Il consolidato orientamento di legittimità secondo cui le norme relative ai rapporti di vicinato, tra cui quella dell’art.889 cod. civ., trovano applicazione rispetto alle singole unità immobiliari soltanto in quanto compatibili con la concreta struttura dell’edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei singoli proprietari; pertanto, qualora esse siano invocate in un giudizio tra condomini, il giudice di merito è tenuto ad accertare se la loro rigorosa osservanza non sia nel caso irragionevole, considerando che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé il contemperamento dei vari interessi al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali. E nella specie, la sentenza facendo riferimento all’uso, da parte dei condomini, del muro condominiale nell’interesse collettivo (in quanto utilizzato per la realizzazione di un servizio comune) e all’assenza di alcun pregiudizio per gli attori, ha compiuto la valutazione circa il necessario contemperamento degli opposti interessi, ritenendo giustificata la collocazione delle tubazioni a distanza inferiore a quella legale.

 

 

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 30 aprile – 30 giugno 2014, n. 14822
Presidente Oddo – Relatore Migliucci

Svolgimento del processo

1.- M.G. e F.M.R. esponevano che:
erano proprietari e possessori dell’unità immobiliare sita nel condominio (omissis) al piano terreno, del terrazzo di loro proprietà ed erano altresì possessori del giardino antistante, su cui vantavano un diritto di godimento separato dagli altri condomini;
in data 30 settembre 2002 l’assemblea condominiale aveva deliberato, unanimemente (con l’assenso anche del M. ) di accettare offerta dalla Azienda Esercizio Gas relativa anche alla gestione del servizio di energia termica, oltre che della ditta Borgni, per l’installazione delle relative tubazioni, conferendo mandato all’amministratore C.L. per le attività dipendenti e connesse;
in corso d’opera i ricorrenti avevano constatato come le tubazioni insistessero sul giardino adiacente alla loro proprietà per metri 1,5, e non rispettassero la distanza legale dal confine ed in parte fossero collocate sotto la terrazza dei ricorrenti medesimi.
Pertanto, denunciando la privazione parziale del godimento della cosa accompagnata dall’animus spoliandi, gli istanti chiedevano al tribunale di Ivrea di ordinare al C. e all’Azienda Esercizio Gas la rimozione delle opere in quanto lesive del pacifico e legittimo possesso dei ricorrenti,
Si costituivano i convenuti, deducendo: il C. , di essere stato erroneamente citato in proprio e non quale amministratore del Condominio, alla cui delibera aveva dato esecuzione; la Azienda Esercizio Gas di non essere autore, né morale né materiale, dell’asserito spoglio; in subordine, chiedevano il rigetto della domanda.
Con sentenza n. 2 99/2005 il tribunale rigettava la domanda.
Con sentenza dep. il 1 agosto 2008 la Corte di appello di Torino rigettava l’impugnazione proposta dagli attori.
I Giudici ritenevano, quanto segue:
– correttamente il tribunale aveva chiuso l’istruttoria dopo avere sentito cinque testi, ritenendo superflua l’escussione degli altri chiesti dai ricorrenti, tenuto conto : che la delibera condominiale relativa alla collocazione delle tubazioni di gas era stata approvata all’unanimità con il voto favorevole anche del M. e che dalla deposizione resa dalla teste Modigliani era risultato che il percorso delle tubazioni era stato oggetto di discussione da parte dell’assemblea che approvò quella delibera;
– in relazione all’utilizzazione del giardino e dell’area sottostante il terrazzo, destinata al ricovero attrezzi del giardino, la predetta area non era stata affatto sottratta a tale uso secondo quanto riferito dal teste Ma. , il quale aveva riferito che i tubi agganciati al muro perimetrale condominiale erano collocati al di sotto, ma non sotto il piano, del terrazzo;
– il C. , avendo agito in esecuzione della delibera condominiale quale mandatario dell’assemblea dei condomini, avrebbe dovuto essere citato in giudizio, nella qualità di amministratore del condominio e non in proprio, posto che egli era in buona fede non ritenendo di agire contro la volontà dei condomini; né avrebbe potuto essere considerato autore materiale, essendo stata la collocazione effettuata in piena autonomia dalla ditta Borgni;
– in relazione al possesso invocato dai ricorrenti, a stregua del regolamento condominiale, il diritto di uso e di godimento del giardino, del quale i medesimi erano titolari, doveva qualificarsi come diritto di natura obbligatoria e non reale rispetto al quale gli istanti dovevano essere considerati come detentori qualificati e, in quanto tali, legittimati all’azione di spoglio;
– peraltro, l’utilizzazione da parte del Condominio del muro perimetrale per l’aggancio di metri 1,5 del tubo per il gas non integrava una apprezzabile lesione della detenzione qualificata; in effetti, il passaggio dei tubi non pregiudicava il diritto di uso esclusivo del giardino ma consentiva l’uso del muro perimetrale nell’interesse superiore dell’ente collettivo;
– per quel che concerneva la domanda di risarcimento dei danni, la stessa doveva essere considerata nuova e, comunque, per quel che era stato detto sopra, non vi era luogo per il relativo esame;
– era, infine, confermata la statuizione sulle spese del tribunale, il quale aveva ridotto le parcelle dei convenuti, mentre nel liquidare in Euro 1000,00 le spese aveva in esse considerato quelle dovute a titolo di spese generali, pari al 12,50% su onorari e diritti.
