Un’inferriata posta a separazione tra due fondi anche urbani non può dare luogo all’esercizio di una servitù di veduta, perché anche quando essa consenta di inspicere e di prospicere sul fondo altrui, costituisce pur sempre un’opera avente la funzione di semplice separazione dei fondi, mentre la eventuale possibilità di guardare e di affacciarsi sul fondo del vicino è, in tal caso, reciproca ed esclude, pertanto, quella situazione di soggezione di un fondo nei confronti dell’altro la cui sussistenza è indispensabile per la configurazione del diritto di servitù.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 6 febbraio – 9 maggio 2014, n. 10181
Presidente Goldoni – Relatore Abete
Svolgimento del processo
Con ricorso al pretore di Lucera, sezione distaccata di Serracapriola, F.M.R. , proprietaria e detentrice di due terranei, entrambi adibiti a rimessa, ubicati in (omissis) , esponeva che O.A. , proprietario delle due rimesse attigue nonché di un appartamento, posto al primo piano, al lato delle medesime rimesse e dotato di un piccolo balcone di forma rettangolare con il lato stretto prospiciente su via (…) ed il lato lungo posto a confine ed alla medesima quota delle due rimesse, aveva rimosso la ringhiera del balcone del proprio appartamento, aveva pavimentato con mattonelle e cinto con una ringhiera alta 90 cm. i tetti delle sue due rimesse, utilizzando tale spazio aperto come ampia balconata, in tal guisa mutando la natura dei tetti da semplici solai di copertura in lastrici solari; che, per giunta, nel rifacimento della pavimentazione aveva invaso sul lato ovest la proprietà di ella ricorrente.
Chiedeva all’adito giudice l’eliminazione della pavimentazione realizzata dall’O. nella parte in cui risultavano occupati i tetti delle sue rimesse nonché l’eliminazione della ringhiera in ferro, che consentiva alla controparte la veduta diretta, all’uopo invocando la tutela del possesso ed il rispetto delle distanze per le vedute.
Costituitosi, O.A. deduceva di aver ceduto la proprietà delle unità immobiliari al figlio R. ed al genero, D.R.S. ; altresì, spiegava riconvenzionale con cui chiedeva l’eliminazione dello stillicidio provocato dalla caduta sul proprio terraneo dell’acqua piovana dal tetto del vano di proprietà della ricorrente.
Spiegavano volontario intervento O.R. e D.R.S. ; deducevano di aver essi provveduto alla realizzazione delle opere contestate.
Con sentenza del 24/25.7.1989 il pretore adito, qualificata l’actio esperita ai sensi dell’art. 1170 c.c., reputava che le opere integrassero gli estremi della molestia possessoria, sia perché eseguite in violazione delle distanze legali sia perché atte a dar vita ad una servitù di veduta su fondo altrui.
Ordinava, pertanto, la rimozione della ringhiera o, quanto meno, il suo arretramento per una profondità pari alla distanza legale; negava, al contempo, che la pavimentazione dei tetti delle rimesse fosse idonea ad integrare una turbativa del possesso.
O.R. e D.R.S. – deceduto nelle more O.A. – interproponevano appello al tribunale di Lucera, che, con sentenza n. 91/2000, rigettava il gravame, condannando gli appellanti al pagamento delle spese del grado.
Avverso tale decisione spiegavano ricorso a questa Corte di legittimità O.R. e D.R.S. .
Il ricorso veniva accolto e la sentenza di seconde cure cassata.
Segnatamente e tra l’altro, questa Corte evidenziava che il giudice dell’appello non aveva dato esaurientemente ragione del proprio assunto circa la realizzazione di una servitù d’affaccio prima inesistente; più esattamente, che non aveva valutato se la pregressa situazione, pur in mancanza di pavimentazione e di ringhiera, già non consentisse una reciproca facoltà di inspicere e prospicere sostanzialmente immutata nonostante le nuove opere.
