La lesione del diritto al pari uso della cosa comune non è integrata dalla semplice sottrazione di una porzione di essa alla possibilità di utilizzo da parte dei comunisti perché la tutela accordata dall’ordinamento concerne il pari utilizzo della res nella sua interezza, secondo la funzione propria del bene. A maggior ragione tale criterio ermeneutico deve trovare applicazione quando si controverta in materia di azione di spoglio o di manutenzione in cui vanno specificamente indicate le attività, prima esercitate od esercitabili sulla res communis che verrebbero compresse o impedite dall’attività immutativa del singolo.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 30 marzo – 19 maggio 2014, n. 10968
Presidente Oddo – Relatore Bianchini
Svolgimento del processo
1. – Il Condominio dello stabile sito in Roma alla via Poli nn. 45/53, propose ricorso innanzi al Tribunale di Roma per essere reintegrato nel possesso di una porzione di lastrico solare condominiale che una condomina, la srl Or.Se.Co. avrebbe usato per suoi scopi esclusivi, escludendo il pari uso degli altri condomini: in particolare essa, dopo aver ristrutturato la pavimentazione a copertura dei sottostanti locali di proprietà esclusiva, avrebbe posto un impianto di condizionamento, con tubi passanti attraverso il lastrico solare, pretendendo altresì di avere diritto esclusivo su tale porzione di copertura.
2. – La società si costituì nella fase interdittale contestando la fondatezza delle pretese del ricorrente Condominio: l’adito giudicante respinse l’interdetto possessorio non rinvenendo né l’elemento soggettivo né quello oggettivo del lamentato spoglio; tale provvedimento fu sottoposto a reclamo ed in esito ad esso fu ordinato alla società di reintegrare il Condominio nel compossesso dell’anzidetta superficie, rimuovendo apparecchiature e tubazioni; il Tribunale del merito possessorio pronunziò sentenza n. 47686/2002 accogliendo la domanda di reintegrazione e respingendo quella di risarcimento del danno, pure avanzata dall’Ente di gestione.
3. – Tale sentenza venne impugnata dalla società che ne depositò copia autentica ma mancante di una parte della motivazione; il Condominio resistette al gravame eccependo la improcedibilità dell’appello; la Corte di Appello di Roma, pronunziando sentenza n. 3505/2007, respinse l’eccezione preliminare – ritenendo che le ragioni della decisione emergessero in modo sufficientemente chiaro dalla narrativa dell’appello – e accolse il gravame, in base all’osservazione che il Tribunale aveva proceduto alla reintegra pur riconoscendo che le condotte della società , considerate per la loro oggettività, non integrassero fatti di spossessamento di quel generico compossesso che i condomini potevano esercitare sul lastrico comune ma che, ciò nonostante, aveva ritenuto integrato lo spoglio per il solo fatto della volontà manifestata dalla società di escludere i medesimi condomini dall’uso comune, non considerando dunque che i due elementi dovevano coesistere per dirsi integrato lo spoglio.
4. – Per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso il Condominio, facendo valere quattro motivi di ricorso e depositando la copia integrale della sentenza impugnata; la società Or.Se.Co. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
I. – Con il primo motivo il Condominio denunzia la violazione del combinato disposto degli artt. 165, 347, I e II comma; 348, I comma e dell’art. 359 cpc, in relazione al vizio illustrato dall’art. 360, I comma n. 4 cpc, assumendo che la mancanza, nella sentenza depositata, di parte determinante della motivazione, avrebbe reso l’appello improcedibile in quanto l’atto così prodotto non avrebbe posseduto i requisiti minimi per esser considerato sentenza – e quindi non avrebbe consentito al giudice dell’impugnazione di ricostruire il percorso logico seguito dal Tribunale – , con la conseguenza che avrebbe dovuto affermarsi che la parte appellante non avrebbe depositato una copia della sentenza appellata e quindi non si sarebbe potuta dire costituita nei termini.
I.a. – Nega altresì parte ricorrente la validità di quell’indirizzo interpretativo di legittimità, richiamato dalla Corte di Appello, che ritiene l’invalida produzione di copia (autentica) di sentenza incompleta, sanabile laddove il contenuto di essa sia ricostruibile aliunde: struttura di conseguenza il quesito di diritto chiedendo alla Corte di pronunziarsi sull’esistenza di un vizio insanabile della costituzione in appello per il sol fatto della incompletezza della copia della sentenza appellata.
