La responsabilità dell’abuso edilizio compete al proprietario del bene, e l’ordinanza di demolizione non va notificata a tutti i comproprietari, in base al principio di responsabilità plurisoggettiva, ma a chi ha materialmente la disponibilità del bene.
Tar Campania – Sede di Napoli – Sezione IV – Sentenza 30 gennaio 2014 n. 711
N. 00711/2014 REG.PROV.COLL.
N. 05857/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero 5857 del 2008, integrato da motivi aggiunti, proposto da DP PATRIZIA,
rappresentata e difesa dall’Avv. Maria Gabriella … nel cui studio è elettivamente domiciliata in
Napoli, via Suarez n. 2\A n. 670, come da procure a margine del ricorso e dei motivi aggiunti;
contro
Comune di Napoli in persona del Sindaco pro tempore, autorizzato a stare in giudizio come da
deliberazione della Giunta Municipale n. 1584 del 12 novembre 2008, rappresentato e difeso dagli
Avvocati Giuseppe Tarallo, Barbara Accattatis Chalons d’Oranges, Antonio Andreottola, Eleonora
Carpentieri, Bruno Crimaldi, Annalisa Cuomo, Anna Ivana Furnari, Giacomo Pizza, Anna Pulcini,
Bruno Ricci, Gabriele Romano, con i quali è elettivamente domiciliato in Napoli, piazza Municipio
– Palazzo S. Giacomo, presso l’Avvocatura Municipale, come da procura a margine dell’atto di
costituzione in giudizio;
per l’annullamento
Quanto al ricorso principale, dell’ordine di demolizione di cui alla disposizione dirigenziale n. 555
del 27 giugno 2008, recante l’ordine di demolizione di un fabbricato composto da piani
seminterrato, terreno e primo abusivamente eretto in via Cupa Arianova V traversa di fronte al
civico 49;
quanto ai motivi aggiunti, dell’atto di acquisizione gratuita al patrimonio comunale dei medesimi
immobili, di cui alla disposizione dirigenziale n. 55 del 30 gennaio 2012.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2013 il consigliere Achille Sinatra e uditi per
le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. – Con ricorso notificato il 21 ottobre 2008 e depositato il successivo giorno 15 di novembre, la
signora Patrizia Dp ha impugnato la disposizione dirigenziale n. 555 del 27 giugno 2008, recante
l’ordine di demolizione di un fabbricato composto da piani seminterrato, terreno e primo
abusivamente eretto in via Cupa Arianova V traversa di fronte al civico 49, esteso
complessivamente 580 metri quadrati ed alto 7,80 metri dal suolo, compreso in un’area recintata da
muri di tufo alti circa un metro su due dei quattro lati del terreno circostante.
La ricorrente, dichiaratasi unica proprietaria del cespite abusivo, espone che esso insiste sulle
particelle catastali 489, 490 e 496 del foglio di mappa 4 di Napoli, dove sorgeva un antico “comodo
rurale” in rovina, che ella avrebbe fatto oggetto di ristrutturazione edilizia.
Prosegue la ricorrente affermando che, nel corso di un sopralluogo condotto dalla Polizia
municipale il 17 maggio 2008, sarebbe stato erroneamente individuato quale proprietario del cespite
e responsabile dell’abuso del cespite il sig. Carmine Dp.
Dopodichè l’interessata censura il provvedimento impugnato per i seguenti motivi:
1) Violazione del diritto di difesa per omessa notifica alla ricorrente, vera proprietaria del cespite, e
conseguente difetto di istruttoria;
2) Errata individuazione dei proprietari del fabbricato da demolire, che sorgerebbe, secondo l’atto
gravato, sulle particelle 488 e 495, mentre secondo un atto di divisione del 20 settembre 1993 la
ricorrente è proprietaria della sola particella 488, ma non della 495, con conseguente impossibilità
di procedere alla demolizione, oltre al difetto istruttorio;
3) l’intervento in questione, in forza della L. R. n. 19\2001, non comportando variazioni di
volumetria, ma soltanto di sagoma, rispetto al preesistente fabbricato, andrebbe qualificato
ristrutturazione edilizia, e non nuova costruzione (come ritenuto dal Comune) sicchè sarebbe
soggetto solo a d.i.a., e non a permesso di costruire;
4) peraltro la ricorrente, per gli interventi in questione, avrebbe presentata domanda di accertamento
di conformità ai sensi dell’art. 36 DPR n. 380\2001;
5) l’Amministrazione avrebbe violato l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento
amministrativo;
6) difetto di istruttoria e motivazione sotto il profilo della mancata enunciazione dell’interesse
pubblico alla demolizione;
7) l’impugnata disposizione violerebbe anche i principi desumibili dalla sentenza n. 5\1980 della
Corte Costituzionale e l’art. 5 bis D.L. n. 333\1992, che riportano al necessario ristoro dell’effettivo
pregiudizio patito dai soggetti cui la proprietà immobiliare sia stata espropriata.