O.R. e D.R.S. attendevano alla riassunzione del giudizio in sede di rinvio dinanzi alla corte d’appello di Bari.
Si costituiva e resisteva F.M.R. .
Con sentenza n. 915 dei 2.3.2005/4.9.2007 la corte barese, in accoglimento dell’appello esperito da O.R. e D.R.S. , rigettava le domande spiegate in prime cure da F.M.R. ; dava atto, altresì, della rinunzia degli appellanti alla riconvenzionale in origine formulata da O.A. .
In relazione all’asserita molestia del possesso arrecata, in dipendenza della trasformazione del tetto in lastrico solare, attraverso la violazione delle distanze legali tra costruzioni, la corte territoriale opinava nel senso che “il manufatto dagli odierni appellanti realizzato non può rilevare ai fini del computo delle distanze” (così sentenza d’appello, pag. 9).
In relazione all’asserita molestia del possesso, arrecata del pari in dipendenza della trasformazione del tetto in lastrico solare, attraverso l’asserita ed abusiva servitù di veduta che gli appellanti eserciterebbero sul tetto di F.M.R. , la corte territoriale esponeva che “un’inferriata posta a separazione tra due fondi, anche urbani, non può dar luogo all’esercizio di una servitù di veduta, perché anche quando essa consenta di inspicere e di prospicere sul fondo altrui, costituisce pur sempre un’opera avente la funzione di semplice separazione dei fondi, mentre la eventuale possibilità di guardare e di affacciarsi sul fondo del vicino è, in tal caso, reciproca ed esclude, pertanto, quella situazione di soggezione… indispensabile per la configurazione di un diritto di servitù” (così sentenza d’appello, pag. 9); che “nessun elemento favorevole all’assunto della F. può desumersi… dalla scrittura privata 14-7-1979, con cui O.A. , dante causa degli odierni appellanti, si era impegnato a non praticare sul muro del nuovo fabbricato abusivamente realizzato in via (…) aperture né affacci o vedute, essendo riferita tale scrittura alla nuova costruzione, realizzata negli anni 78/79 a primo piano, nella parte retrostante il preesistente immobile” (così sentenza d’appello, pag. 12); che trattavasi di costruzione diversa, come “evincibile dallo schizzo planimetrico allegato alla scrittura de qua, oltreché dalle tavole progettuali e dalle istanze di condono prodotte dagli appellanti” (così sentenza d’appello, pag. 12).
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso F.M.R. , chiedendone, sulla scorta di un unico motivo, la cassazione; con i conseguenti provvedimenti in ordine alle spese.
I controricorrenti O.R. e D.R.S. hanno depositato controricorso, chiedendo dichiararsi inammissibile e comunque rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese; altresì hanno chiesto dichiararsi l’inammissibilità della documentazione allegata al ricorso.
La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
Con l’unico motivo la ricorrente deduce ai sensi dell’art. 360, 1 co., n. 5), c.p.c. il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
All’uopo adduce che “in sede di rinvio la corte d’appello ha disatteso le puntuali prescrizioni sul thema decidendum delineate dalla suprema corte di cassazione” (così ricorso, pag. 10); che, ad ogni modo, “la presenza della ringhiera posizionata lungo il lastrico non solo costituisce una modifica sostanziale alla situazione preesistente, ma… altera profondamente proprio quella stessa reciprocità che a livello dei lastrici esisteva in precedenza” (così ricorso, pag. 13); che, “infatti, con la collocazione della ringhiera e senza il rispetto delle distanze, viene decisamente alterata la situazione dei luoghi…” (così ricorso, pag. 13).
Il ricorso è destituito di fondamento.
Del tutto ingiustificato è l’assunto della ricorrente, secondo cui il giudice del rinvio, “in spregio… alla questione su cui la cassazione in sede di rinvio aveva chiesto… di pronunciarsi” (così sentenza d’appello, pag. 10), “ha omesso proprio di analizzare specificamente la concreta situazione preesistente” (così ricorso, pag. 12).
