In materia edilizia, affinché un manufatto presenti il carattere della pertinenza si richiede che abbia una propria individualità, che sia oggettivamente preordinato a soddisfare le esigenze di un edificio principale legittimamente edificato, che sia sfornito di autonomo valore di mercato, che abbia ridotte dimensioni, che sia insuscettibile di destinazione autonoma e che non si ponga in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti; diversamente, il manufatto rappresenta un ampliamento dell’edificio» con conseguente «necessità del permesso di costruire mai richiesto dal proprietario dell’immobile.

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Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 31 agosto 2016, n. 35858

Ritenuto in fatto
1.I. C. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma di conferma della
sentenza del Tribunale di Roma di condanna per il reato di cui all’art. 44 lett. b) dei d.P.R. n. 380
dei 2001 per avere abusivamente realizzato nel giardino un patio in muratura con copertura in legno
e tegole.
2. Con un primo motivo lamenta la nullità della sentenza per mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione, per inosservanza di norme processuali e di norme sostanziali
e la mancata assunzione di prova decisiva. In particolare lamenta che la Corte d’Appello ha
semplicisticamente disatteso le censure della ricorrente volte ad asserire che la tettoia in esame non
concretava l’abuso edilizio trattandosi di intervento pertinenziale inferiore agli indici previsti
dall’art. 5 delle norme tecniche di attuazione del P.r.g. del comune di Roma e dell’art. 3, comma 1
lett. e) punto 6 del d.P.R. N. 380 del 2001. La Corte non ha infatti indicato le risultanze processuali
e le fonti probatorie che hanno determinato il suo convincimento, tanto più non essendo stata
contestata la tesi che le pertinenze non eccedenti il 15% del manufatto non configurano secondo le
norme di attuazione del piano regolatore di Roma nuove costruzioni; né risulta che la tettoia sia
parte integrante dell’abitazione dell’imputato come ritenuto dalla corte alla stregua della deposizione
dell’ operante Faiola. 3. Con un secondo motivo lamenta l’estinzione dei reato per intervenuta
prescrizione essendo ormai decorso il tempo di cinque anni a decorrere dal 9 novembre 2009.
Considerato in diritto
4. II primo motivo di ricorso è inammissibile, sostanzialmente non confrontandosi con le
argomentazioni della sentenza impugnata.
Ancora una volta il ricorrente, così come già fatto con l’atto di appello, ha invocato la legittimità del
proprio operato, anche in virtù delle norme di attuazione del P.r.g. dei Comune di Roma, sulla base
della natura pertinenziale dell’opera senza considerare che la stessa è consistita, come sottolineato
dalla Corte territoriale, adesiva a quanto già sostenuto dal Tribunale, in un patio in muratura di
mq.32 circa con copertura realizzata in legno e tegole sì che, facendosi corretta applicazione dei
principi in più occasioni enunciati da questa Corte, la stessa abbisognava in realtà di permesso di
costruire. Infatti, affinché un manufatto presenti il carattere della pertinenza, si richiede che abbia
una propria individualità, che sia oggettivamente preordinato a soddisfare le esigenze di un edificio
principale legittimamente edificato, che sia sfornito di autonomo valore di mercato, che abbia
ridotte dimensioni, che sia insuscettibile di destinazione autonoma e che non si ponga in contrasto
con gli strumenti urbanistici vigenti (tra le altre, Sez.3, n. 25669 del 30/05/2012, Zeno e altro, Rv.
253064).
E, nella specie, con giudizio fattuale insindacabile in questa sede, la Corte d’Appello ha ritenuto
appunto la natura dell’opera, interrata per due lati e delimitata perimetralmente da un muro alto
circa un metro e così agilmente predisposto alla chiusura tramite infissi, come di vera e propria
dependance rispetto all’edificio principale : in sostanza, mediante il patio in questione, si è operato
un ampliamento dell’edificio con conseguente necessità di permesso a costruire.
5. L’inammissibilità del primo motivo con conseguente mancata formazione di un valido rapporto
processuale preclude a questa Corte la possibilità di rilevare la prescrizione del reato, invocata con
il secondo motivo, maturata successivamente alla sentenza impugnata in data 09/11/2014 (Sez. U.,
n. 32 del 22/11/2000, D. L., Rv.217266) e comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di denaro di euro 1.500 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di denaro di euro 1.500 in favore della Cassa delle ammende.

 

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