In tema di nullità del testamento olografo, il requisito della sottoscrizione, previsto dall’art. 602 cod. civ. distintamente dall’autografia delle disposizioni in esso contenute, ha la finalità di soddisfare l’imprescindibile esigenza di avere l’assoluta certezza non solo della loro riferibilità al testatore, già assicurata dall’olografia, ma anche dell’inequivocabile paternità e responsabilità del medesimo che, dopo avere redatto il testamento – anche in tempi diversi – abbia disposto del suo patrimonio senza alcun ripensamento.

 

CORTE DI CASSAZIONE. SEZ. VI – 2 CIVILE – SENTENZA 1 ottobre 2013, n.22420 – Pres. Goldoni – est. Petitti

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. Il ricorrente si duole per la motivazione viziata con cui la adita Corte d’appello ha rigettato il gravame avverso la sentenza di primo grado, dichiarando nullo il testamento olografo di R.M. .

In specie, la Corte meneghina avrebbe del tutto omesso di considerare la rilevanza dirimente della firma apposta dalla de cuius sul plico contenente la scheda testamentaria, pervenendo a dichiarare nullo il testamento pur se lo stesso doveva ritenersi sottoscritto da R.M. .

1.1. Il motivo non è fondato.

La materia testamentaria è caratterizzata da un significativo livello di formalismo, di lunga tradizione storico-giuridica, che coinvolge anche il testamento olografo. Sebbene questo tipo di testamento non sia un atto pubblico e, quindi, non sia dotato di pubblica fede, tuttavia la legge prevede l’osservanza di determinate formalità, la mancanza delle quali è sanzionata con la nullità: la autografia e la sottoscrizione. Mancando, nel testamento olografo, la figura del pubblico ufficiale che attesti la effettiva riconducibilità delle dichiarazioni di ultima volontà al testatore, questo collegamento, che costituisce l’aspetto più importante dell’atto in esame, è garantito, nel testamento olografo, proprio dalla sottoscrizione.

Questa Corte ha così avuto modo di affermare che ‘in tema di nullità del testamento olografo, il requisito della sottoscrizione, previsto dall’art. 602 cod. civ. distintamente dall’autografia delle disposizioni in esso contenute, ha la finalità di soddisfare l’imprescindibile esigenza di avere l’assoluta certezza non solo della loro riferibilità al testatore, già assicurata dall’olografia, ma anche dell’inequivocabile paternità e responsabilità del medesimo che, dopo avere redatto il testamento – anche in tempi diversi – abbia disposto del suo patrimonio senza alcun ripensamento’ (Cass. n. 13487 del 2005).

Se, dunque, questa è la portata del requisito della sottoscrizione nel testamento olografo, ben si comprende la rigidità con cui la giurisprudenza di legittimità, in ossequio al dettato degli articoli 602 e seguenti cod. civ., ha interpretato la necessità della sottoscrizione da apporre in calce al testamento, negando, ad esempio, la validità del testamento con sottoscrizione apposta lateralmente (Cass. n. 16186 del 2003).

Tanto premesso, le censure svolte dal ricorrente nel primo mezzo di ricorso sono infondate. Invero il ricorrente propugna una tesi che non può trovare accoglimento nel contesto della normativa vigente. Accogliere il principio per cui il giudice dovrebbe andare alla ricerca degli elementi costitutivi di un testamento da qualificare come fattispecie a formazione complessa (e quasi progressiva, attesa la possibilità, giusta la tesi del ricorrente, di apporre successivamente e in altro supporto cartaceo la sottoscrizione), significherebbe svilire la finalità che la sottoscrizione deve assolvere, secondo quanto sopra riferito. Si aggiunga che un caso analogo a quello in esame è stato già oggetto di esame da parte di questa Corte, la quale ha chiarito che le conseguenze della mancanza della sottoscrizione di un testamento olografo non sono ovviabili da firme apposte dal testatore su una busta contenente la scheda testamentaria, perché tali elementi non sono sufficienti a collegare, logicamente e sostanzialmente, lo scritto della scheda con quello della busta, attestando invece dette firme soltanto l’esistenza all’interno di essa di un testamento, valido o invalido che sia (Cass. n. 15379 del 2000).