2.- Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione M.G. e F.M.R. sulla base di dodici motivi.
Resistono con controricorsi gli intimati; l’Azienda Energia e Gas Coop. (già Azienda Esercizio Gas Coop.) ha depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione

1.- Vanno esaminati congiuntamente il primo, il secondo, il terzo, il quarto, il quinto, il sesto, il settimo, l’ottavo, l’undicesimo e il dodicesimo motivo che sono strettamente connessi.
2.- Il primo motivo lamenta che la sentenza impugnata, con motivazione omissiva, insufficiente e contraddittoria, aveva confermato la illegittima ordinanza del primo giudice il quale, dopo avere ammesso la prova contraria articolata dagli attori con i testi indicati, non vi aveva dato seguito impedendo così di provare circostanze decisive, ovvero l’assenza del M. all’indicazione del percorso delle tubazioni e che mai nell’assemblea si era parlato del percorso delle tubazioni.
3.- Il secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 209 cod. proc. civ., censura la sentenza la quale erroneamente aveva ritenuto la superfluità della prova ammessa, dopo avere escusso soltanto i testi di controparte.
4.- Il terzo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art.1168 cod. civ., censura la sentenza impugnata per avere erroneamente ritenuto che la mera acquiescenza o il silenzio dei ricorrenti avrebbe costituito fatto esimente del fatto illecito dello spossessamento.
5. – Il quarto motivo, lamentando violazione e falsa applicazione degli art.1705, 1711 cod. civ. e 100 cod. proc. civ., censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che il C. avrebbe dovuto essere citato in giudizio quale amministratore del Condominio e non in proprio.
Erroneamente la sentenza aveva fatto riferimento alla relazione organica esistente fra l’amministratore e il condominio, quando il rapporto è invece basato sul mandato con la conseguente responsabilità del mandatario ai sensi dell’art. 1705 cod. civ., tenuto conto che il C. aveva ecceduto i limiti della delibera assembleare in merito al percorso delle tubazioni.
Comunque, il C. era autore morale per avere conferito incarico all’impresa che ebbe ad eseguire la posa in essere dei tubi.
6.- Il quinto motivo (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia) censura la sentenza impugnata laddove aveva ritenuto che essi ricorrenti avevano citato i convenuti quali autori materiali mentre sarebbero stati autori morali, quando invece nessuna qualificazione in proposito era stata mai compiuta.
7.- Il sesto motivo (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione) censura la sentenza impugnata laddove aveva fatto riferimento alla non apprezzabilità della lesione del possesso e all’uso del muro perimetrale nell’interesse dei condomini, evidenziando che nella specie si faceva questione del possesso e non dell’impugnativa della delibera condominiale; deduce che, per effetto della collocazione dei tubi, il fondo degli attori sarebbe gravato da una servitù di conduttura che comporterebbe limitazione del libero e pacifico godimento della cosa.
8.- Il settimo motivo (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia) denuncia che la sentenza aveva omesso di motivare in ordine alla mancanza del consenso da parte del M. circa il percorso dei tubi del gas su cui l’assemblea non si era in alcun modo pronunciata come del resto era stato inutilmente chiesto di provare.
