Legittima la interruzione del servizio idrico somministrato ad un condomino moroso.

 

Tribunale Ordinario di Modena Ordinanza del 05 giugno 2015
premesso che:
– con ricorso depositato in data 3/2/15 il ricorrente ha chiesto provvedimento di ordine di cessazione
di condotta antigiuridica consistente nell’esclusione dalla fornitura di acqua corrente della porzione
di proprietà esclusiva del ricorrente stesso, e precisamente ha chiesto “l’immediato ripristino
dell’erogazione della fornitura d’acqua in favore del ricorrente”;
– parte ricorrente lamentava, pur riconoscendo la perdurante insolvenza nel pagamento delle spese
condominiali, che l’Assemblea condominiale del Condominio “Casabella”, nella seduta del
4/12/2014, deliberava la sospensione dell’approvvigionamento idrico nell’appartamento del
ricorrente; a tale delibera l’amministratore condominiale dava corso comunicando contestualmente
al Comune di Carpi la sospensione dell’erogazione dell’acqua;
– il condominio convenuto si è costituito eccependo in primo luogo l’inammissibilità del ricorso
cautelare per mancata indicazione della causa di merito, ed in secondo luogo l’infondatezza di
merito in fatto e diritto;
– essendo affetto da insuperabili profili di inammissibilità, il ricorso è stato rigettato con ordinanza
in data 19/2/15, con condanna alle spese processuali;
– con nuovo ricorso depositato in data 3/4/15 il ricorrente ha chiesto in via principale reintegrazione
nel possesso ai sensi degli artt. 1168 C.c e 703 C.p.c. e, in subordine, provvedimento d’urgenza
sensi dell’art. 700 C.p.c, e precisamente ha chiesto: “disporre (..) l’immediata reintegrazione (…) nel
possesso del servizio di rete idrica, ordinando al Condominio Casabella (…) di provvedere al
ripristino del servizio suddetto; in via subordinata, (…)ordinare (…) al suddetto Condominio
Casabella, l’immediato ripristino dell’erogazione della fornitura d’acqua…”;
– il ricorrente assume la sussistenza di danni irreparabili derivanti dal dover vivere in un immobile
privo di una fornitura essenziale come l’erogazione di acqua corrente;
– il condominio convenuto si è costituito eccependo:
la carenza di legittimazione attiva in sede possessoria in quanto il ricorrente non risulta essere
possessore dell’immobile, né delle relative pertinenze e dei servizi relativi a tale immobile, in
quanto quest’ultimo è già stato espropriato con atto di pignoramento del 29/11/2006, a seguito del
quale (art. 559 cpc) il ricorrente è attualmente custode dell’immobile, del quale, con il
pignoramento, ha perso il possesso, mantenendo la semplice detenzione; dell’immobile è stata anche
disposta la vendita forzata, con delega a professionista incaricato (ud. 13/10/10), a seguito della
quale il debitore ha perso anche la detenzione dell’immobile di sua proprietà, che spetta ora al
custode nominato dal GdE, con l’ulteriore conseguenza che l’attuale occupazione dell”immobile è
sine titulo;
– l’assenza di prova, nel merito, del possesso, per effetto della menzionata carenza di legittimazione

b) il ricorso è affetto da infondatezza nel merito, in quanto non sussiste un oggetto di possesso, e
conseguentemente dello spoglio, nella fattispecie: il “servizio di rete idrica” non può essere, di per
sé, oggetto di possesso, essendo -oltre che concetto non identificato sul piano giuridico- privo di
supporto materiale; lo spoglio di servitù di acquedotto non è configurabile perché, nella già indicata
qualità di occupante abusivo, il ricorrente non ha il diritto di utilizzo delle acque previsto dall’art.
1033 C.c.; se invece l’oggetto del possesso viene individuato nell’acqua potabile stessa, valgono le
già ricordate obiezioni illustrate dalla giurisprudenza in tema di contratto di somministrazione
sull’assenza materiale di un oggetto di possesso e di spoglio, perché l’interruzione di fornitura non
comporta spoglio essendo l’acqua in corso di prelievo già consumata (o accumulata), mentre non è
configurabile lo spoglio per quella eroganda, che non può essere oggetto di possesso attuale, perché
prima dell’apprensione vi è soltanto potenziale disponibilità del bene, realizzabile mediante la
concreta utilizzazione, solo con la persistente collaborazione dell’ente erogatore e, nella specie, del
condominio;