La ricorrente ha chiesto, sulla scorta di tali motivi, l’annullamento dell’ordine di demolizione
gravato.
2. – Successivamente, con disposizione dirigenziale n. 55 del 30 gennaio 2012, il Comune di Napoli
ha disposto l’atto di acquisizione gratuita al patrimonio comunale del medesimo immobile oggetto
del predetto ordine di demolizione, che era rimasto inottemperato.
Contro tale determinazione la signora Dp ha proposto –con ricorso per motivi aggiunti notificato il
31 gennaio 2013 e depositato il successivo 27 di febbraio- le medesime censure già appuntate
sull’ordine di demolizione (motivi aggiunti primo, terzo, quarto e quinto), oltre che per:
– illegittimità derivata (secondo motivo aggiunto);
– sostanziale interesse pubblico alla demolizione, essendo l’area in cui ricade il manufatto
interamente urbanizzata;
– sussistenza del c.d. abusivismo di necessità;
e ne ha chiesto l’annullamento, vinte le spese, oltre al risarcimento dei danni.
3. – Il Comune di Napoli ha resistito al ricorso con memoria, eccependone l’infondatezza e
chiedendone il rigetto.
Alla pubblica udienza del 18 dicembre 2013 il ricorso è stato posto in decisione.
DIRITTO
1. – Il ricorso principale ed i motivi aggiunti sono infondati, e vanno respinti.
1.1 – Non possono essere condivisi il primo motivo del ricorso introduttivo e la corrispondente
censura d’illegittimità derivata di cui al primo motivo aggiunto, in quanto, innanzitutto, la
notificazione dell’ordine di demolizione al sig. Dp Carmine è perfettamente rituale, in quanto il
provvedimento impugnato è rivolto, oltre che alla odierna ricorrente in qualità di proprietaria, anche
al sig. Dp Carmine nella sua doppia qualità di proprietario e responsabile dei lavori abusivi.
In ogni caso, è noto che la mancata notificazione al comproprietario non inficia di per sé la
legittimità della disposta misura repressiva-ripristinatoria, semmai incidendo sulla relativa
conoscenza.
Ai fini della legittimità dell’iter procedimentale posto in essere dall’Amministrazione per il ripristino
dei valori giuridici offesi dalla realizzazione dell’opera abusiva è sufficiente la notifica
dell’ordinanza di demolizione così come degli atti consequenziali ad uno solo dei comproprietari e
in ogni caso al responsabile dell’illecito, dovendo questi adoperarsi in ragione della funzione
ripristinatoria e non sanzionatoria dell’atto per eliminare l’illecito onde sottrarsi, salvo comprovare
l’indisponibilità effettiva del bene, al pregiudizio della perdita della propria quota ideale di
comproprietà.
Invero, ai sensi dell’art. 31 DPR 380\2001, la responsabilità dell’abuso edilizio compete al
proprietario del bene, e l’ordinanza di demolizione non va notificata a tutti i comproprietari, in base
al principio di responsabilità plurisoggettiva, ma a chi ha materialmente la disponibilità del bene
(Consiglio di Stato, sez. IV, 15 maggio 2009, n. 3029).
Il comproprietario pretermesso, quindi, può comunque autonomamente impugnare il provvedimento
sanzionatorio, facendo valere le proprie ragioni entro il termine decorrente dalla piena conoscenza
della ingiunzione (T.A.R. Napoli Campania sez. II, 8 giugno 2011 n. 2992; sez. VIII 8 ottobre 2009
n. 5203): circostanza che non ricorre nel caso in esame, in quanto il sig. Carmine Dp, che ha
ricevuto la notifica del provvedimento, bene avrebbe potuto impugnare a sua volta il provvedimento
repressivo.
Va poi ricordata la consolidata e condivisibile impostazione giurisprudenziale di demolizione di
immobile abusivo non è viziato d’illegittimità per il solo fatto di non essere stato notificato a tutti i
comproprietari (T.A.R. Basilicata Potenza, 6 dicembre 2002 , n. 1005; T.A.R. Napoli 17 ottobre
2000 n.3803; T.A.R. Liguria 5 gennaio 2000 n.10; T.A.R. Piemonte, I Sez., 9 aprile 1998 n.210;
T.A.R. Catanzaro 17 aprile 1997 n.272; T.A.R. Napoli, V Sez., 10 novembre 1994 n.415) atteso
che, in mancanza di tale notifica, unico effetto preclusivo all’esercizio dei poteri repressivi
comunali è quello legato all’impossibilità di acquisire il bene abusivo in caso di mancata spontanea
ottemperanza all’ordine di demolizione da parte degli interessati.
