Un’auto può definirsi rifiuto quando il proprietario non voglia più servirsene o quando il suo utilizzo (per il suo fine naturale di mezzo di trasporto) non può essere più possibile, perché lo stesso risulti ad esempio privo di motore o di altri parti indispensabili e, di fatto, non è in grado di circolare.
Quando un’auto risulta in tale stato: non è sufficiente consegnarne le targhe e non può certo essere parcheggiata da qualche parte: costituendo come detto il veicolo rifiuto speciale, è assolutamente identica a quella rappresentata dall’abbandono di rifiuto, sanzionato quindi dal Codice dell’ambiente al pari dell’abbandono per strada degli altri rifiuti speciali.
Alla pubblica via è equiparabile l’area privata e la stessa pena sarà quindi applicabile per chi deposita un’automobile ormai inutilizzata in un parcheggio condominiale, piuttosto che per strada
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 19 maggio 2014, n. 20492
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 22 gennaio 2013 il Tribunale di Termini Imerese, sezione distaccata di Cefalù,
ha condannato P.M. – imputato per il delitto di cui all’articolo 6, comma 1, lettera a), l. 210/2008 per
avere abbandonato un rifiuto pericoloso (un’automobile) su un’area pubblica – alla pena di € 2.000
di multa, riqualificando il reato nella fattispecie di cui agli articoli 184, 256 e 192 d.lgs. 152/2006.
2. Ha presentato ricorso il difensore sulla base di due motivi. Il primo motivo denuncia violazione
degli articoli 2 c.p., 3, comma 2, e 13, comma 1, d.lgs. 209/2003, 184, 256 e 192 d.lgs. 152/2006,
530 c.p.p., nonché vizio motivazionale, contestando la qualificazione del reato operata dal giudice.
Il secondo motivo denuncia violazione degli articoli 162 bis c.p., 178, lettera c), 516, 517, 522, 525,
comma 3, c.p.p. e 141, comma 4 bis, disp. att. c.p.p., non essendo stato l’imputato ammesso ad
oblazione, nonostante la riqualificazione da delitto a contravvenzione oblabile, ex articolo 141,
comma 4 bis, disp. att. c.p.p.
Considerato in diritto
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
3.1 Il primo motivo contesta la riqualificazione dei reato operata dal giudice di merito, avendo
quest’ultimo definito la carcassa dell’auto abbandonata in modo incontrollato nel settembre 2008
quale “veicolo fuori uso” e “rifiuto speciale” con conseguente richiamo al d.lgs. 152/2006. Su
questo argomenta il ricorrente, omettendo però uno specifico confronto con quanto correttamente
evidenziato nella motivazione della sentenza impugnata, che ha richiamato una pertinente
giurisprudenza di questa Suprema Corte per qualificare il veicolo come “fuori uso” e quindi come
“rifiuto speciale”, così da applicare appunto la fattispecie di cui agli articoli 184, 256 e 192 d.lgs.
152/2006 (abbandono incontrollato di veicoli fuori uso costituenti rifiuti speciali), come vigente nel
settembre 2008 quando fu consumato il reato, e precisamente applicando l’articolo 256, comma 1,
lettera a), del citato decreto non avendo ritenuto certa la natura pericolosa del rifiuto. Nel caso di
specie, invero, si trattava di un’automobile, risultata di proprietà dell’imputato, trovata in pessimo
stato di conservazione e priva di vari componenti il 17 settembre 2010 presso il parcheggio di un
campo sportivo. Al riguardo, dunque, il giudice di merito ha richiamato la giurisprudenza di
legittimità in ordine appunto alla categorizzazione in rifiuto speciale, che insegna come, per
qualificare un veicolo “fuori uso” e quindi “rifiuto speciale”, rilevano la volontà di abbandono da
parte del proprietario e la oggettiva inidoneità del veicolo a svolgere la sua funzione (oltre a Cass.
sez. III, 20 dicembre 2011-20 febbraio 2012 n. 6667 e a Cass. sez. III, 13 aprile 2010 n. 22035,
citate dal Tribunale, si veda la recente Cass. sez. III, 2 aprile 2013 n. 40747, per cui “in tema di
gestione dei rifiuti, deve essere considerato “fuori uso” in base alla disciplina di cui all’art. 3 D.Lgs.
209/2003, sia il veicolo di cui il proprietario si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi, sia
quello destinato alla demolizione, ufficialmente privo delle targhe di immatricolazione, anche prima
della materiale consegna a un centro di raccolta, sia quello che risulti in evidente stato di
abbandono, anche se giacente in area privata”). La conseguentemente esatta applicazione, alla luce
della giurisprudenza nomofilattica, della normativa pertinente operata dal Tribunale rende quindi
inconsistente il primo motivo.
3.2 Il secondo motivo lamenta la mancata fruizione dell’oblazione come conseguenza della riqualificazione del delitto di cui al capo di imputazione in una fattispecie contravvenzionale
oblabile. Ad avviso del ricorrente, operata la riqualificazione il Tribunale avrebbe dovuto
sospendere la decisione e con ordinanza ad hoc applicare a suo favore il combinato disposto di cui
agli articoli 162 bis c.p.p. e 141, comma 4 bis, disp. att. c.p.p., rimettendo in termini l’imputato
perché si avvalesse dell’oblazione. Ciò tanto più considerato il fatto che la riqualificazione era stata
espletata dal giudice in modo del tutto autonomo nella sentenza, senza specifica istanza in tal senso
della difesa.
La prospettazione del ricorrente non tiene conto della giurisprudenza di questa Suprema Corte
sull’argomento. In particolare, quanto all’ammissione all’oblazione a seguito di modifica
dell’originaria imputazione, S.U. 28 febbraio 2006 n. 7645 impongono per adire alla procedura
oblativa la specifica istanza della parte, che nel caso di specie, come ammette lo stesso ricorrente,
non è stata mai proposta prima della decisione del giudice (“Nel caso in cui l’imputato, nel corso
dell’istruttoria dibattimentale, abbia presentato istanza di oblazione subordinata ad una diversa e più
favorevole qualificazione giuridica del fatto, dalla quale discenda la possibilità di essere ammesso
all’oblazione stessa, il giudice, se effettivamente procede a tale modifica, deve attivare il
meccanismo di cui all’art. 141, comma quarto bis, c, p. p., anche all’esito dell’istruttoria
dibattimentale; nel caso in cui ometta di pronunciarsi sull’istanza o si pronunci applicando
erroneamente la legge penale, tale omissione o errore potrà essere fatta rilevare in appello,
attraverso il meccanismo di cui all’art. 604, comma settimo, c, p. p., ovvero, in caso di sentenza
inappellabile, con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo lett. c), c.p.p.”; cfr.
pure Cass. sez. III, 26 agosto 1999 n. 10634). Se, dunque, il giudice opera la riqualificazione
giuridica del fatto nella sentenza, anche in difetto di preventiva istanza in tal senso dell’imputato,
non si configurano i presupposti della restituzione nel termine dell’imputato stesso per la richiesta di
oblazione, il che non integra, d’altronde, alcuna lesione del suo diritto di difesa (cfr. Cass. sez. III,
19 ottobre 2011-2 aprile 2012 n. 12284, che per un caso di tal specie ha ritenuto manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 162, 162 bis c.p., 521 c.p.p. e 141
disp. att. c.p.p. in relazione agli articoli 3 e 24 Cost. laddove non prevedono tale restituzione nel
termine). Anche il secondo motivo risulta pertanto manifestamente infondato.
Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con
conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese del
presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale emessa in
data 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato
presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone
che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1000,00 in favore della Cassa
delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di € 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.