9.- L’ottavo motivo (violazione o falsa applicazione degli artt. 1168, 2043, 1337 cod. civ.) censura la sentenza che, nel ritenere lecito il comportamento dei convenuti, in quanto posto in essere in esecuzione di una delibera condominiale, avrebbe dovuto accertare la esistenza della colpa – elemento costitutivo dell’illecito ex art. 2043 cod. civ., quale deve essere qualificata l’attività di spoglio – tenuto conto che l’amministratore non aveva verificato il contenuto e i limiti della delibera; erroneamente invece, la sentenza aveva fatto riferimento, escludendolo, all’animus spoliandi, inteso come consapevolezza di agire contro la volontà espressa o presunta del possessore, quando l’indagine avrebbe dovuto stabilire il contenuto del dovere di diligenza esigibile e, quindi, verificare la conformità della condotta tenuta dal C. a tale modello di comportamento.
Evidenzia come la delibera dell’assemblea del 30-9-2002 aveva tutt’altro oggetto.
10.- L’undicesimo motivo (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia) censura la sentenza impugnata laddove aveva limitato la doglianza lamentata dai ricorrenti al solo tratto dei tubi che traversano sotto il terrazzo parte del giardino, evidenziando, che oltre la lesione del possesso del giardino di cui si era detto, gli stessi comportavano lesione anche del possesso del terrazzo, tenuto conto della inosservanza delle prescrizioni dettate in tema di distanze previste per la collocazione delle tubazioni.
11.- Il dodicesimo motivo (violazione e falsa applicazione di norme di diritto) censura il mancato riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni.
12.- I motivi vanno disattesi.
La sentenza, nell’escludere che ricorressero le condizioni necessarie per la tutela possessoria invocata dai ricorrenti, ha ritenuto che:
a) in relazione al giardino gli attori erano titolari non di un diritto reale ma di un diritto di natura personale per cui la loro posizione era da qualificare come di detenzione qualificata;
b) il giardino e l’area sottostante al terrazzo (adibita a ricovero attrezzi) non erano state sottratte all’uso cui erano adibiti; d’altra parte, l’utilizzazione da parte del Condominio del muro perimetrale adiacente al giardino per l’aggancio di metri 1,5 del tubo per il gas non integrava una apprezzabile lesione della detenzione qualificata del giardino di cui erano titolari i predetti; al riguardo, non era venuto meno l’uso esclusivo del giardino e neppure dell’area sottostante il terrazzo dell’appartamento utilizzata per il ricovero degli attrezzi;
c) peraltro, le tubazioni erano state collocate sul muro perimetrale nell’interesse collettivo.
Con il sesto e l’undicesimo motivo, i ricorrenti hanno dedotto che la collocazione delle tubazioni, a distanza dal terrazzo inferiore rispetto a quella prevista dall’art.889 cod. civ., comportando la possibilità in ogni momento di interventi per riparazione da parte della Compagnia del gas, tenuta alla sorveglianza di quella che costituiva una servitù di conduttura, determinava una menomazione del godimento del giardino e comunque un deprezzamento della proprietà.
Orbene, va osservato quanto segue.
1) In relazione alla menomazione del godimento del giardino, il ricorso denuncia quelle che possono senz’altro definirsi molestie – come del resto confermano i precedenti richiamati dai ricorrenti – che legittimano l’esperimento dell’azione di manutenzione (art. 1170 cod. civ.) da parte del possessore ma non pure da parte del detentore qualificato (che è invece è legittimato all’azione di spoglio).
Pertanto, gli attori, in quanto detentori qualificati del giardino, non sono legittimati a fare valere le denunciate molestie.
2) Se, da un canto, non sembra neppure configurabile la esistenza di una servitù gravante sul giardino, di cui gli attori sono soltanto detentori qualificati, attesa l’identità soggettiva del titolare del fondo dominante e di quello del fondo servente (il Condominio), dall’altro, la sentenza ha comunque escluso l’apprezzabile limitazione del possesso, denunciata anche per la presenza delle tubazioni sotto il terrazzo dell’appartamento degli attori a distanza inferiore a quella legale.
