Deve ritenersi illegittima l’ordinanza di demolizione adottata nei confronti di un’opera (nel caso di specie, una platea in cemento armato, delimitata su tre lati da un muretto con funzione di contenimento della scarpata e la sovrastante tettoia), di cui si è dimostrato che la realizzazione risaliva “quantomeno al primo giugno 1950”, allorquando la disciplina invocata dal Comune appellante non era ancora stata approvata, essendo viceversa vigente la L. 1150/1942, in vigenza della quale, si ricorda, non occorreva uno specifico titolo edilizio (allora licenza edilizia) per la realizzazione di manufatti al di fuori dei centri abitati.
Cons. St., Sez. V, 3 ottobre 2013, n. 4889
N. 04889/2013
N. 06023/2002 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
sul ricorso numero di registro generale 6023 del 2002, proposto da:
Comune di Perugia, rappresentato e difeso dall’avv. Mario Cartasegna, con domicilio eletto presso Goffredo Gobbi in Roma, via Maria Cristina 8;
contro
Ryman Eugenee Catharina, rappresentata e difesa dall’avv. Fabrizio Giovagnoni, con domicilio eletto presso Domenico Marocco in Roma, via Tibullo, 10;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. UMBRIA – PERUGIA n. 00280/2002, resa tra le parti, concernente ingiunzione di rimozione manufatto per contenimento scarpata
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 giugno 2013 il Cons. Antonio Bianchi e uditi per le parti gli avvocati Cartasegna ;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso al Tar Umbria, la Signora Eugenee Catharina Ryman chiedeva l’annullamento dell’ordinanza n. 102 del 28 agosto 2000, con la quale il Comune di Perugia aveva ingiunto la demolizione di un manufatto (platea in cemento armato, delimitata su tre lati da un muretto con funzione di contenimento della scarpata, con sovrastante tettoia), utilizzato per l’alloggiamento e la protezione di una pompa di irrigazione a servizio di terreni agricoli.
La misura ripristinatoria era stata adottata sul rilievo che non risultava agli atti del Comune alcuna concessione edilizia per la realizzazione del manufatto medesimo, ricadente in zona vincolata.
In primo grado, la ricorrente sosteneva che per erigere la tettoia non era necessario ottenere alcun titolo abilitativo: si sarebbe tratto di un manufatto pertinenziale al servizio di una struttura agricola (la pompa), privo di rilevanza urbanistica ed eseguito negli anni ’50 (allorquando fu legittimamente installata la predetta pompa), nella vigenza della L. n. 1150/1942.
Si costituiva il Comune di Perugia, contestando la fondatezza del ricorso.
All’esito del giudizio, con sentenza 15 maggio 2002 n. 280, il Tar adito accoglieva il ricorso, ritenendo che il manufatto oggetto di contestazione potesse considerarsi parte integrante della pompa (installata quantomeno dal 1° giugno 1950) e, quindi, quale “volume tecnico liberamente realizzabile in uno con l’installazione della pompa”.
Avverso la predetta sentenza il Comune di Perugia ha quindi interposto l’odierno appello, chiedendone la riforma.
Si è costituita in giudizio la Sigora Ryman, chiedendo il rigetto del gravame e spiegando altresì appello incidentale, per ottenere la riforma della pronuncia di primo grado nella parte in cui ha disposto la compensazione delle spese di lite.
Alla pubblica udienza del 18 giugno 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Con l’unico mezzo di gravame il Comune di Perugia deduce l’erroneità della gravata sentenza , per non aver considerato che il manufatto per cui è causa insiste su area sottoposta a vincolo paesaggistico-ambientale.
Assume al riguardo che in tali aree, dall’entrata in vigore dell’art. 7 del D.L. n. 9/1982, era necessario il previo ottenimento di concessione edilizia ai sensi della l. n. 10/1977, anche per la realizzazione di costruzioni di natura pertinenziale o di impianti tecnologici.
Sostiene, poi, che sarebbe priva di rilevanza la circostanza per cui la pompa è stata installata in virtù di concessione ministeriale “di derivazione d’acqua dal fiume Tevere”, posto che il titolo edilizio che avrebbe dovuto essere acquisito per la realizzazione delle opere (tanto dello strumento irriguo, quanto del manufatto protettivo) rappresenta un atto formale autonomo e distinto dalla concessione medesima.
Contesta, infine, la qualificazione operata dal primo giudice dell’intervento edilizio quale mero volume tecnico, posto che la pompa ben potrebbe essere utilizzata in assenza di ulteriori opere e che quelle concretamente realizzate dalla Signora Ryman sarebbero, comunque, da questa scollegate.
2. La doglianza non può essere condivisa
2.1. Vero è , infatti , che nella vigenza dell’art. 7 del D.L. n. 9/1982 ( e della L. n. 10/77 ) la realizzazione di opere pertinenziali o di impianti tecnologici in aree sottoposte a vincolo paesaggistico necessitava comunque di specifica concessione edilizia, come dedotto dall’amministrazione appellante.
Tuttavia, nella specie, è del tutto ragionevole ritenere che le opere oggetto dell’ordinanza per cui è causa (ossia la platea in cemento armato, delimitata su tre lati da un muretto con funzione di contenimento della scarpata e la sovrastante tettoia), siano state edificate in contestualità o comunque in un momento prossimo alla installazione della pompa irrigua e, quindi, negli anni cinquanta, nella vigenza della L. n. 1550/1942.
Invero, del fatto che la pompa de qua sia in loco sin dal 1950, si ha contezza dall’analisi dell’atto di costituzione di servitù a rogito Notaio Francesco Tei in data 01.06.1950, rep. n. 4209/1946 e, segnatamente, dalla parte dedicata alla descrizione della servitù, in cui si riferisce della sua già avvenuta installazione “su piazzuola di cemento”.
Dalla natura delle opere in esame emerge, poi, che le stesse hanno oggettivamente lo scopo di proteggere lo strumento irriguo dalla caduta di materiale dalla scarpata e dagli agenti atmosferici, sicché, in assenza di prova contraria, non può che ritenersi che le stesse siano state realizzate, proprio per soddisfare detta esigenza, in contestualità o comunque in un momento prossimo alla installazione della pompa e non già a distanza di oltre venti o, ancor più, anni.
Del resto, il Comune di Perugia non ha fornito alcun elemento per far emergere il contrario, neppure a fronte delle allegazioni del privato in corso di causa, mancando così la prova che il presunto abuso sia stato perpetrato nella vigenza dell’invocato art. 7 del D.L. 9/1982 ( e della L. 10 /77 ).
Pertanto, a prescindere dalla natura pertinenziale o meno delle opere e dalla loro qualificazione come volume tecnico, correttamente il primo giudice ha accolto il ricorso proposto dalla Signora Ryman sul presupposto che l’opera contestata fosse stata realizzata “in uno con l’installazione della pompa”, avvenuta “quantomeno dal primo giugno 1950”, allorquando la disciplina invocata dal Comune appellante non era ancora stata approvata, essendo viceversa vigente la L. 1150/1942 .
Ed ai sensi di detta legge, è appena il caso di evidenziarlo, non occorreva uno specifico titolo edilizio ( in allora licenza edilizia ) per la realizzazione di manufatti ( come quelli per cui è causa ) al di fuori dei centri abitati.
L’appello principale proposto dal Comune di Perugia si appalesa quindi privo di fondamento e, come tale, da respingere.
3. L’appello incidentale proposto dalla Signora Ryman per ottenere la riforma della decisione del primo giudice nella parte in cui ha disposto la compensazione delle spese di lite, è parimenti privo di fondamento.
3.1. Ed invero, i profili sulla base dei quali viene ravvisata la sussistenza di motivi per addivenire alla condanna alle spese nei confronti dell’Amministrazione (errata individuazione del regime proprietario del terreno ove sono state realizzate le opere, errata individuazione del materiale di costruzione della platea e mancata considerazione di provvedimenti che avrebbero autorizzato le opere medesime), non hanno avuto rilievo nel giudizio di primo grado, concentratosi sulla qualificazione delle opere e sulla loro datazione, elemento quest’ultimo ragionevolmente desumibile dagli atti e dallo stato dei luoghi, ma non provato per tabulas.
Inoltre, a differenza di quanto sostenuto dall’appellante incidentale, è emersa l’insussistenza (seppur giustificata) di specifici titoli abilitativi per la platea, il muro e la tettoia contestati, essendo stata provata solo l’autorizzazione alla captazione delle acque a mezzo della pompa.
La decisione circa la compensazione delle spese di lite disposta dal T.A.R. Umbria appare, pertanto, incensurabile.
4.Conclusivamente, sia il ricorso principale che quello incidentale sono privi di fondamento e,quindi,da respingere.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando, respinge sia l’appello principale, come in epigrafe proposto, sia l’appello incidentale, confermando la gravata sentenza del Tar Umbria.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2013, con l’intervento dei magistrati:
Manfredo Atzeni, Presidente FF
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere, Estensore
Fabio Franconiero, Consigliere
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/10/2013
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO