L’atto di costituzione in mora del debitore non è soggetto a particolari modalità di trasmissione, né alla normativa sulla notificazione degli atti giudiziari, nel caso in cui detta intimazione sia inoltrata con raccomandata a mezzo del servizio postale, la sua ricezione da parte del destinatario può essere provata anche sulla base della presunzione di ricevimento fondata sull’arrivo della raccomandata all’indirizzo del destinatario, essendo quest’ultimo onerato di provare di non averne avuta conoscenza senza sua colpa, (Cass. n. 13651 del 2006). Questo perché la ricevuta di spedizione dall’ufficio postale costituisce, anche in mancanza dell’avviso di ricevimento, prova certa della spedizione, e da essa consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale, di arrivo dell’atto al destinatario e della sua conoscenza ex art. 1335 cod. civ. (Cass. n. 12954 del 2007; Cass. n. 13488 del 2011).
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 23 ottobre – 28 novembre 2013, n. 26708
Presidente Piccialli – Relatore Petitti
Fatto e diritto
Ritenuto che Z.N.H. e M.V.I. proponevano opposizione avverso un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, notificato nei loro confronti da parte del Condominio (…), sito in (…), presso il quale avevano acquistato un alloggio; mediante tale provvedimento era stato loro ingiunto il pagamento della somma di Euro 3.521,65 a titolo di spese condominiali che la precedente proprietaria dell’alloggio aveva omesso di pagare;
che il Giudice di Pace adito, dapprima sospendeva l’esecutività provvisoria del decreto opposto; successivamente, previa escussione di prova testimoniale, pronunciava sentenza di rigetto dell’opposizione proposta e revocava l’ordinanza di sospensione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto, condannando altresì gli attori-opponenti al pagamento di tutte le spese di giudizio;
che avverso tale sentenza i soccombenti proponevano gravame;
che gli appellanti, non contestando il loro debito ex art. 63, comma secondo, disp. att. cod. civ., da un lato, deducevano un’erronea applicazione dell’art. 649 cod. proc. civ., ritenendo illegittima la revoca dell’ordinanza di sospensione dell’esecutività provvisoria del decreto ingiuntivo; dall’altro, lamentavano, con una serie di motivi d’appello, l’insufficiente o contraddittoria motivazione su vari punti decisivi per la controversia, con particolare riferimento alla presunzione di conoscenza, posta a loro carico dal giudice di pace, dell’atto di costituzione in mora inviato dal Condominio XX: a loro dire, il mancato ritiro della diffida stragiudiziale entro il termine di compiuta giacenza con conseguente restituzione del plico al mittente non sarebbe stato sufficiente a provare, come invece ha ritenuto il giudice di primo grado, l’arrivo della raccomandata di messa in mora al loro indirizzo, con conseguente insussistenza della presunzione di conoscenza ex art. 1335 cod. civ.;
che il Tribunale di Biella rigettava l’appello, ritenendo che l’atto di costituzione in mora inviato dal Condominio XX agli appellanti – debitori tramite raccomandata con avviso di ricevimento si poteva presumere giunto a conoscenza di questi poiché, tramite l’attestazione dell’ufficio postale circa la spedizione del plico, risultava pervenuto all’indirizzo del destinatario, il quale, d’altra parte, non aveva provato di non averne avuto notizia senza colpa;
che il Tribunale non si pronunciava sugli altri motivi d’appello, ritenendoli assorbiti;
che la sig.ra Z. propone ricorso per cassazione, sulla base di quattro motivi;
che con il primo motivo censura la sentenza impugnata per omessa motivazione ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ., poiché il giudice d’appello si sarebbe pronunciato solo su un motivo d’appello, omettendo di pronunciarsi in merito agli altri;
che con il secondo motivo di ricorso, la parte ricorrente denuncia, ex art. 360, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 1219 cod. civ., per avere il giudice d’appello ritenuto sussistente la prova dell’avvenuto ricevimento dell’atto di costituzione in mora;
che con il terzo motivo di ricorso, la ricorrente deduce, ex art. 360, n. 5), cod. proc. civ., il vizio di omessa motivazione, lamentando che la sentenza impugnata avrebbe omesso di statuire su alcune istanze proposte in appello;
che, infine, con il quarto motivo di ricorso, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ., perché il Tribunale di Biella non avrebbe tenuto conto, nella pronuncia di condanna alle spese, del rifiuto di conciliazione da parte del Condominio XX, reiterato sia in primo che in secondo grado;
che l’intimato ha resistito con controricorso;
che, essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., che è stata comunicata alle parti e al Pubblico Ministero.
Considerato che il relatore designato ha formulato la seguente proposta di decisione:
“[ (…)] Il primo e il terzo motivo di ricorso, da valutare congiuntamente, sono inammissibili poiché, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la Corte d’Appello, a seguito della valutazione del motivo esaminato, ha ritenuto assorbite tutte le altre doglianze. La ricorrente non coglie questo aspetto, ma si limita a denunciare una omessa pronuncia (sia pur come vizio di motivazione), omettendo tuttavia di spiegare le ragioni per le quali il motivo esaminato non sarebbe in realtà assorbente. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Partendo dal presupposto che l’atto di costituzione in mora del debitore non è soggetto a particolari modalità di trasmissione, né alla normativa sulla notificazione degli atti giudiziari, nel caso in cui detta intimazione sia inoltrata con raccomandata a mezzo del servizio postale, la sua ricezione da parte del destinatario può essere provata, come è stato fatto dal giudice di secondo grado, anche sulla base della presunzione di ricevimento fondata sull’arrivo della raccomandata all’indirizzo del destinatario, essendo quest’ultimo onerato di provare di non averne avuta conoscenza senza sua colpa (Cass. n. 13651 del 2006). Questo perché la ricevuta di spedizione dall’ufficio postale costituisce, anche in mancanza dell’avviso di ricevimento, prova certa della spedizione, e da essa consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale, di arrivo dell’atto al destinatario e della sua conoscenza ex art. 1335 cod. civ. (Cass. n. 12954 del 2007; Cass. n. 13488 del 2011). E la ricorrente non deduce di avere dedotto, nei gradi di merito, elementi di fatto idonei a contrastare la detta presunzione.
Né costituisce valido precedente quello indicato dalla ricorrente (Cass. n. 19599 del 2011), atteso che il principio affermato da detta decisione si riferisce alla ipotesi della notificazione a mezzo del servizio postale del ricorso per cassazione, e non anche ad un atto di costituzione in mora, per il quale vale la disciplina di cui all’art. 1335 cod. civ., nella interpretazione consolidata ad essa data dalla giurisprudenza di legittimità.
Inammissibile è infine il quarto motivo di ricorso, atteso che il giudice di merito, cui è attribuito il potere di disporre in ordine alle spese del giudizio, ha fatto applicazione del criterio della soccombenza. È noto, del resto, che il regolamento delle spese, fuori della ipotesi di violazione del principio di soccombenza per essere stata condannata la parte totalmente vittoriosa, è rimesso, anche per quanto riguarda la loro compensazione, al potere discrezionale del giudice di merito.
Per questi motivi, si ritengono sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio, per essere ivi dichiarato manifestamente infondato ai sensi dell’art. 375, n. 5), cod. proc. civ.”;
che il Collegio condivide la proposta di decisione, alla quale del resto non sono state rivolte critiche di sorta;
che quindi il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente, in applicazione del principio della soccombenza, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi e agli accessori di legge.