c) è fondata nella specie l’eccezione “feci sed iure feci”, atteso che il disposto normativo dell’art. 63,3° c., disp. att. C.c. attribuisce -in via di autotutela e senza ricorrere previamente al giudice- all’amministratore condominiale il potere di sospendere il condòmino moroso l’utilizzazione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato, e, dopo la modifica normativa che ha eliminato la previsione “ove il regolamento lo consenta”, l’esercizio di tale potere configura un potere-dovere dell’amministratore condominiale il cui esercizio è legittimo ove, come nel caso di specie, la sospensione sia effettuata intervenendo esclusivamente sulle parti comuni dell’impianto, senza
incidere sulle parti di proprietà esclusiva del condomino moroso;

d) al riguardo le deduzioni del ricorrente in ordine alla esclusione dei “servizi essenziali”
dall’ambito di operatività dell’art. 63 , 3° c., disp. att. C.c., per evitare lesione di diritti fondamentali
della persona connessi all’uso dell’abitazione, a prescindere dalla correttezza o meno di tale
impostazione, nella specie non sono pertinenti in quanto, per le ragioni esposte al punto a), non
sussiste alcuna posizione di uso legittimo dell’abitazione tutelabile, essendo il ricorrente un
occupante senza titolo dell’immobile, e dunque nessun bilanciamento -quand’anche si ritenesse
fondata l’allegazione in astratto- può essere compiuto nel caso concreto;

e) nella fattispecie non è contestata, in fatto, la sussistenza dei presupposti per l’esercizio del potere
previsto dalla norma (mora nel pagamento dei contributi condominiali protratta per oltre un
semestre);
f) è fondata l’eccezione d’inammissibilità della domanda ai sensi dell’art. 700 C.p.c., per difetto di
residualità, come interpretato da orientamento interpretativo costante e conforme, tra le quali, a
mero titolo di esempio:
“Per valutare l’ammissibilità dell’azione ex art. 700 c.p.c. occorre verificare se, in astratto, e,
quindi, indipendentemente dalle ragioni che in concreto ostano all’esercizio dell’azione o la
rendono infondata nel merito, l’ordinamento appresti una forma tipica di tutela, che consenta di
conseguire, in via d’urgenza, la tutela innominata prevista dagli art. 700 e ss. c.p.c., sicché a ben
vedere, il c.d. principio di residualità opera nell’ambito della tutela e dei procedimenti di natura
cautelare, come peraltro confermato dalla lettera dell’art. 700 c.p.c., che appunto richiama i casi
regolati dalle precedenti sezioni di questo capo, vale a dire procedimenti di natura pacificamente
cautelare” (Trib. S.Maria Capua V., sez. lav., 12/02/2013);”In tema di provvedimenti ex art. 700 c.p.c., in forza del principio di residualità: non possono
conseguirsi effetti propri di altre misure cautelari tipiche mediante il ricorso ai provvedimenti
d’urgenza; non si può ricorrere a tale strumento per interferire con l’efficacia di una misura cautelare
tipica riducendone o integrandone la sfera di azione; non può sospendersi l’esecutività di altri
provvedimenti giurisdizionali; deve escludersi l’ammissibilità di provvedimenti di urgenza quando,
per l’affermazione del diritto cautelare, siano esperibili procedimenti sommari tipici” (Trib. Nola,
sez. II, 29/01/2013);con specifico riferimento ad azione quasi possessoria: “E´ inammissibile il ricorso ex art. 700 c.p.c.,
difettando il requisito della residualità del provvedimento d’urgenza invocato, se la pretesa cautelare
del ricorrente – diretta ad ottenere rimedi urgenti per l’eliminazione delle infiltrazioni patite –
avrebbe dovuto essere proposta con le forme del ricorso per danno temuto, ai sensi dell’art. 688
c.p.c., che consente la tutela cautelare finalizzata a neutralizzare il pericolo derivante dal particolare
modo di essere di una cosa, a prescindere dall’attività umana (ed anzi nel caso di inerzia del
proprietario della cosa da cui deriva il pericolo)” (Trib. Bari, sez. III, 27/09/2012);
g) a prescindere dal motivo di inammissibilità di cui al punto precedente, però, il ricorso ai sensi
dell’art. 700 C.p.c,. è affetto da palese difetto di strumentalità, e ciò è particolarmente grave in
quanto trattasi del medesimo profilo di inammissibilità rilevato in occasione del precedente ricorso
con il provvedimento in data 19/2/15, con il quale era stato rilevato quanto segue:
«- il ricorrente non esplicita su quali norme fonda la richiesta cautelare, e in particolare se agisca
in base allo statuto della proprietà o alla tutela risarcitoria di diritti fondamentali o faccia
riferimento ad altro presupposto giuridico;
– il ricorrente non indica -non tanto le conclusioni, ma nemmeno- gli estremi della successiva causa
di merito che intende instaurare;
– presupposto del provvedimento richiesto è il carattere di strumentalità rispetto all’emanazione di
un ulteriore provvedimento definitivo (nella causa di merito), di cui si intende assicurare la
fruttuosità;
in altri termini, il provvedimento d’urgenza deve essere volto ad assicurare in via interinale
gli effetti di una futura pronuncia di merito;
rilevato che:
– l’identificazione della causa di merito instauranda non viene espressamente effettuata ed è, nel
caso di specie, di incerta individuazione e nel ricorso non sono illustrati l’oggetto ed il petitum della
controversia di merito che dovrebbe essere instaurata, non essendo nemmeno indicata la natura
dell’azione che si intende esercitare in sede di cognizione ordinaria -in ordine alla quale il richiesto
strumento cautelare deve essere connesso da un nesso di strumentalità-, ed è indicato il solo
risultato pratico preteso (ripristino dell’erogazione);
– d’altra parte, nessuna ulteriore indicazione utile sulle effettive intenzioni in ordine alla futura
causa di merito si trae dal ricorso, non essendo chiaro quale strumento giuridico, tra quelli a
disposizione, si intenda utilizzare;