II. – Con il secondo motivo, strettamente connesso al precedente, il Condominio ricorrente assume l’esistenza di un vizio di motivazione – ritenuta omessa o insufficiente – laddove la Corte del merito avrebbe ritenuto che dal solo contenuto dell’atto di appello si sarebbe potuta integrare la motivazione omessa: di ciò, afferma il Condominio, non si è data adeguata spiegazione in sentenza; assume in proposito che la Corte di Appello sarebbe caduta in decisivi travisamenti della decisione di primo grado – come sarebbe emerso pianamente dalla lettura di tale provvedimento, depositato nella sua integralità a’ sensi dell’art. 372 cpc – laddove avrebbe attribuito al Tribunale un giudizio di inidoneità delle opere poste in essere dalla controricorrente a determinare spoglio o grave turbativa del compossesso, mentre, al contrario, il giudice di primo grado le avrebbe qualificate inidonee solo in teoria ed in linea di massima.
III. – Con il terzo motivo viene denunziata la violazione dell’art. 342 cpc censurandosi la decisione della Corte del merito di procedere alla valutazione dell’appello, non considerando che la incompletezza della motivazione avrebbe inciso, facendone venir meno la specificità, sui motivi di appello, rendendo tale impugnazione inammissibile.
IV. – Con il quarto motivo si assume la insufficienza o la contraddittorietà della motivazione laddove la Corte distrettuale avrebbe interpretato la sentenza di primo grado attribuendo al Tribunale , contraddittoriamente, l’affermazione e la negazione dell’elemento materiale dello spoglio, tralasciando invece di considerare che quel giudice aveva effettuato un discrimine tra astratta inidoneità e concreta – vale a dire nel caso specifico – lesività delle opere ad incidere sul compossesso dei condomini sul lastrico solare, non valutando altresì che anche l’uso di fioriere a delimitazione della zona di lastrico ove si sarebbe svolta la signoria esclusiva della società avrebbe, di per sé, integrato l’elemento materiale dello spoglio.
V.a. I mezzi vanno esaminati congiuntamente, stante la loro stretta correlazione logica ed argomentativa.
V.b. – Deve innanzi tutto dirsi inammissibile ex art. 360 bis cpc la prima censura laddove si pone in consapevole contrasto con il consolidato indirizzo di legittimità secondo il quale, nel vigore del nuovo testo (introdotto dall’art. 54 della legge n. 353 del 1990) dell’art. 348 cod. proc. civ. -che non contempla più la declaratoria di improcedibilità dell’appello in conseguenza della mancata presentazione del fascicolo di parte – e quindi della sentenza impugnata – nella prima udienza (ancorché il deposito del fascicolo e della sentenza impugnata siano comunque prescritti dal combinato disposto degli artt. 165, 359 e 347 cod. proc. civ.), e considerato il principio di tassatività delle cause di improcedibilità, deve ritenersi che la mancanza in atti della sentenza impugnata – e quindi, a maggior ragione, la copia incompleta di essa- ancorché quest’ultima possa risultare indispensabile per ottenere una pronuncia di merito sul gravame, non implica comunque la possibilità di una declaratoria di improcedibilità dell’appello, essendo il giudice di appello tenuto a una decisione di merito, ove questa sia possibile sulla base degli atti, ovvero, se il contenuto della sentenza impugnata non sia desumibile in modo inequivoco dall’atto di appello, a una decisione di inammissibilità dell’appello per carenza degli elementi essenziali di tale atto, analoga alla dichiarazione di inammissibilità per genericità dei motivi. (così Cass. Sez. I n. 10404/2003; Cass. Sez. V n. 2728/2004; Sez. II n. 18006/2004; Cass. Sez. III n. 7237/2006; Cass. Sez. III n. 3181/2006; Cass. Sez. III n. 6439/2009).
