Quando il regolamento condominiale vieta di destinare gli appartamenti a determinati usi (ad esempio affittacamere), la violazione della disposizione posta in essere in passato da altri condòmini non può far venire meno la vigenza dello stesso e legittimare un attuale utilizzo scorretto delle medesime unità abitative.

 

 

Corte di Cassazione n°109 del 7 gennaio 2016

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1- X convennero innanzi al Tribunale di Roma X ed X, proprietari di un appartamento
sito nello stabile di cui essi erano condomini, in Roma alla via X, conduttrice di detto immobile,
affinché fosse dichiarata la contrarietà al regolamento condominiale della preannunciata adibizione,
da parte della predetta società, dell’appartamento concesso in locazione, ad uso affittacamere e
perché ne fosse inibita ogni ulteriore attività attuativa, oltre al risarcimento del danno, la cui
liquidazione chiedevano fosse effettuata in separato giudizio. La società ed i X contrastarono la
domanda, da un lato ritenendo che la intrapresa azione, avendo ad oggetto il mero accertamento di
una situazione solo potenzialmente lesiva dei diritti degli attori, sarebbe stata carente di interesse
attuale; dall’altro sostenendo una interpretazione del regolamento – redatto nel. 1920 – diversa da
quella patrocinata da controparte.
2- L’adito Tribunale dichiarò l’inammissibilità della domanda per carenza di attuale interesse:
detta sentenza venne riformata dalla Corte di Appello di Roma che reputò sussistente un interesse
specifico all’accertamento della condotta contraria alle regole pattizie da parte della società –
trattandosi di una condizione dell’azione, in concreto verificatasi in corso di giudizio, avendo la
società adibito ad esercizio di affittacamere l’appartamento dei X e giudicò che l’attività censurata
rientrasse in quella vietata dal regolamento di condominio.
Per la cassazione di tale pronuncia hanno proposto ricorso principale la X ed incidentale i X, sulla
base, ciascuna di dette parti, di due motivi di annullamento, riguardanti la insussistenza
dell’interesse ad agire e la interpretazione dell’art. 2 del regolamento condominiale; hanno risposto
con controricorso avverso anche al ricorso incidentale, le originarie parti attrici, ad eccezione della
X che non ha svolto difese; la X ed i X hanno depositato memorie ai senti dell’art. 378 cpc.
MOTIVI DELLA DECISIONE