È al riguardo sufficiente porre in risalto che la corte territoriale ha dato atto che dalle risultanze istruttorie era dato evincere che “i luoghi oggetto di disputa fossero originariamente due coppie di tetti (posti a copertura di altrettanti terranei) che, pur appartenendo a soggetti diversi, costituivano un’unica superficie piana senza soluzione di continuità” (così sentenza d’appello, pag. 10); altresì, che “l’originaria consistenza dei luoghi… indubbiamente consentiva, prima ancora della esecuzione delle opere contestate alla F. , una reciproca facoltà di inspicere e prospicere a tutto campo” (così sentenza d’appello, pag. 10); dunque, che “i tetti della sig.ra F. e dei sigg.ri D.R. – O. erano rispettivamente e reciprocamente fondi serventi e dominanti” (così sentenza d’appello, pag. 11).
Su tale scorta la corte distrettuale ha affermato che l’originaria consistenza dei luoghi non è stata “sostanzialmente… modificata (né aggravata) dalle successive opere poste in essere dai D.R. – O. ” (così sentenza d’appello, pag. 10).
Tale affermazione può senz’altro essere condivisa.
Difatti questa Corte spiega, da un canto, che l’apertura di una veduta verso il fondo del vicino, ai sensi ed agli effetti degli artt. 905 e ss. c.c., sul fondo che già goda naturalmente di una vista panoramica, in conseguenza di posizione sopraelevata, è configurabile solo quando intervengono opere che aggravino la suddetta situazione naturale (cfr. Cass. 12.6.1982, n. 3597); dall’altro, che un’inferriata posta a separazione tra due fondi anche urbani non può dare luogo all’esercizio di una servitù di veduta, perché anche quando essa consenta di inspicere e di prospicere sul fondo altrui, costituisce pur sempre un’opera avente la funzione di semplice separazione dei fondi, mentre la eventuale possibilità di guardare e di affacciarsi sul fondo del vicino è, in tal caso, reciproca ed esclude, pertanto, quella situazione di soggezione di un fondo nei confronti dell’altro la cui sussistenza è indispensabile per la configurazione del diritto di servitù (cfr. Cass. 27.5.1994, n. 5186).
Si tenga conto, per giunta, che la proprietà O. già fruiva di un balcone che, siccome riconosce la medesima ricorrente (cfr. ricorso, pag. 8), certamente consentiva la veduta diretta ed obliqua.
In ogni caso questa Corte non può che reiterare nella fattispecie l’insegnamento –debitamente menzionato dalla corte barese – secondo cui non può dar luogo all’esercizio di una veduta una ringhiera posta a separazione fra due fondi urbani, trattandosi di un opera avente essenzialmente funzione divisoria, anche quando consenta di inspicere et prospicere in alienum (cfr. Cass. 17.3.1995, n. 3109).
Lo spiegato unico motivo di ricorso nella parte in cui si fa riferimento alla scrittura privata in data 14.7.1979; in parte qua difetta senza dubbio di specificità (cfr. Cass. 17.7.2007, n. 15952, secondo cui i motivi fondanti il ricorso per cassazione devono connotarsi, a pena di inammissibilità, in conformità ai requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata).
Il rigetto del ricorso giustifica la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a pagare ai contro ricorrenti le spese del presente giudizio che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.
Salve, molto interessante. Le pongo un quesito simile: se fra due fondi confinanti divisi da una recinzione a maglie larghe,un proprietario decide di realizzare a ridosso del confine una pavimentazione leggermente rialzata rispetto alla quota giardino dove poter soggiornare all’aperto, secondo lei trattasi di apertura di veduta su fondo altrui? o si configura come nel caso sopraccitato una situazione invariata per gia presistente esercizio reciproco di veduta da entrambe le parti?