V.b.1. – Non ha invero parte ricorrente fornito diversa articolazione critica di questo orientamento – nelle fattispecie disciplinate dal nuovo testo dell’art. 348 cpc – ma ha semplicemente riferito che dalla lettura della copia autentica della sentenza non sarebbe stato possibile pervenire alla ricostruzione del contenuto della stessa: tale affermazione, oltre ad essere in contrasto con la contraria valutazione contenuta nella sentenza di appello – sul punto, non censurabile in questa sede di legittimità -, è altresì inidonea a consentire un diverso esito interpretativo da parte della Corte perché, in deroga al principio di specificità del ricorso – concretizzato nel canone dell’autosufficienza dello stesso – non è stato riportato il contenuto dell’appello, dal quale il giudice del gravame aveva desunto le ragioni per integrare la deficitaria produzione di cui s’è detto , per metterlo a confronto della copia integrale della sentenza di primo grado, prodotta dallo stesso ricorrente: tali conclusioni valgono sia per i primi due motivi sia per quanto concerne quello relativo alla specificità della censura in appello.
V.b.2. Al postutto, la lettura della motivazione (integrale) della decisione del Tribunale, consente di valutare ex actis la sufficienza dell’analisi condotta dal giudice di appello, essendo emerso che effettivamente, come affermato dalla Corte romana, il Tribunale accolse il ricorso per reintegrazione sol perché la società, oggi resistente, aveva manifestato la sua ferma volontà di escludere gli altri dall’uso di quella porzione di lastrico solare ma non perché – così ragionò il Tribunale – la minima occupazione del lastrico fosse tale da far venir meno la possibilità di compossesso degli altri condomini.
V.b.3. – Quanto a quest’ultimo punto, giova sottolineare che se deve prestarsi adesione al filone interpretativo, a mente del quale la lesione del diritto al pari uso della cosa comune, non è integrata dalla semplice sottrazione di una porzione di essa alla possibilità di utilizzo da parte dei comunisti -perché la tutela accordata dall’ordinamento concerne il pari utilizzo della res nella sua interezza, secondo la funzione propria del bene – a maggior ragione tale criterio ermeneutico deve trovare applicazione quando si controverta in materia di azione di spoglio o di manutenzione in cui vanno specificamente indicate le attività, prima esercitate od esercitabili ( in questo caso: dalla collettività dei condomini) sulla res communis che verrebbero compresse o impedite dall’attività immutativa del singolo: questo del resto appare esser stato l’approccio valutativo seguito dallo stesso Tribunale (a fol V, prima alinea, nella copia prodotta in sede di legittimità), allorchè riconobbe che il posizionamento dell’impianto di condizionamento e dei tubi ad esso collegati sarebbero rientrati nelle facoltà del comproprietario-compossessore (artt. 1102 e 1110 cod. civ.) “salva la loro piena valutazione di legittimità nell’opportuna sede petitoria” ( ibidem ) : deve quindi concludersi che la Corte territoriale, del tutto ragionevolmente, aderì alla prospettazione del Tribunale quanto alla oggettiva non offensività del compossesso altrui che tale richiamo, ad un tempo, fornì anche valida motivazione per relationem della decisione di riforma.
V.c. – Non può infine consentirsi sulla dedotta esistenza – nel quarto motivo – di un errore in cui sarebbe incorsa la Corte del merito – sempre a cagione della mancanza della copia integrale della sentenza di primo grado – atteso che il discrimine che fu posto dal Tribunale non fu – come invece riportato nel ricorso- tra astratta non lesività della condotta e concreta sussistenza dello spoglio (chè allora quel giudice sarebbe incorso in un’insanabile aporia logica), quanto piuttosto tra non idoneità delle opere a concretare lesione del compossesso e affermazione – ciò nonostante – della sussistenza dello spoglio, inveratosi nella (sola) direzione della volontà della attuale ricorrente – esplicitata dalle pretese petitorie agite in separata sede e manifestata anche nella collocazione di fioriere a delimitazione dell’area che riteneva di esclusiva pertinenza – di escludere gli altri condomini: manca oltretutto nel ricorso qualunque accenno al pregresso utilizzo od all’astratta utilizzabilità – considerate le dimensioni ed il posizionamento – del lastrico solare che sarebbe rimasto pregiudicato anche dalla semplice apposizione di tali amovibili ostacoli.
VI. – Al rigetto del ricorso consegue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità liquidate secondo quanto indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in curo 1.700,00 di cui 200,00 per esborsi.