In caso di opere che incidono sul diritto di altri comproprietari, l’amministrazione è legittimata ad esigere il consenso degli stessi (che può essere manifestato anche per fatti concludenti); perciò, qualora vi sia un conclamato dissidio fra i comproprietari in ordine all’intervento progettato in base al mero riscontro della conformità agli strumenti urbanistici, e maggior ragione nell’ipotesi di sanatoria edilizia di opere abusive quindi già realizzate, deve ritenersi che in caso di mancato assenso degli altri condomini, l’ente può negare la concessione in sanatoria chiesta ai sensi dell’articolo 39 della legge 724/94 laddove si ritiene che l’abuso interessi parti comuni del fabbricato
TAR Sicilia con la sentenza n. 1477 del 14 giugno 2016
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 44 del 2008, proposto da S.F., rappresentata e difesa
dall’avv. Nunzio Pinelli, con domicilio eletto in Palermo, piazza Virgilio, 4, presso lo studio del
predetto difensore; contro
il Comune di Palermo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv.
Ezio Tomasello, con domicilio eletto in Palermo, piazza Marina, 39, presso gli uffici
dell’Avvocatura comunale;
per l’annullamento
del provvedimento dirigenziale n. 8191 del 28 settembre 2007 di diniego della concessione
edilizia in sanatoria chiesta il 28 marzo 1995 ai sensi dell’art. 39 della legge 724/1994 per la
tettoia con struttura metallica retrostante l’edificio sito in via X.;
degli atti connessi, presupposti e conseguenziali;
e per la dichiarazione
“dell’obbligo del Comune di Palermo di rilasciare alla ricorrente l’attestato di concessione
assentita per silentium ovvero formale concessione in sanatoria”.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti l’atto di formale costituzione in giudizio, il controricorso e i relativi allegati del Comune di
Palermo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore la dott.ssa Anna Pignataro;
Uditi, nell’udienza pubblica del giorno 28 aprile 2016, per le parti i difensori, presenti così come
specificato nel verbale d’udienza;
FATTO
Con il ricorso in epigrafe ritualmente notificato il 21 dicembre 2007 e depositato il giorno 8 gennaio
2008, la signora F. S., in qualità erede del coniuge defunto G.G., proprietario di un’unità
immobiliare nel complesso condominiale di via X., impugna il provvedimento di cui epigrafe con il
quale il Comune di Palermo ha negato la concessione edilizia in sanatoria chiesta il 28 marzo 1995
ai sensi dell’art. 39 della legge 724/1994 per la tettoia con struttura metallica retrostante l’edificio di
che trattasi.
Il provvedimento è così motivato: “con sentenza n.946/2002 il Tribunale di Palermo ha dichiarato
che le opere sono state realizzate su area di proprietà comune ad altri condomini”; ne deduce
l’illegittimità per “Violazione dell’art. 10 bis della 1. n. 241/1990, dell’art. 11 bis della l.r. n. 10 del
1991 e delle regole del giusto procedimento”, a causa dell’omessa comunicazione dei motivi ostativi
all’accoglimento e della lesione del principio del giusto procedimento atteso che la partecipazione
all’istruttoria le avrebbe permesso di evidenziare che la richiamata sentenza del giudice di prime
cure era stata “sospesa dall’anno 2002 dalla Corte di Appello di Palermo in data 16/7/2002”.
L’atto sarebbe altresì viziato per il motivo di “Eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento e
dell’ingiustizia manifesta, violazione e falsa applicazione dell’art. 39 della 1. n.724 del 1994 e del
difetto di motivazione” in quanto sarebbe stato adottato sostanzialmente per tutelare diritti di terzi
(il Condominio), nonostante che l’art. 39 della legge 724 del 1994 espressamente preveda che la
concessione in sanatoria sia rilasciata con salvezza dei diritti dei terzi.
In ogni caso, la richiedente sarebbe comproprietari a dell’area di sedime sulla quale insiste l’opera
abusiva e sulla istanza di condono si sarebbe già formato il silenzio assenso in data 30 dicembre
1998 che non risulterebbe essere stato ritirato in autotutela.
Chiede, quindi, l’annullamento del diniego e la dichiarazione dell’obbligo del Comune di certificare
l’avvenuta formazione per silentium del titolo edilizio ovvero di rilasciare la formale concessione
edilizia in sanatoria.