– in tale prospettiva, mancando -o comunque non essendo individuabile- con ogni evidenza il
carattere di strumentalità del contenuto concreto del provvedimento di cui si chiede l’emanazione
con una domanda di merito, il ricorso è inammissibile, come rilevato da costante e conforme
giurisprudenza:
«deve essere dichiarata inammissibile la domanda di misura cautelare proposta con ricorso non
contenente la precisa indicazione dell’instaurando giudizio di merito» (Trib. Catania, 26 agosto
1993, in: Giur. it. 1994, I, 2, 675); «il ricorso ex art. 669 bis c.p.c. pur modellandosi sull’archetipo
delineato nell’art. 125, deve contenere a pena di inammissibilità circostanziati elementi di
individuazione della domanda di merito cui si ricollega in via di strumentalità necessaria la invocata
misura cautelare quante volte la relativa istanza preceda il giudizio a cognizione piena» (Trib.
Catania, 6 aprile 1994, in: Giur. it. 1995, I, 2, 28); «la mancanza dell’indicazione delle conclusioni
di merito nel ricorso cautelare non comporta l’inammissibilità dello stesso purché l’esame
complessivo dell’atto consenta al giudice di individuare i termini della domanda» (Trib. Roma,
1476/01, in: Lavoro nella giur., ’01, 1196); «il sequestro conservativo non può essere autorizzato se
nella domanda cautelare proposta ante causam non è individuato il giudizio di merito che si intende
instaurare» (Trib. Parma, 18/12/2000, in: Giur. It. ’01, 1163);
anche di questo stesso Tribunale: «non è sanabile in sede di reclamo l’originaria nullità dell’istanza
cautelare “ante causam” per mancata indicazione della causa di merito; non è consentito al giudice
del reclamo, una volta ravvisata detta nullità, rimettere le parti innanzi al giudice di prima istanza,
in applicazione analogica dell’art. 354 c.p.c.» (Trib. Modena, 16 giugno 1999, in: Giur. merito
1999, 964; con specifico riferimento al regime di strumentalità attenuata introdotto dal d.l. n.
35/2005, cfr.: Trib. Modena, Giud. Dott. Masoni R., 26 aprile 2006; Trib. Modena, Giud. Dott.
Pagliani G., 20 giugno 2007; Trib. Modena, Giud. Dott. Pagliani G., 13 settembre 2007; Trib.
Modena, Giud. Dott. Pagliani G., 20 dicembre 2007; Trib. Modena, rel. Pagliani G., pres. D’Orazi
O., ord. 23 febbraio 2011; tutte in: Jurisdata Giuffrè); «Nel sistema processuale innovato dal c.d.
rito “competitivo” (d.l. n. 35/2005), la strumentalità della cautela al merito è stata attenuata, non
essendo più doverosa, ma solo facoltativa, l’instaurazione del relativo giudizio di merito (art. 669
octies, co. 6, c.p.c.). Ciononostante, l’indicazione della domanda di merito sottesa alla cautela è
tuttora doverosa, anche agli effetti dell’individuazione della competenza per territorio e materia del
giudice adito (art. 669 ter c.p.c.), a pena di inammissibilità del ricorso stesso» (Trib. Modena (pres.
e rel. Pagliani G.), 28 maggio 2014, in: Jurisdata Giuffrè); In senso conforme: Trib. Modena, Sez.
Dist. Pavullo n./F., (Masoni R.), 27 aprile 2007);
considerato, pertanto, che l’istanza di parte ricorrente é inammissibile e come tale va respinta,
essendo il rilevato profilo di inammissibilità assorbente di ogni altro aspetto di rito e di merito, che
non è necessario esaminare»; le esposte censure in rito sono integralmente riproducibili per il
presente ricorso, che incorre nei medesimi difetti di prospettazione, con conseguente ulteriore e
radicale profilo di inammissibilità: nemmeno questa volta, infatti, il ricorrente indica gli estremi
della successiva causa di merito che intende instaurare, non specifica l’oggetto ed il petitum della
controversia, non indica la natura dell’azione che intende esercitare;
h) la ripetizione di un ricorso affetto dai medesimi difetti di presupposti di inammissibilità di un
precedente specifico è sanzionabile ai sensi dell’art. 96 C.p.c., applicabile anche ai provvedimenti
cautelari (Cass. I, 30/7/2010, n. 17902; Trib. Verona, 21/3/2011, Giur. merito 2011, 9, 2161; Trib.
Reggio Emilia, 18/4/2012, n. 712, Giur. merito 2012, 11, 2366; Trib. Milano, sez. VIII, 13/6/2012,Redazione Giuffrè 2013);
i) il ricorrente deve, infatti, essere condannato per aver instaurato la controversia giudiziale in modo
temerario; nella specie non ricorrono i presupposti per una pronuncia ai sensi del primo comma
della norma citata, invero neppure richiesta da parte opposta, stante l’assenza di prova in ordine al
danno derivante dalla temerarietà della lite; può invece procedersi ad una condanna dell’opponente
ai sensi del novellato terzo comma., a tenore del quale “in ogni caso, quando pronuncia sulle spese
ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al
pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”; per espressa
scelta normativa, la pronuncia può essere effettuata d’ufficio e non ha limite nella determinazione
dell’importo della condanna, come invece era previsto nell’abrogato art. 385 c.p.c.; attesa la natura
della sanzione prevista dalla norma in esame -una forma di danno punitivo per scoraggiare l’abuso
del processo e preservare la funzionalità del sistema giustizia deflazionando il contenzioso- è
esclusa la necessità di un danno di controparte; peraltro non vi sono preclusioni di rango
costituzionale che interdicano la previsione di una simile tipologia di danno; riguardo all’elemento
soggettivo richiesto in capo al destinatario della condanna, va condivisa l’opzione interpretativa più
rigorosa che richiede comunque la presenza del requisito -previsto espressamente soltanto
nell’ipotesi di cui al primo comma- della malafede o della colpa grave; non pare, invece, sufficiente
la sussistenza della sola colpa lieve o, addirittura, della mera soccombenza; ciò posto, come sopra
ricordato ai punti g) ed h), si ravvisano nel caso concreto tutti i presupposti per la pronuncia ai sensi
del menzionato art. 96, 3° c., C.p.c.;
le spese del procedimento cautelare seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo e,
per effetto di espressa dichiarazione, devono essere distratte in favore del procuratore antistatario;
P. Q. M.
Visti gli artt. 669-septies, 700 e 703 C.p.c.,
rigetta il ricorso siccome inammissibile e infondato nei sensi di cui in motivazione;
dichiara tenuto e condanna XX a rifondere al Condomino Casabella, in persona
dell’amministratore pro tempore,
dichiara tenuto e condannaXX, ai sensi dell’art. 96, comma 3, C.p.c., a corrispondere al
Condomino Casabella, in persona dell’amministratore pro tempore, la somma di € 3.000,00;
dichiara tenuto e condanna XX a rifondere al Condomino Casabella, in persona
dell’amministratore pro tempore, le spese del presente giudizio, che liquida in complessivi €
2.000,00, di cui € 100,00 per spese, oltre ad accessori dovuti per legge,disponendone la distrazione
in favore del procuratore antistatario.
Si comunichi.
Modena, 5/6/15

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