Poiché il Collegio condivide la soluzione accolta dalla pronuncia ora citata, il primo motivo di ricorso è infondato e non merita accoglimento.

2. Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia violazione degli articoli 91 e 112 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., nonché l’omessa motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., in ordine alla liquidazione delle spese. Il ricorrente lamenta l’omessa pronunzia da parte della Corte d’appello su una domanda specificatamente dedotta, in via subordinata, con l’atto di citazione in appello, relativa alla rideterminazione delle spese poste a suo carico in primo grado, con conseguente compensazione.

2.1. Il motivo è fondato.

Esso – sebbene erroneamente rubricato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ. – è da scrutinare, come reso evidente dalla sostanza della censura, sotto lo spettro del n. 4 del citato art. 360 e, dunque, come error in procedendo, posto che si addebita alla Corte di appello di aver violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, di cui agli artt. 112 e 345 cod. proc. civ., per non avere esaminato un motivo di appello, proposto in via subordinata e quindi destinato ad essere preso in esame per effetto del rigetto del primo motivo di appello.

Il ricorrente, invero, aveva contestato, in appello, l’ammontare delle spese poste a suo carico dal Tribunale di Milano. In particolare, egli aveva contestato la nota spese della controparte e l’indicazione del valore della causa come indeterminabile. Queste censure erano state poste alla Corte d’appello in via subordinata, per il caso in cui i giudici di secondo grado avessero ritenuto infondato il motivo di appello proposto in via principale, volto ad ottenere l’integrale riforma della sentenza impugnata con ogni conseguente provvedimento. La Corte d’appello, pur rigettando l’appello principale, si è tuttavia, limitata a compensare le spese del grado di appello, sussistendo giusti motivi.

Orbene, considerato che secondo la giurisprudenza di questa Corte ‘il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato ex art. 112 cod. proc. civ., ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto’ (Cass. n. 7653 del 2012), il secondo motivo di ricorso è fondato e merita accoglimento, dal momento che la Corte d’appello non ha minimamente considerato la domanda ritualmente proposta dall’appellante in via subordinata rispetto all’eventuale rigetto dell’impugnazione.

Né può ritenersi che la Corte d’appello abbia implicitamente rigettato il secondo motivo, atteso che nulla lascia intendere che la Corte stessa si sia posta il problema della denunciata eccessività delle spese liquidate dal giudice di primo grado, essendosi invece la Corte d’appello limitata a dare conto delle articolate statuizioni in tema di spese del giudizio di appello da essa adottate.

3. In conclusione, rigettato il primo motivo di appello, ed accolto il secondo, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione.

Al giudice di rinvio è demandata, altresì, la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso e accoglie il secondo; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.

Con atto di citazione notificato il 16 febbraio 2007, G.B. conveniva R..I. dinanzi al Tribunale di Milano, per sentir dichiarare nullo o, in subordine, annullabile, il testamento olografo con il quale la figlia M..R. , deceduta in (omissis) , aveva istituito quale unico erede proprio l’I. .
Previo annullamento del testamento, l’attrice chiedeva volersi dichiarare la propria qualità di unica erede, assieme ai suoi figli, germani della defunta, R.R.F. e C.E. , oppure, in estremo subordine, volersi ridurre la disposizione testamentaria ai sensi dell’art. 554 cod. civ., con attribuzione a suo favore della quota legittima di eredità, ai sensi dell’art. 538 cod. civ., il tutto con condanna del convenuto per lite temeraria ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ. e con vittoria di spese.
L’asse ereditario morendo dismesso da M..R. ricomprendeva beni immobili, conti correnti e conti di deposito. La de cuius, in data 13 ottobre 2006, aveva fatto recapitare, a mezzo posta, un plico, recante nello spazio riservato alle generalità del mittente la propria firma, all’Avvocato Pierpaolo Bottino del foro di Genova, contenente una scheda testamentaria con la quale ella disponeva dei propri beni per il periodo successivo alla propria morte, che sarebbe avvenuta, per suicidio, due giorni dopo, in data (omissis) .
L’Avvocato Bottino si recava, dunque, dal notaio Paolo Torrente di Genova il quale, in data 31 ottobre 2006, dava lettura del testamento, constatando, però, la mancanza della sottoscrizione non solo in calce al testamento, ma in tutta la scheda testamentaria, trovandosi, l’unica sottoscrizione della defunta, sul retro del plico che conteneva il documento.
Si costituiva in giudizio il convenuto R..I. eccependo l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza della domanda di annullamento del testamento e il difetto di legittimazione attiva della attrice rispetto alla domanda volta all’accertamento della qualità di eredi dei suoi figli R.R.F. e C.E. . Il convenuto svolgeva, poi, domanda riconvenzionale al fine di sentir dichiarare valido ed efficace il testamento olografo di M..R. ; chiedeva, altresì, l’accoglimento della domanda di riduzione chiesta dall’attrice, non opponendosi al riconoscimento della quota legittima nella misura di un terzo, e l’inammissibilità della domanda di condanna per lite temeraria ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., il tutto con statuizione sulle spese che seguisse il principio della soccombenza.
Il convenuto R..I. incentrava le proprie difese, fin dal primo grado di giudizio, sulla possibilità di ritenere la validità del testamento olografo, essendo la firma stata apposta sul plico contenente il documento.
Il convenuto chiedeva di essere autorizzato a chiamare in causa i germani R.R.F. e R.C.E. i quali si costituivano con comparsa del 23 gennaio 2008, formulando, a loro volta, domanda di nullità o, in subordine, di annullamento, del testamento e chiedendo di concorrere, in qualità di fratelli, alla successione di M..R. , ai sensi dell’art. 571 cod. civ..
Su istanza di B..G. , il Tribunale di Milano, con provvedimento del 5 febbraio 2007, sottoponeva i beni facenti parte dell’asse ereditario a sequestro conservativo.
Con sentenza n. 2798/10 del 23 febbraio 2010, depositata il 4 marzo 2010, in accoglimento delle domande attoree, il medesimo Tribunale dichiarava nullo il testamento olografo di R.M. , riconoscendo eredi legittimi la madre B..G. e i fratelli R.F..R. e C.E..R. . Rigettava, per l’effetto, ogni domanda di R..I. , ponendo definitivamente a suo carico le spese processuali.
Avverso tale sentenza, R..I. proponeva appello dinanzi alla Corte d’appello di Milano, con atto di citazione del 19 aprile 2010 chiedendo, in via principale, la integrale riforma della sentenza di primo grado con conseguente dichiarazione di validità del testamento olografo di M..R. , con ogni consequenziale statuizione; in via subordinata, in caso di rigetto dell’appello, l’I. chiedeva di revocare la statuizione sulle spese, disponendone la compensazione.
Gli appellati si costituivano con successive comparse di risposta, chiedendo il rigetto, perché infondato, dell’appello proposto e che venisse ordinato all’appellante di cancellare tutte le trascrizioni e/o iscrizioni effettuate sugli immobili ricompresi nell’asse ereditario; con vittoria di spese.
Con sentenza n. 930/11, la Corte d’appello rigettava l’appello proposto da R..I. , compensando le spese del grado di appello.
Per la cassazione di questa sentenza, l’Avvocato I. ha proposto ricorso affidato a due motivi.
R.F..R. e C.E..R. hanno resistito con controricorso, eccependo l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza del ricorso principale. Gli intimati si sono costituiti in proprio e in qualità di unici eredi di G.B. , deceduta nelle more della instaurazione del giudizio di legittimità.
Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..

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