Ma neppure quest’ultima evenienza è ravvisabile nel caso in esame, in cui, ripetesi, il sig. Carmine
Dp ha avuto conoscenza dell’ordine di demolizione attraverso la notifica dell’atto oggi impugnato.
1.2 – Neppure il secondo motivo principale e la corrispondente censura d’illegittimità derivata di
cui ai punti b) e c) del primo motivo aggiunto meritano accoglimento.
Al riguardo va evidenziato, innanzitutto, che la ricorrente non ha dato in alcun modo la prova
dell’assunto su cui base le doglianze in esame, ossia che ella sarebbe proprietaria della sola
particella 488, ma non della 495, su cui, secondo l’atto impugnato, pure ricade l’intervento abusivo.
Va poi aggiunto che la medesima, nel ricorso introduttivo, si è detta unica proprietaria del cespite.
Si deve, infine, notare, che la eventuale divisione del compendio abusivo tra la ricorrente e –si deve
ritenere- Dp Carmine, altro soggetto individuato quale proprietario dell’immobile e responsabile dei
lavori, non provata in giudizio, non inficerebbe comunque la legittimità del provvedimento, che
risulterebbe, allora, rivolta contro entrambi i proprietari.
1.3 – Neppure i motivi terzo del ricorso introduttivo e terzo e quarto del ricorso per motivi aggiunti
meritano adesione.
Essi affermano, in sintesi, che, data la natura dell’intervento edilizio in questione, non avrebbe
potuto essere irrogata la sanzione reale, bensì quella pecuniaria, in quanto le opere integrerebbero,
al più, restauro e risanamento conservativo; e, se ritenute integrare ristrutturazione edilizia (come
reputato dal Comune), esse comunque sarebbero soggette solo a d.i.a., sulla base di quanto dispone
la L. R. n. 19\2001.
In contrario si deve osservare che, nel caso in esame, risultano –pacificamente- edificati due piani
fuori terra più uno interrato, e che il fabbricato così risultante è del tutto diverso, per sagoma, dal
c.d. comodo rurale di cui esso ha preso il posto, mentre non è provata in alcun modo l’identità di
ingombro volumetrico tra vecchio e nuovo edificio affermata dalla ricorrente.
Tutto ciò è sufficiente a spogliare di fondamento tutte le deduzioni della ricorrente in ordine alla
pretesa ascrivibilità dell’intervento attuato tra la manutenzione (ordinaria o straorinaria) ed il
restauro.
La medesima constatazione impedisce di ascrivere le opere tra quelle che, per avere il medesimo
“ingombro volumetrico” del fabbricato sostituito, integrerebbero la nozione di ristrutturazione
edilizia contemplata dalla L.R. 19\2001, e che, come tale, sarebbe soggetto a dichiarazione di inizio
attività, e non a permesso di costruire.
E’ infatti di intuitiva evidenza che edificare tre piani (uno interrato e due fuori terra) senza rispettare
l’originaria conformazione di un fabbricato non può comportare che il nuovo edificio abbia il
medesimo “ingombro volumetrico del precedente manufatto”: e l’art. 2, comma I, lettera B della
L.R. campana 19\2001, nel testo risultante dall’art. 49 L.R. 16\2004, prevede che possano essere
realizzati in base a d.i.a., tra l’altro, “le ristrutturazioni edilizie, comprensive della demolizione e
della ricostruzione con la stessa volumetria, superficie e sagoma dell’edificio preesistente”.
Del resto, l’interpretazione della nozione di ristrutturazione edilizia fornita da questo T.A.R. (Sez.
VIII – sentenza 28 luglio 2009 n. 4401), condivisa dalla Sezione (ad esempio, cfr. sentenza n. 4902
del 9 settembre 2009) è coerente con tale dettato normativo, in quanto precisa che “al fine di
qualificare come ristrutturazione edilizia un’opera, occorre che il complesso edilizio, sul quale si
operano gli interventi, rimanga alla fine sostanzialmente il medesimo per forma, volume e altezza.
Il risultato della ristrutturazione può essere, infatti, un organismo edilizio anche diverso dal
precedente purché però la diversità sia dovuta ad interventi comprendenti il ripristino o la
sostituzione di alcuni elementi costitutivi del manufatto ovvero l’eliminazione, le modifica e
l’inserimento di nuovi elementi ed impianti, in quanto la ristrutturazione edilizia mira, in definitiva,
alla salvezza del complesso esistente (fra le ultime: Consiglio di Stato, sez. V^, n. 1246 del 5 marzo
2001, n. 6768 del 18 dicembre 2000 e n. 3901 del 13 luglio 2000)”.
I due motivi esaminati vanno, quindi, respinti.
1.4 – Del tutto infondato in punto di fatto è, poi, il quarto motivo principale: ciò per l’essenziale
ragione per cui, contrariamente a quanto assume la ricorrente, ella non risulta –dagli atti di causa-
avere presentato istanze di accertamento di conformità per gli abusi oggetto del provvedimento
impugnato.