Qui occorre considerare che le tubazioni erano state collocate sul muro perimetrale, che costituisce oggetto di compossesso da parte dei condomini, i quali possono ricavarne utilità esercitando le facoltà nei limiti previsti dall’art. 1102 cod. civ.. Al riguardo, si ricorda il consolidato orientamento di legittimità secondo cui le norme relative ai rapporti di vicinato, tra cui quella dell’art.889 cod. civ., trovano applicazione rispetto alle singole unità immobiliari soltanto in quanto compatibili con la concreta struttura dell’edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei singoli proprietari; pertanto, qualora esse siano invocate in un giudizio tra condomini, il giudice di merito è tenuto ad accertare se la loro rigorosa osservanza non sia nel caso irragionevole, considerando che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé il contemperamento dei vari interessi al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali. E nella specie, la sentenza facendo riferimento all’uso, da parte dei condomini, del muro condominiale nell’interesse collettivo (in quanto utilizzato per la realizzazione di un servizio comune) e all’assenza di alcun pregiudizio per gli attori, ha compiuto la valutazione circa il necessario contemperamento degli opposti interessi, ritenendo giustificata la collocazione delle tubazioni a distanza inferiore a quella legale.
Orbene, le critiche formulate dai ricorrenti non sono idonee a scalfire la correttezza e la congruità dell’iter logico giuridico seguito dalla sentenza: le censure lamentate, in realtà, si concretano in argomentazioni volte a sostenere l’erroneo apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dai giudici circa la lesione del possesso che, avendo a oggetto una quaestio facti, in sede di legittimità intanto può formare oggetto di censura in quanto sia denunciata sotto il profilo del vizio di motivazione. Al riguardo, va sottolineato che il vizio deducibile ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che deve essere verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato e non può risolversi nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire: in sostanza, ai sensi dell’art. 360 n. 5 citato, la (dedotta) erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo a una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della Cassazione.
Pertanto – essendo stata esclusa alcuna lesione del possesso e, quindi, la dedotta illiceità nella collocazione delle tubazioni – devono considerarsi assorbite, in quanto ultronee, le censure formulate con il primo, il secondo, il terzo, il quarto, il quinto, il settimo, l’ottavo, e il dodicesimo motivo.
13.- Il nono motivo (violazione e falsa applicazione del d.m. n. 127 del 2004, come modificato dalla legge n. 91 del 2002, degli artt. 91 e 112 cod. proc.civ.) denuncia l’erronea liquidazione delle spese processuali del giudizio di primo grado per avere applicato lo scaglione relativo alle cause di valore indeterminato di particolare importanza quando gli stessi resistenti avevano indicato il valore fra 5.201,00 e 2 6.000,00 e la controversia riguardava la limitazione del possesso determinata dalla collocazione di tubi di gas di cm. 15 sotto il terrazzo.
14.- Il motivo è inammissibile, tenuto conto che:
a) la questione relativa al valore della causa non risulta specificamente proposta con l’appello con il quale, secondo quanto affermato nel ricorso, era stata denunciata l’eccessività della liquidazione in relazione alla natura e alla posizione dei convenuti, elementi che costituiscono piuttosto parametri in base ai quali il giudice deve esercitare il potere discrezionale nel determinare la misura degli onorari fra il minino e il massimo previsto nella tariffa applicabile, risultando del tutto generico il mero riferimento alla natura possessoria del giudizio;
b) peraltro, la valutazione circa la particolare importanza o meno della causa, comunque di valore indeterminato, ha a oggetto un accertamento di fatto che è riservato al giudice di merito e, come tale, non è censurabile in sede di legittimità.
15.- Il decimo motivo (violazione e falsa applicazione del d.m. n. 127 del 2004), censura la liquidazione, fra gli esposti, degli importi per spese generali che il tribunale non aveva liquidato.
16.- Il motivo è infondato.
La sentenza ha verificato che il tribunale aveva correttamente liquidato le spese generali nella misura forfettaria del 12,50% sull’importo dovuto per onorari e diritti, così come prescritto dalla tariffa forense vigente, peraltro includendole nella voce relativa agli esborsi.
Il ricorso va rigettato.
Le spese della presente fase vanno poste in solido a carico dei ricorrenti, risultati soccombenti, e a favore di ciascuno dei resistenti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore di ciascuno dei resistenti delle spese relative alla presente fase che liquida in EURO 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per onorari di avvocato oltre spese generali e accessori di legge.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *