Anche se i gioielli non sono stati dati in custodia alla direzione dell’albergo, l’ospite ha diritto al risarcimento per il solo fatto dell’introduzione delle cose nella struttura ricettiva: infatti, non esiste alcuna legge che imponga all’ospite di affidare i preziosi alla vigilanza dell’albergo.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 20 gennaio – 4 marzo 2014, n. 5030
Presidente Berruti – Relatore Massera
Svolgimento del processo
1. – Con sentenza in data 14 maggio 2003 il Tribunale di Lucca respinse la domanda proposta da S.B., che aveva chiesto la condanna di SEAR Hotel Augustus di M.N. & C. S.a.s. e di Minerva Assicurazioni S.p.A. (poi Zurigo Assicurazioni S.A.) a risarcirle i danni conseguenti al furto subito il 19 luglio 1988, allorché ignoti erano penetrati all’interno della dipendenza ubicata nel parco del complesso immobiliare alberghiero, sito in Forte dei Marmi, da lei occupata con i propri familiari e le avevano sottratto denaro e gioielli.
2. – Con sentenza in data 25 settembre – 17 novembre 2007 la Corte d’Appello di Firenze condannò la SEAR a pagare in favore della B. la somma di €. 60.252,00, oltre accessori e spese, mentre condannò l’appellante a rimborsare alla Zurigo le spese del grado.
La Corte territoriale osservò per quanto interessa: la B. non aveva consegnato all’albergatore i propri gioielli pur essendo tale servizio operante presso la direzione; non sussisteva la responsabilità illimitata ex recepto e non era tata provata alcuna colpa concreta della SEAR, neppure sotto il profilo della imprudente omissione di accorgimenti idonei; ma non sussisteva neppure una delle figure di esonero della responsabilità dell’albergatore ex art. 1785 c.c., non essendo l’evento derivato da fatto esclusivo della cliente; il danno doveva essere risarcito facendo riferimento al prezzo di locazione dell’alloggio per giornata, pari ad €. 602,52, con la conseguenza che per la SEAR il limite di responsabilità era pari alla somma indicata.
3. – Avverso la suddetta sentenza la SEAR ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
La B. ha resistito con controricorso e presentato memoria.
La Zurigo non ha espletato attività difensiva.
Motivi della decisione
1.1. – Il primo motivo lamenta vizio di motivazione con riguardo al capo della pronuncia in cui si reputa erronea “l’interpretazione” di SEAR S.a.s. della deposizione testimoniale di M.K., di poi valutata dalla Corte di merito con argomentazioni insufficienti, illogiche, incoerenti e contraddittorie.
La censura attacca il capo della sentenza relativo alla, interpretazione della deposizione testimoniale della K., baby sitter alle dipendenze della resistente: la Corte territoriale ha ritenuto che costei fosse incorsa in un evidente equivoco circa la formulazione del capitolo nella parte in cui aveva riferito che il 30 luglio la B. aveva con sé i gioielli, spiegando che la medesima e altra teste avevano dichiarato che la vacanza si era protratta dal 30 giugno al 30 luglio e che i gioielli furono sottratti da ignoti il 19 luglio.
1.2. – L’interpretazione delle dichiarazioni dei testimoni, il coordinamento delle medesime con le altre risultanze processuali, la valutazione delle prove, rientrano nella competenza esclusiva del giudice di merito, il quale ha il solo onere di dare conto delle proprie scelte.
La ricorrente si attesta su un’affermazione della teste avulsa dalle restanti parti della sua stessa deposizione, ritenuta dalla sentenza un mero lapsus. A fronte di emergenze processuali non univoche, il giudice di merito deve valutare quale risulti maggiormente attendibile. Nella specie la Corte territoriale ha riferito che il furto era stato denunciato alla Polizia e la stessa ricorrente riferisce testualmente (alle pagg. 4 e 5 del ricorso) la denuncia, come verbalizzata dall’ufficiale di P.G.
Inoltre la sentenza impugnata ha sottolineato che la dichiarazione in esame non si concilia con altre affermazione della stessa teste e con la deposizione di altra teste; La Corte d’Appello ha dunque congruamente spiegato le ragioni del proprio convincimento.
Peraltro occorre rilevare che la censura appare priva di decisività, poiché, in considerazione dei rilievi sopra esposti, non vale ad escludere l’accadimento del fatto (sottrazione ad opera di ignoti dei gioielli custoditi in locali compresi nell’ambito alberghiero) all’origine della controversia.
2.1. – Il secondo motivo adduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1783 c.c.
Assume la ricorrente che la Corte territoriale ha erroneamente applicato alla fattispecie il disposto dell’art. 1783 c.c. affermando che persiste la responsabilità (limitata) dell’albergatore anche nell’ipotesi in cui il cliente abbia scelto di non avvalersi di specifico e gratuito servizio di deposito valori in cassetta di sicurezza presso la direzione dell’albergo.
2.2. – La censura trova insormontabile ostacolo nella giurisprudenza della Corte, cui la sentenza impugnata si è uniformata e il Collegio intende dare continuità e il motivo in esame non offre elementi idonei a mutare tale orientamento (vedi art. 360-bis c.p.c.).