I – La sostanziale sovrapponibilità dei motivi del ricorso della X incidentale dei X fa ritenere che
l’impugnazione di questi ultimi non possa configurarsi come incidentale in senso stretto, in quanto
diretta pur sempre immediatamente contro la sentenza della Corte territoriale e non già presidiata da
un interesse originato dall’impugnazione della X ne consegue, secondo un r ecente indirizzo
interpretativo di questa Corte che il Collegio ritiene di condividere (Cass. Sez. V n. 20040/2015;
Cass. Sez, III n. 1120/2014; Cass. S.U. n. 18752/2013), la inapplicabilità delle regole della
impugnazione incidentale tardiva; per logica conseguenza, qualora la impugnazione proposta in via
incidentale abbia contenuto adesivo al ricorso principale, i termini e le forme dell’impugnazione
sono quelli propri del ricorso autonomo.
II – Va anche evidenziato che le parti X/X non sono litisconsorti necessari in quanto l’azione dei X
era diretta ad un accertamento della portata del regolamento condominiale contrattuale nei confronti
dei coinquilini X, mentre era volta alla cessazione della paventata attività nei confronti della X – che
come tale, non era soggetta alle prescrizioni del regolamento stesso -.
IlI – Posto ciò risulta dagli atti che la sentenza di appello è stata notificata al procuratore dei X l’11
maggio 2011 ed il loro ricorso è stato notificato il 3 ottobre 2011, risultando pertanto
irrimediabilmente tardivo.
IV – Con il primo motivo, la società X – facendo valere una erronea interpretazione del contenuto
applicativo dell’art. 100 cpc ed un triplice vizio di motivazione (dedotto come “carenza, illogicità ed
insufficienza” da parte della X) – contesta la ritenuta sussistenza di un interesse ad agire in capo agli
originari attori, in ragione della ancora non attuata volontà di adibire l’immobile dei secondi ad uso
di affittacamere; la circostanza dell’adibizione in concreto ad uso non abitativo – e della conseguente
lesione del diritto di proprietà dei singoli – sarebbe stata tardivamente evidenziata solo in sede di
comparsa illustrativa delle conclusioni di primo grado, così determinandosi una novità nella
prospettazione a sostegno della domanda ed una violazione del divieto di proporre nuove domande.
la circostanza dell’adibizione in concreto ad uso non abitativo – e della conseguente lesione del
diritto di proprietà dei singoli – sarebbe stata tardivamente evidenziata solo in sede di comparsa
illustrativa delle conclusioni di primo grado, così determinandosi una novità nella prospettazione a
sostegno della domanda ed una violazione del divieto di proporre nuove domande.
IV.a – Il motivo presenta innanzi tutto profili di inammissibilità laddove contesta sostanzialmente
una violazione della interpretazione dell’oggetto della domanda operata dal giudice dell’appello ma
non specifica in cosa l’argomentazione della Corte del merito non sarebbe stata soddisfacente: ancor
più rilevanti sono i profili di infondatezza del mezzo in quanto , pur ritenendo che l’interesse ad
agire costituisca una condizione dell’azione e, come tale, da verificare al momento della decisione,
poi contraddittoriamente pone a sostegno della censura una originaria assenza di detto interesse.
IV.a.1 – Non va poi omesso di considerare che l’azione intrapresa non si poneva, neppure nei
confronti dei X come di mero accertamento, tale cioè da prescindere da una situazione di contrasto
interpretativo del regolamento condominiale ma, al contrario, si basava su uria contrastata
interpretazione della norma pattizia e mirava non già a far venir meno una situazione di generica
incertezza bensì ad impedire il concretarsi della chiara e ribadita volontà esecutiva da parte della X
di tal ché, come riportato anche nel ricorso, era stata addirittura richiesta la rimozione delle opere
già intraprese per il concreto inizio di detta attività.
IV. a.2 — Quanto poi alla violazione dell’art 345 epe la censura difetta di specificità — sub specie del
mancato rispetto del canone dell’autosufficienza del ricorso in cassazione – in quanto non riporta il
tenore delle richieste trasfuse in appello (in disparte di dò il mezzo sarebbe stato anche infondato in
quanto la violazione della destinazione d’uso era inevitabilmente incidente sul diritto singolare dei
condomini e dunque la specificazione della direzione di tale lesione non apportava aliquid novi
all’originaria prospettazione).
V — Con il secondo motivo la X censura la violazione delle norme di ermeneutica negoziale — art
1362 cod. civ. — laddove la Corte territoriale ritenne vietata Fattività di affittacamere, con dò non
considerando – ad avviso della ricorrente- che altri inquilini dello stesso stabile avevano intrapreso
attività commerciali , imprenditoriali e professionali che, a norma del regolamento, sarebbero state
loro precluse; la omessa considerazione di tale situazione di fatto avrebbe costituito deroga al
principio, disciplinato dall’art 1362 cod. dv., secondo il quale nella interpretazione del contenuto del
contratto deve farsi luogo alla comune volontà delle parti anche valutando la condotta delle
medesime, successiva alla conclusione del negozio.
V.a — Il motivo è infondato in quanto la Corte territoriale ha dato congrua e ragionevole spiegazione
, da un lato, del contenuto letterale del regolamento condominiale (che re cita: ” È vietato di
destinare gli appartamento ad uso dì qualsivoglia industria o di pubblici uffici, ambulanze, sanatori,
gabinetti per la cura di malattie infettive o contagiose, agenzie di pegni, case di alloggio, come pure
di concedere in affitto camere vuote od ammobiliate o di farne, comunque un uso contrario al
decoro, alla tranquillità, alla decenza ovvero al buon nome del fabbricato” ) e dall’altro, della
ragione per la quale la condotta contraria ad esso tenuta nel passato da altri condomini non potesse
influenzare la interpretazione e la vigenza dello stesso.
V.b – Del tutto infondato è poi il richiamo “storicizzante” del regolamento che vorrebbe ricondurre
il divieto contenuto del testo negoziale contrattuale a quelle attività che inciderebbero solo sul
decoro, sulla tranquillità e sul buon nome del fabbricato, basato sull’osservazione che le rigide
prescrizioni stilate del 1920 non potrebbero valere nell’epoca attuale, stante anche l’espressa
previsione normativa — all’epoca: legge Regione Lazio m 18/1997 (poi abrogata con regolamento
regionale n 16/2008) – tesa a garantire e favorire una ripresa dell’attività alberghiera e recettizia (in
occasione del Giubileo speciale del 2000): in contrario va ricordata la congruamente motivata
funzione di norma di chiusura riconosciuta dalla Corte di Appello all’inciso finale dell’art. 2 del
regolamento condominiale.
V.c — Profilo attinente al fatto e quindi non delibabile in questa sede è quello tendente a distinguere
fattività di ” bed and breakfast” d a quella di affittacamere , non senza tralasciare di considerare che
la prima è stata disciplinata dall’art. 2 lett e) del regolamento 24 ottobre 2008 n.16 e si incentrava
sulla perdurante coabitazione dei proprietari con gli ospiti, circostanza questa che non risulta
indagata in giudizio.
V.d – A ciò si aggiunga che ontologicamente fattività di affittacamere è del tutto sovrapponibile –
in contrapposto all’uso abitativo — a quella alberghiera e, pure, a quella di bed and breakfast (vedi
sui due punti: Cass. Sez. VI-2, ordinanze 704/2015 e 26087 / 2010)
VI — Le spese seguono la soccombenza e vanno regolate secondo quanto indicato in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte
Rigetta il ricorso della X e dichiara inammissibile quello delle parti X condanna entrambe dette
parti al pagamento in via solidale delle spese di lite che liquida in complessivi euro 2.700,00 di cui
200,00 per esborsi
Così deciso in Roma il Io
dicembre 2015 nella camera di consiglio della seconda sezione della
Corte di Cassazione

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