1.5 – Non meritano accoglimento neppure i motivi rubricati al numero 5) di ciascun atto
d’impugnazione, per cui il Comune, nella circostanza, avrebbe violato l’art. 7 della L. n. 241\1990.
Come noto, per consolidata e condivisibile giurisprudenza, costantemente seguita anche da questa
Sezione, i provvedimenti repressivi di abusi edilizi non devono essere preceduti dal suddetto avviso,
trattandosi di provvedimenti tipici e vincolati emessi all’esito di un mero accertamento tecnico della
consistenza delle opere realizzate e del carattere abusivo delle medesime (Cons. Stato, sez. IV, 30
marzo 2000, n. 1814; T.A.R. Campania, sez. IV, 28 marzo 2001, n. 1404, 9 settembre 2009, n.
4902, 14 giugno 2002, n. 3499, 12 febbraio 2003, n. 797).
1.6 – Neppure il sesto ed il settimo motivo principale, nonché il sesto e l’ottavo motivo aggiunto
(con cui la ricorrente si appella alla asserita necessità di un ulteriore interesse pubblico a procedere
alla demolizione e alla edificabilità (ed intervenuta intensa edificazione) di fatto dell’area per
sostenere l’illegittimità del provvedimento impugnato.
Va al riguardo evidenziato che alcuna rilevanza può essere annessa al grado di urbanizzazione,
anche abusiva, dell’area in cui sorge l’immobile, dal momento che –come detto- la repressione degli
abusi edilizi costituisce attività del tutto vincolata che non deve essere preceduta da valutazioni
diverse da quelle legate al contrasto dell’opera con la disciplina urbanistica di riferimento; e che
sarebbe assai singolare dedurre l’illegittimità di un provvedimento sanzionatorio in siffatta materia
dalla mancata constatazione (peraltro tutta da dimostrare) di altri abusi nella stessa zona.
Inoltre, per le ordinanze di demolizione l’obbligo di motivazione è da intendere assolto con
l’indicazione dei meri presupposti di fatto che valgono, di per sè stessi, a giustificare l’applicazione
delle corrispondenti misure sanzionatorie previste direttamente dal legislatore (T.A.R. Campania
Napoli sez. IV 8 aprile 2013 n. 1821).
1.7 – Con il settimo motivo aggiunto la ricorrente si appella alla violazione dell’art. 27 L. 457\1978,
affermando che, nella situazione che riguarda la città di Napoli, caratterizzata da una nota
emergenza abitativa, l’abusivismo di necessità dovrebbe essere oggetto di piani di recupero edilizio.
Oltre che tardivo, in quanto avrebbe dovuto essere rivolto contro l’ordine di demolizione, e non
contro l’atto di acquisizione al patrimonio comunale, il motivo è infondato, dovendosi osservare,
sotto un primo profilo, che a tenore dell’art. 27 della L. n. 457\1978, la valutazione di opportunità
(in tali termini si esprime la norma) di individuare determinate zone di recupero del patrimonio
edilizio esistente è demandata a decisioni di merito dei singoli Comuni, insindacabili –se non per
manifesta irrazionalità- in via giurisdizionale, come tutte le scelte in materia di pianificazione del
territorio.
Sotto altro aspetto, tale latissima discrezionalità non risulta indirizzata, nel dettato normativo, da
eventuali situazioni di c.d. abusivismo di necessità, espressione propria del linguaggio giornalistico
e non codificata nel diritto positivo.
Non è poi secondario notare che la realizzazione di tre piani destinati ad abitazione in luogo di un
vecchio manufatto diruto a destinazione rurale, per un totale di 580 metri quadrati, ben difficilmente
potrebbe riportare alla nozione di “abuso di necessità”.
2. – Va poi respinta, perché infondata, la domanda risarcitoria esposta dalla ricorrente solo in sede
di conclusioni, la quale si presenta del tutto generica e prova di specificazioni in punto di causa
petendi, oltre che di an e di quantum, e, di conseguenza, del tutto sfornita di prova; peraltro la
acclarata legittimità dei provvedimenti gravati ne esclude in radice la valenza contra jus (oltre che
di atto non jure datum), componente necessaria del danno risarcibile.
3. – Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nella misura di cui al dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quarta), respinge il ricorso ed i
motivi aggiunti in epigrafe.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore del Comune di Napoli, che liquida
forfetariamente in euro 1.500,00 (millecinquecento\00) oltre IVA e CPA se dovute.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2013 con l’intervento dei
magistrati:
Angelo Scafuri, Presidente
Guglielmo Passarelli Di Napoli, Consigliere
Achille Sinatra, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/01/2014
IL SEGRETARIO
Fonte: ilsole24ore