Il Comune, con controricorso, ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del gravame a causa
dell’omessa notifica ad alcuno dei controinteressati, indicati negli altri condomini e della carenza di
interesse a ricorrere, non potendo parte ricorrente trarre alcuna utilità effettiva dall’eventuale
accoglimento; quanto alla vicenda fattuale ha precisato che la Corte di Appello di Palermo, con
sentenza depositata il 13 dicembre 2007, ha confermato integralmente la sentenza n. 964 dei 15
gennaio-19 febbraio 2002 con la quale il Tribunale di Palermo aveva accertato e dichiarato la
proprietà condominiale, tra l’altro, anche dell’”area prospicente il retroprospetto” in quanto inclusa
tra “le aree oggetto di arbitraria appropriazione da parte del convenuto (n.d.r. il dante causa della
ricorrente, il defunto G.G.), ascrivibili alle categorie previste dall’art. 117 c.c. e aventi funzione
pertinenziale nei confronti dell’edificio comunale”; il Comune ha dato, altresì, atto che avverso tale
ultima sentenza pende il giudizio presso la Corte di Cassazione.
Nel merito, si sostiene che:
1. sull’istanza di condono di che trattasi non si sarebbe formato alcun silenzio assenso poiché la
stessa era carente della documentazione prevista dalla legge per consentire la valutazione
della sanabilità dell’opera abusiva (dati tecnici sulla consistenza dell’opera e certificato di
idoneità sismica) nonché della prova dell’avvenuto accatastamento e del versamento degli
oneri concessori;
2. per giurisprudenza pacifica la concessione in sanatoria per l’opera in comproprietà non può
essere rilasciata quando vi sia l’espressa opposizione degli altri condomini, così come
avvenuto nel caso concreto (vedi allegato n.2 al controricorso);
3. la lunga vicenda giudiziaria pendente innanzi al giudice ordinario tra il Comune, il sig. G.G.
e gli altri condomini di via X., rende ben edotta parte ricorrente delle ragioni del diniego e il
relativo esito vincola la decisione di diniego della sanatoria, discendendone l’infondatezza
dei motivi di difetto di motivazione e di violazione del diritto di partecipazione
procedimentale.
All’udienza pubblica del 28 aprile 2016, su conforme richiesta delle parti, la causa è stata trattenuta
in decisione.
DIRITTO
Il Collegio ritiene di potere prescindere dalle eccezioni preliminari sollevate dal Comune resistente
in quanto il ricorso, nel merito, non è fondato.
Quanto al vizio dedotto con il secondo motivo, la cui natura sostanziale ne rende opportuno l’esame
prioritario, si osserva che la questione posta concerne la possibilità, da parte dell’amministrazione
comunale, di negare la concessione in sanatoria, chiesta ai sensi dell’art. 39 della 1. n.724 del 1994,
per il mancato assenso di altri condomini, interessando l’abuso parti comuni dell’edificio.
Sul punto, la giurisprudenza, che in passato era prevalentemente orientata nel senso che il
parametro valutativo dell’attività amministrativa in materia edilizia è quello dell’accertamento della
conformità dell’opera alla disciplina pubblicistica che ne regola la realizzazione, salvi i diritti dei
terzi e senza che la mancata considerazione di tali diritti possa in qualche modo incidere sulla
legittimità dell’atto, più recentemente (cfr. C.d.S., Sez. V, 15.3.2001 n. 1507) ha avuto occasione di
precisare che la necessaria distinzione tra gli aspetti civilistici e quelli pubblicistici dell’attività
edificatoria non impedisce di rilevare la presenza di significativi punti di contatto tra i due diversi
profili.
In proposito è stato chiarito che non è seriamente contestabile che nel procedimento di rilascio della
concessione edilizia l’amministrazione abbia il potere e il dovere di verificare l’esistenza, in capo al
richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull’immobile interessato dal progetto di
trasformazione urbanistica, trattandosi di una attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a
risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario dell’immobile
bensì finalizzata, più semplicemente, ad accertare il requisito della legittimazione del richiedente.
Conseguentemente, in caso di opere che incidono sul diritto di altri comproprietari, c legittimo
esigere il consenso degli stessi (che può essere manifestato anche per fatti concludenti) e che perciò
qualora vi sia un conclamato dissidio fra i comproprietari in ordine all’intervento progettato in base
al mero riscontro della conformità agli strumenti urbanistici, e maggior ragione nell’ipotesi di
sanatoria edilizia di opere abusive quindi già realizzate, la scelta dell’amministrazione di
assentire/sanare comunque le opere evidenzia un grave difetto istruttorio e motivazionale, perché
non dà conto della effettiva corrispondenza tra la richiesta di concessione e la titolarità del prescritto
diritto di godimento (cfr. in termini, anche C.d.S., Sez. V, 20.9.2001 n. 4972; T.A.R. Toscana
23.11.2001 n. 1651; T.A.R. Emilia Romana-Parma, 21.3.2002 n. 183).
In altre parole, è legittimo che l’amministrazione in sede di rilascio della concessione edilizia in
sanatoria possa richiedere che sussista il consenso degli altri comproprietari dell’area interessata
dall’intervento edilizio e, quindi, opporre il diniego di concessione in sanatoria per il mancato
assenso di questi ultimi (Consiglio di Stato, sezione V, 21 ottobre 2003, n. 6529).