Infatti questa stessa sezione ha ripetutamente affermato (ex multis, Cass. Sez. III; n. 28812 del 2008) che, in tema di responsabilità per le cose portate in albergo, il cliente non ha l’obbligo di affidare gli oggetti di valore di sua proprietà in custodia all’albergatore, mancando una specifica previsione normativa in tale senso; tuttavia, se non si avvalga di tale facoltà, corre il rischio di non poter ottenere, in caso di sottrazione, l’integrale risarcimento del danno, come disposto dall’art. 1783 c.c., a meno che non provi la colpa dell’albergatore o degli altri soggetti a lui legati da rapporto di parentela o collaborazione, ai sensi dell’art. 1785 bis c.c. In assenza di tale riscontro probatorio, la determinazione del “quantum” entro il limite massimo stabilito nell’ultimo comma dell’art. 1783 c.c. rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale é libero di determinare la somma da liquidare secondo il suo prudente apprezzamento.
3.1. – Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1176 e 1785, n. 1 c.c., nonché del combinato disposto degli artt. 1227, primo comma e 1783 – 1785, n. 1 c.c.; vizio di motivazione della sentenza con riguardo alla omessa valutazione del comportamento del cliente per gli effetti di cui all’art. 1227, primo comma c.c.
La ricorrente lamenta la negata sussistenza della causa di esonero della responsabilità accertata dal Tribunale e assume che la Corte territoriale aveva omesso qualsiasi motivazione sulla eventuale incidenza concorsuale del comportamento della cliente, essendo al riguardo sufficiente la colpa lieve, ravvisabile nella omessa consegna dei gioielli all’albergatore e nella mancata adozione delle più elementari regole di prudenza e di ordinaria diligenza. Aggiunge che, in ogni caso, la Corte d’Appello non poteva esimersi dal percepire che il comportamento della resistente aveva comunque concorso alla produzione dell’evento furto.
3.2. – La censura poggia sull’asserita violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1176 e 1223 c.c.) che non risultano essere state denunciate (confronta non solo il testo della sentenza impugnata, ma quanto riferito nello stesso ricorso alla pag. 10).
Da quanto riferito testualmente dalla stessa ricorrente (pag. 8 del ricorso) il Tribunale aveva respinto la domanda della B. sostanzialmente per non avere utilizzato il servizio di custodia fornito dall’albergatore, in tal modo ponendosi in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale sopra ribadito. La Corte territoriale ha valutato il comportamento della B. (pag. 6 della sentenza) escludendo, con valutazione di merito, che l’evento furto fosse riconducibile ad esso; pertanto ha implicitamente valutato, negandola, la possibile applicazione del primo comma dell’art. 1227 c.c.
Le argomentazioni addotte dalla SEAR trascurano la considerazione fondamentale che la responsabilità dell’albergatore per le cose dei clienti sorge per il solo fatto della introduzione, da parte del cliente, delle cose nell’albergo, indipendentemente da qualsiasi consegna, poiché essa inerisce direttamente al contenuto del contratto alberghiero, dovendo essere riferita all’obbligo accessorio dell’albergatore di garantire alla clientela, contro eventuali perdite, danni e furti, la sicurezza delle cose portate in albergo. Per cui spetta a lui offrire la prova liberatoria.
In ogni caso la censura non rispetta l’art. 366-bis c.p.c. applicabile al ricorso ratione temporis. Infatti il duplice quesito finale risulta astratto, poiché prescinde dai necessari riferimenti al caso concreto e, in particolare, alla motivazione della sentenza impugnata e, al tempo stesso, valutativo, poiché chiede alla Corte di pronunciarsi sulla idoneità della condotta del cliente, che si asserisce accertata senza specificarla, ad escludere o diminuire la responsabilità dell’albergatore. Il momento di sintesi relativo al fatto controverso si basa su norma (art. 1223 c.c.) che risulta richiamata per la prima volta in questo giudizio.
4.1. Il quarto motivo ipotizza violazione e falsa applicazione dell’art. 1783, u.c., e vizio di motivazione con riguardo ai criteri utilizzati per determinare il quantum debeatur.
Si censura il riferimento al prezzo giornaliero globale di locazione dell’alloggio, comprensivo di oneri fiscali e a prescindere dal numero delle persone alloggiate, invece di considerare il singolo cliente.
4.2. – Le argomentazioni addotte dalla ricorrente non possono essere condivise. Dalla chiara dizione dell’ultimo comma dell’art. 1783 c.c. si evince che il limite del risarcimento dovuto è commisurato al “prezzo di locazione dell’alloggio per giornata”. Il riferimento è, dunque, la prezzo globale e non a quello pro quota.
D’altra parte la stessa ricorrente inserisce nel proprio ricorso (pag. 3) la fotocopia della ricevuta intestata T. relativa ad “affitto villa con pensione completa per 6 persone” da cui risulta che il prezzo era stabilito a forfait e che il “cliente” era T.
5. – Pertanto il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio di cassazione seguono il criterio della soccombenza. La liquidazione avviene come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. 140/2012, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi €. 12.200,00, di cui €. 12.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.