specifiche previste dall’ art. 30 del d.P.R. 633/72 – o alla equipollente dichiarazione del credito IVA nel relativo quadro della dichiarazione annuale, si applica il termine biennale di decadenza di cui alla norma succitata. Tuttavia, laddove la decadenza sia stata evitata con l’avvenuta presentazione dell’ istanza nel biennio, ed una volta che sulla richiesta si sia maturato il silenzio rifiuto, o vi sia stato un formale atto diniego, non potrà che essere applicato l’ordinario termine decennale di prescrizione di cui all’art. 2946 c.c., decorso il quale il diritto al rimborso si estinguerà definitivamente (v. Cass. 16477/04).

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 21 maggio – 6 settembre 2013, n. 20528
Presidente Cirillo – Relatore Valitutti
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza n. 62/18/08, depositata il 30.9.08 e notificata il 13.11.08, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Como avverso la decisione di primo grado, con la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla società L.F. s.r.l. in fallimento nei confronti dell’ avviso di diniego di rimborso, emesso dall’Amministrazione finanziaria sull’istanza avanzata dalla contribuente in data 28.10.04, ed avente ad oggetto un credito IVA per l’anno di imposta 1996.
2. La CTR – confermando la decisione di prime cure – riteneva, invero, che il credito IVA per l’anno 1996, in quanto riportato nella dichiarazione dell’anno successivo, fosse iscritto nell’anagrafe tributaria e, dunque, conosciuto dall’Erario, e che, pertanto, il diritto della contribuente al rimborso non avrebbe dovuto essere negato dall’Ufficio.
3. Per la cassazione della sentenza n. 62/18/08 ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate affidato a cinque motivi.
L’intimata non ha svolto attività difensiva.
Considerato in diritto
1. Con istanza in data 28.10.04 (reiterata il 13.10.05), la curatela del fallimento della società L.F. s.r.l. chiedeva il rimborso del credito IVA maturato per 1’anno 1996, ed esposto dalla società fallita, all’epoca ancora in bonis, nella dichiarazione dell’anno 1997. Nei confronti dell’avviso di diniego di rimborso dell’Amministrazione finanziaria, la contribuente proponeva ricorso alla CTP di Como, che lo accoglieva.
1.1. La decisione dì prime cure veniva, quindi, appellata dall’Ufficio, sul presupposto che – non essendo stato il credito in parola riportato nelle dichiarazioni dei due anni successivi (1998 e 1999) – si sarebbe maturata la decadenza del diritto al rimborso, per decorso del termine biennale previsto dall’art. 21 d.lgs. n. 546/92. L’appello veniva disatteso dalla CTR della Lombardia.
1.2. Avverso la decisione di secondo grado ha, pertanto, proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, sulla base di cinque censure.
2. Con i cinque motivi di ricorso – che, per la loro evidente connessione – vanno esaminati congiuntamente l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 21 d.lgs. 546/92, 30, 35, co. 4, e 74 bis d.P.R. 633/72, nonché 31 e 42 r.d. 267/42, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.
2.1. Avrebbe, invero errato la CTR nel ritenere la contribuente non decaduta dal diritto al rimborso in questione, per decorso del termine biennale di cui all’art. 21 d.lgs. 546/92, ancorché il credito IVA, dichiarato nell’anno 1997, non fosse stato più riportato nelle dichiarazioni per gli anni successivi (fino al 2002), né avesse formato oggetto di apposita istanza di restituzione nel biennio successivo a detta dichiarazione e fino alla data del fallimento, intervenuto nell’anno 2003. D’altro canto, non essendosi la società L.F. s.r.l. avvalsa del diritto alla detrazione, computando l’importo dell’eccedenza IVA nella dichiarazione del successivo anno (1998), e non avendo chiesto il rimborso nelle forme di cui all’art. 30 d.P.R. 633/72, il credito IVA per l’anno 1997 si sarebbe definitivamente estinto.
2.2. Il curatore del fallimento non avrebbe, pertanto, potuto richiedere il rimborso di tale credito, non potendo il medesimo – alla stregua di una corretta interpretazione degli artt. 31 e 42 l.f. – disporre ed esercitare diritti già estinti, per intervenuta decadenza, nel patrimonio del fallito, anteriormente alla dichiarazione di fallimento.
2.3. D’altronde, del tutto erronea si paleserebbe – ad avviso dell’Amministrazione ricorrente – l’impugnata sentenza, anche laddove non ha ritenuto indispensabile, ai fini del rimborso di imposta, che l’eccedenza dell’ IVA a credito fosse riportata nella dichiarazione presentata dal curatore per l’anno 2003 (anno del fallimento), ai sensi dell’ art. 74 bis d.P.R. 633/72, non essendo tale dichiarazione neppure emendabile – giacché non si verserebbe in ipotesi di errore materiale – in sede di liquidazione della stessa, ai sensi dell’art. 54 bis del decreto cit. Il diritto in parola – a parere dell’Agenzia delle Entrate – insorgerebbe, invero, in caso di società fallita, esclusivamente per effetto di tale dichiarazione della curatela e della successiva conclusione della fase di liquidazione dell’azienda, che segnerebbe il momento della cessazione dell’attività, che rende possibile il rimborso di imposta, a norma dell’art. 30, co. 2 d.P.R. 633/72. 3. Le censure suesposte sono infondate.
3.1. Non può revocarsi in dubbio, infatti, che la domanda di rimborso dell’IVA o di restituzione del credito d’imposta maturato dal contribuente debba ritenersi già presentata con la compilazione, nella dichiarazione annuale, del quadro relativo al credito, analogamente a quanto avviene in materia di imposte dirette, ed in linea con la Sesta Direttiva CEE, per la quale il diritto al ristoro dell’IVA versata “a monte” è principio basilare del sistema comunitario, per effetto del principio di neutralità di detta imposta. Per contro, la presentazione del modello di rimborso costituisce esclusivamente presupposto per l’esigibilità del credito e, quindi, adempimento necessario solo per dare inizio al procedimento di esecuzione del rimborso stesso.
Ne discende che, una volta manifestata in dichiarazione la volontà di recuperare il credito d’imposta, il diritto al rimborso, pure in difetto dell’apposita, ulteriore domanda, non può considerarsi assoggettato al termine biennale di decadenza previsto dall’art. 21, co. 2 del d.lgs. n. 546/92, ma solo a quello ordinario di prescrizione decennale ex art. 2946 cc. (cfr. Cass. 15229/12, 7684/12, 20039/11).
3.2. In altri termini, alla proposizione formale di apposita istanza di rimborso – laddove, come nella specie, non rientri tra quelle specifiche previste dall’ art. 30 del d.P.R. 633/72 – o alla equipollente dichiarazione del credito IVA nel relativo quadro della dichiarazione annuale, si applica il termine biennale di decadenza di cui alla norma succitata. Tuttavia, laddove la decadenza sia stata evitata con l’avvenuta presentazione dell’ istanza nel biennio, ed una volta che sulla richiesta si sia maturato il silenzio rifiuto, o vi sia stato un formale atto diniego, non potrà che essere applicato l’ordinario termine decennale di prescrizione di cui all’art. 2946 c.c., decorso il quale il diritto al rimborso si estinguerà definitivamente (v. Cass. 16477/04).
3.3. Ebbene, nel caso di specie, il credito IVA per l’anno 1996 era stato esposto dalla contribuente nella dichiarazione relativa all’anno 1997, esposizione equivalente – come dianzi detto – ad una domanda di rimborso o di restituzione del credito di imposta; di guisa che il termine decadenziale di due anni ex art. 21 d.lgs. 546/92 risulta, in concreto, rispettato. Di conseguenza, essendo stata la successiva formale istanza di rimborso proposta – com’è incontroverso nel giudizio – in data 28.10.04, per un credito dell’anno 1996, il diritto in parola non può ritenersi neppure estinto per intervenuta prescrizione. Per il che, contrariamente all’assunto dell’Amministrazione ricorrente, il curatore non ha esercitato un credito già estinto in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento, essendosi il medesimo – ben al contrario – attivato, nell’esercizio dei poteri concessigli dagli artt. 31 e 42 l.f., per far valere un credito di imposta già entrato nel patrimonio del fallito, per effetto della dichiarazione dell’anno 1997, e non ancora estinto per prescrizione.
3.4. Ne discende, altresì, che del tutto ininfluente si palesa, nel caso concreto, il richiamo – operato dall’Agenzia delle Entrate – al combinato disposto degli artt. 30, co. 3 e 74 bis d.P.R. 633/72. Tali disposizioni sono – per vero – dirette a disciplinare il diverso caso in cui un credito, non dichiarato dal contribuente in bonis, venga inserito dal curatore nella dichiarazione presentata ex art. 7 4 bis del decreto cit., con la conseguenza che il diritto al rimborso del credito stesso -soggetto al termine decennale di prescrizione ex art. 2946 c.c.. – sorge, al pari di quello scaturente dalla dichiarazione annuale, al momento della presentazione di detta dichiarazione da parte della curatela fallimentare (Cass. 27948/09, 9794/10).
Nel caso di specie, per contro, il diritto in parola -per i motivi dianzi esposti – deve considerarsi insorto nel patrimonio della società L.F. s.r.l., all’epoca ancora in bonis, già nell’anno 1997, con la presentazione della dichiarazione annuale IVA, e tale credito non si era ancora estinto per prescrizione al momento in cui il curatore del fallimento ha reiterato la richiesta di rimborso. Ne discende che il ricorso introduttivo della contribuente – come correttamente ritenuto da entrambi i giudici dei gradi di merito – deve ritenersi pienamente fondato.
4. Per tali ragioni, pertanto, il ricorso dell’Agenzia delle Entrate non può che essere rigettato. Nulla per le spese attesa la mancata costituzione della società L.F. s.r.l. in fallimento nel presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.

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