Né giova l’argomento difensivo della pendenza innanzi alla Corte di Cassazione del giudizio avente
a oggetto l’assetto proprietario anche dell’area sulla quale insiste l’opera abusiva di che trattasi,
atteso che non è stato provato in atti che la sentenza di appello sia stata sospesa.
Parimenti non è stata provata da parte ricorrente l’avvenuta formazione del titolo edilizio per
silenzio assenso mediante il deposito della domanda di condono e della documentazione richiesta a
suo corredo, neanche a fronte della specifica controdeduzione sul punto da parte del Comune
resistente che ha dichiarato che la domanda presentata il 28/3/1995 dal proprietario dell’immobile
G.G. era carente della documentazione prevista dalla legge per consentire la valutazione della
sanabilità dell’opera abusiva (dati tecnici sulla consistenza dell’opera e certificato di idoneità
sismica) nonché della certificazione dell’avvenuto accatastamento e del versamento degli oneri
concessori.
Orbene per consolidata giurisprudenza amministrativa dalla quale il Collegio non ravvisa motivi per
discostarsi, in materia di condono edilizio la formazione del silenzio assenso postula che l’istanza
sia assistita da tutti i presupposti di accoglibilità, non determinandosi ope legis la regolarizzazione
dell’abuso, in applicazione dell’istituto del silenzio assenso, ogni qualvolta manchino i presupposti
di fatto e di diritto previsti dalla norma, ovvero ancora quando l’oblazione non sia stata versata o
non corrisponda a quanto effettivamente dovuto, oppure quando la documentazione allegata
all’istanza non risulti completa affinché possano essere utilmente esercitati i poteri di verifica
dell’Amministrazione comunale, differenziandosi il tacito accoglimento della domanda di condono
dalla decisione esplicita solo per l’aspetto formale (cfr. Cons. Stato, V, 13 gennaio 2014 n. 63;
Cons. Stato, sez. IV, 30 giugno 2010, n. 4174).
Il regime del silenzio assenso, infatti, persegue la finalità di snellimento della procedura ma non
modifica le condizioni sostanziali per conseguire la sanatoria: pertanto, ove l’opera non sia
effettivamente sanabile diventa irrilevante il termine di legge posto per la formazione del silenzio
assenso.
Residua l’esame del primo motivo di gravame, con il quale la ricorrente lamenta l’omessa
comunicazione del preavviso di rigetto.
In disparte la circostanza di fatto evidenziata dal Comune resistente della preesistenza del
contenzioso tra le parti oggi in lite – ancora pendente innanzi al giudice ordinario – inerente la
proprietà delle aree condominiali, che non poteva non rendere edotta l’odierna ricorrente delle
ragioni del diniego, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, dal quale il Collegio
non ravvisa ragioni per discostarsi nel caso di specie, sebbene l’istituto del ” preavviso di rigetto “,
previsto dall’art. 10 bis, 1. 7 agosto 1990, n. 241, introdotto dalla 1. n. 15 del 2005, abbia portata
generale e trovi, quindi, applicazione in tutti i procedimenti a istanza di parte, tuttavia l’omissione di
tale preavviso non determina l’annullabilità del provvedimento qualora trovi applicazione il disposto
dell’art. 21 octies della 1. n. 241/1990, a tenore del quale “non è annullabile il provvedimento
adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura
vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere
diverso da quello concretamente adottato” (v. Cons. Stato, sez. IV, 12 ottobre 2010, n. 7440;
T.A.R. Piemonte, Torino, sez. I, 14 gennaio 2011, n. 16; 14 giugno 2006, n. 2487; T.A.R. Emilia
Romagna, Bologna, sez. II, 6 novembre 2006, n. 2875).
Ciò significa che la violazione dell’art. 10 bis della L. n. 241 cit., non produce ex se l’illegittimità
del provvedimento finale, dovendo la disposizione sul preavviso di rigetto essere interpretata alla
luce del successivo art. 21 octies, comma 2 della medesima legge che impone al giudice di valutare
il contenuto sostanziale del provvedimento e di non annullare l’atto nel caso in cui le violazioni
formali non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale del medesimo.
L’art. 21 octies cit., espressamente invocato dal Comune resistente, rende, quindi, irrilevante la
violazione delle norme sul procedimento o sulla forma dell’atto per il fatto che il contenuto
dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, così come dimostrato
dal Comune resistente.
Il ricorso, pertanto, va rigettato.
Le spese vanno poste, come di norma, a carico della parte soccombente, nella misura indicata in
dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda) definitivamente
pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese legali nei confronti del Comune di Palermo, in
persona del Sindaco pro tempore, liquidate in complessivi € 1.000,00 (euro mille/00), oltre
accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 28 aprile 2016 con l’intervento dei
magistrati:
Presidente
Cosimo Di Paola
Primo Referendario, Estensore
Anna Pignataro
Referendario
Sebastiano Zafarana
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE