Nel condominio minimo, formato cioè da due partecipanti con diritti di comproprietà sui beni comuni nella stessa proporzione, le regole codicistiche sul funzionamento dell’assemblea si applicano allorché l’assemblea si costituisca regolarmente con la partecipazione di entrambi i condomini e deliberi validamente con decisione unanime, intendendosi con tale ultima espressione – decisione unanime – quella che sia frutto della partecipazione di entrambi i comproprietari alla discussione, essendo logicamente inconcepibile che la decisione adottata da un solo soggetto possa ritenersi assunta all’unanimità. Ove, tuttavia, non si raggiunga l’unanimità e non si decida, poiché la maggioranza non può formarsi in concreto, diventa necessario ricorrere all’autorità giudiziaria ai sensi del combinato disposto degli artt. 1105 e 1139 cod. civ. In altri termini, volendo esemplificare, si tratta del caso in cui all’assemblea, pur essendo presenti entrambi i condomini, si decida in modo contrastante, oppure, a maggior ragione, del caso, verificatosi nella fattispecie in esame, in cui alla riunione – benché regolarmente convocata – si presenti uno solo dei partecipanti a l’altro resti assente: per sbloccare la situazione di stallo venutesi di fatto a determinare, non resta che il ricorso all’autorità giudiziaria ai sensi del citato art. 1105 cod. civ.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere
Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 13376/2013 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), rappresentato e difeso da se medesimo unitamente all’avvocato (OMISSIS) presso il cui studio in (OMISSIS), e’ elettivamente domiciliato;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) s.a.s di (OMISSIS), c.f. (OMISSIS), gia’ (OMISSIS) s.a.s di (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 596/2012 del TRIBUNALE di SANREMO, depositata il 22/11/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/01/2017 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;
uditi gli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), difensore del ricorrente, che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS), con delega dell’Avvocato (OMISSIS) difensore della Societa’ controricorrente, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore della Signora (OMISSIS), che si e’ riportato agli atti depositati;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha depositato conclusioni scritte, qui di seguito trascritte ed allegate al verbale udienza:
1. Inammissibilita’ o manifesta infondatezza del ricorso anche ex articolo 360 bis c.p.c., n. 1; condanna aggravata di parte ricorrente alle spese sia per la temerarieta’ delle pretese azionate in contrasto con consolidati orientamenti della Suprema Corte, sia perche’ parte ricorrente ha abusivamente frazionato l’asserito credito; statuizione sul contributo unificato;
2. in subordine, rimessione alle Sezioni Unite affinche’ statuiscano lambito di applicazione, anche ratione temporis, dell’articolo 385 c.p.c., comma 4, e articolo 96 c.p.c., comma 3, atteso che:
2.1. a fronte di talune sporadiche decisioni della Suprema Corte (cosi’ Sez. 6 3, Ordinanza n. 3376 del 22/02/2016, Rv. 638887, che ha motivatamente applicato l’articolo 385 c.p.c., comma 4), le argomentate domande di condanna aggravata alle spese proposte da parecchi anni dalla Procura Generale sono state (implicitamente) disattese dalla Suprema Corte, omettendo per altro qualunque motivazione al riguardo (v. ex multis Cass. n. 23865/2015 e 3349/2016);
2.2. da accertamenti eseguiti dall’Ufficio statistico della Cassazione emerge che, nel periodo 2006 2015, si registrano soltanto sei condanne aggravate alle spese ex articolo 385, comma 4, a fronte delle migliaia di ricorsi dichiarati inammissibili o manifestamente infondati soprattutto dalla Sesta Sezione (deputata per l’appunto al c.d. filtro);
2.3. in sede penale la condanna all’ammenda e’ adottata normalmente nei casi previsti (articolo 616 c.p.p., e Corte Costituzionale sent. 186/2000);
2.4. la Corte Costituzionale ha ritenuto costituzionalmente legittima la previsione del novellato articolo 96 c.p.c., (sent. 152/2016), sicche’ a fortiori deve ritenersi immune da qualunque illegittimita’ costituzionale anche il piu’ rigoroso precetto dell’articolo 385 c.p.c., comma 4;
2.5. anche nella common law e’ sanzionato l’abuso del processo, essendo prescritto che ogni atto non deve essere mai strumentale a scopi impropri, come ad esempio per molestare o provocare inutili ritardi o aumento inutile dei costi del contenzioso(any improper purpose, such as to harass or to cause unnecessary increase in the cost of litigation (Rule 11 b) 1) delle Federal Rules of civil Procedure));
2.6. la doverosa applicazione della condanna aggravata, potrebbe indurre molti Avvocati a desistere da un ricorso frettolosamente o incautamente proposto (anche per evitare la duplicazione del contributo unificato), cosi’ contribuendo efficacemente alla riduzione del contenzioso pendente.
RITENUTO IN FATTO
1 Il Tribunale di Sanremo, con sentenza 22.11.2012, ha accolto l’appello proposto da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) e della sas (OMISSIS) contro la sentenza 205/09 del locale Giudice di Pace e, riformandola, ha revocato il decreto ingiuntivo n. 18/08 emesso dal Giudice di Pace in data 29.1.2008 (per Euro 734,20 a titolo di spese condominiali oltre interessi e spese legali), dichiarando il (OMISSIS) tenuto alla restituzione in favore della (OMISSIS) di (OMISSIS) sas della somma di Euro 1.422,21.
Il Tribunale ha motivato la sua decisione osservando, per quanto ancora interessa:
– che le eccezioni di inammissibilita’ dell’appello sollevate dal (OMISSIS) erano infondate sia perche’ si trattava di sentenza appellabile (in quanto, seppur pronunciata secondo equita’, era stata emessa in ipotesi di violazione dei principi regolatori della materia condominiale e quindi in una delle ipotesi espressamente previste dall’articolo 339 c.p.c., comma 3), sia perche’ risultava soddisfatto il requisito di specificita’ dei motivi di impugnazione richiesto dall’articolo 342 c.p.c.;
– che il titolo posto a base del decreto ingiuntivo emesso nei confronti del (OMISSIS) era rappresentato da una delibera condominiale affetta da nullita’ radicale se non addirittura da inesistenza, perche’ – vertendosi in ipotesi di condominio cd. minimo (in quanto composto solo dal (OMISSIS) e dalla (OMISSIS)) occorreva necessariamente l’unanimita’ della decisione mentre nel caso di specie la delibera era stata adottata da uno solo dei partecipanti (il (OMISSIS), stante l’assenza dell’altra);
– che era da considerarsi nuova, e dunque inammissibile, la richiesta, avanzata dall’appellato, di poter ripetere le somme anticipate in via di urgenza;
– che, di conseguenza, andava evidenziato, a titolo di mero accertamento, l’obbligo del (OMISSIS) di restituire le somme ricevute dopo la sentenza di primo grado, precisandosi che la restituzione andava disposta in favore della societa’ immobiliare per avere questa in precedenza rimborsato, in adempimento di specifici obblighi contrattuali, la (OMISSIS) (che aveva a sua volta provveduto al pagamento degli importi in favore del (OMISSIS) in esecuzione della pronuncia di primo grado).
2 Contro tale sentenza ricorre per cassazione il (OMISSIS) con cinque motivi a cui resistono con controricorso la (OMISSIS) e la societa’ (OMISSIS).
Il ricorrente e l’ (OMISSIS) hanno depositato memorie ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1 Col primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’articolo 339 c.p.c., comma 3, e articolo 113 c.p.c., comma 2, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, per avere il Tribunale ritenuto ammissibile l’appello formulato alla (OMISSIS) benche’ si trattasse di sentenza pronunciata secondo equita’ e, dunque, non appellabile.
Il motivo e’ infondato.
L’articolo 339 c.p.c., comma 3, indica i casi di appellabilita’ per le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equita’ e tra questi elenca espressamente il caso di violazione “dei principi regolatori della materia”.
I giudici di merito hanno accertato che con l’appello si era evidenziato proprio la violazione dei principi regolatori della materia condominiale ed in particolare della formazione della volonta’ del condominio e quindi la censura non coglie nel segno.
2 Col secondo motivo il ricorrente deduce ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 342 c.p.c., dolendosi del rigetto dell’eccezione di inammissibilita’ del gravame sollevata per difetto di specificita’ dei motivi.
Tale censura e’ inammissibile.
Come, infatti, piu’ volte affermato da questa Corte, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – che trova la propria ragion d’essere nella necessita’ di consentire al giudice di legittimita’ di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte – vale anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali si denuncino errori da parte del giudice di merito; ne consegue che, ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’articolo 342 c.p.c., conseguente alla mancata declaratoria di nullita’ dell’atto di appello per genericita’ dei motivi, deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati dalla controparte (v. Sez. 3, Sentenza n. 86 del 10/01/2012 Rv. 621100; Sez. 5, Sentenza n. 12664 del 20/07/2012 Rv. 623401; Sez. L, Sentenza n. 9734 del 21/05/2004 Rv. 580597).
Nel caso in esame, come appare evidente dalla lettura del motivo, il ricorrente si e’ sottratto a tale onere, avendo omesso di trascrivere i motivi di appello a suo dire privi di specificita’ e di conseguenza la censura perde ogni consistenza.
3 Col terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli articoli 1136, 1139 e 1105 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, per avere il giudicante in grado di appello ritenuto nulla, se non inesistente la delibera 12.6.2007 del Condominio di (OMISSIS).
Secondo il ricorrente il Tribunale ha errato nel ritenere la delibera nulla o addirittura inesistente, avendo fatto confusione tra il concetto di unanimita’ e quello di totalita’, che non sono assimilabili: rileva in particolare che l’unanimita’ richiesta dalla giurisprudenza ai fini della validita’ delle delibere del condominio minimo puo’ validamente formarsi non solo nel caso di concordanza di opinioni espresse dai due partecipanti, ma anche nell’ipotesi – verificatasi in concreto nel caso di specie – di decisione assunta dall’unico condominio comparso all’assemblea regolarmente convocata (il (OMISSIS), appunto). Ritiene che nel condominio minimo l’assemblea possa ritenersi validamente costituita anche nel caso in cui compaia uno solo dei partecipanti ed in tal caso la delibera debba ritenersi adottata all’unanimita’ degli intervenuti e nel rispetto del quorum richiesto dall’articolo 1136 c.c., In ogni caso, secondo la tesi del ricorrente, si tratterebbe al piu’ di delibera annullabile perche’ affetta da vizi attinenti alla regolare costituzione dell’assemblea o adottata con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, con la conseguenza che in tale ipotesi, occorreva una tempestiva impugnazione della delibera nei termini di legge, nel caso di specie non proposta.
Il motivo e’ infondato.
Le sezioni unite hanno affermato che la disciplina dettata dal codice civile per il condominio di edifici trova applicazione anche in caso di condominio minimo, cioe’ di condominio composto da due soli partecipanti, tanto con riguardo alle disposizioni che regolamentano la sua organizzazione interna, non rappresentando un ostacolo l’impossibilita’ di applicare, in tema di funzionamento dell’assemblea, il principio maggioritario, atteso che nessuna norma vieta che le decisioni vengano assunte con un criterio diverso, nella specie all’unanimita’, quanto, “a fortiori”, con riferimento alle norme che regolamentano le situazioni soggettive dei partecipanti, tra cui quella che disciplina il diritto al rimborso delle spese fatte per la conservazione delle cose comuni (Sez. U, Sentenza n. 2046 del 31/01/2006 Rv. 586562; v. anche Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 5288 del 03/04/2012).
Altra e piu’ recente giurisprudenza ha ritenuto che nel caso di condominio c.d. minimo, non si applicano le norme sul funzionamento dell’assemblea condominiale, ma quelle relative all’amministrazione di beni oggetto di comunione in generale (v. Sez. 2, Sentenza n. 7457 del 14/04/2015 Rv. 635000 – 01 ma evidentemente sempre con riferimento all’ipotesi di mancanza di accordo tra le parti).
Da tali principi discende dunque che nel condominio cd. minimo (formato, cioe’ da due partecipanti con diritti di comproprieta’ sui beni comuni nella stessa proporzione) le regole codicistiche sul funzionamento dell’assemblea si applicano allorche’ l’assemblea si costituisca regolarmente con la partecipazione di entrambi i condomini e deliberi validamente con decisione unanime, intendendosi con tale ultima espressione (decisione unanime) quella che sia frutto della partecipazione di entrambi i comproprietari alla discussione (essendo logicamente inconcepibile che la decisione adottata da un solo soggetto possa ritenersi presa all’unanimita’).
Ed e’ proprio questo il senso della pronuncia delle sezioni unite n. 2046/2006 ove in motivazione testualmente si afferma: “nessuna norma impedisce che l’assemblea, nel caso di condominio formato da due soli condomini, si costituisca validamente con la presenza di tutti e due i condomini e all’unanimita’ decida validamente”. Si rivela cosi’ infondata la tesi formalistica del ricorrente secondo cui, se la Corte Suprema avesse voluto richiedere sempre la presenza di entrambi e la votazione unanime, avrebbe detto espressamente che in un condominio minimo ci vuole sempre il consenso di entrambi senza approfondire l’applicabilita’ dell’articolo 1136 c.c..
Nella diversa ipotesi in cui non si raggiunga l’unanimita’ e non si decida, poiche’ la maggioranza non puo’ formarsi in concreto diventa necessario ricorrere all’autorita’ giudiziaria, siccome previsto ai sensi del collegato disposto degli articoli 1105 e 1139 c.c. (v. sez. unite cit. in motivazione).
Volendo esemplificare, si tratta del caso in cui all’assemblea, pur essendo presenti entrambi i condomini, si decida in modo contrastante, oppure, a maggior ragione, del caso, verificatosi nella fattispecie in esame, in cui alla riunione – benche’ regolarmente convocata – si presenti uno solo dei partecipanti e l’altro resti assente: per sbloccare la situazione di stallo venutasi di fatto a determinare, non resta che i) ricorso all’autorita’ giudiziaria ai sensi dell’articolo 1105 CC.
Ora, nel caso di specie, l’avvocato (OMISSIS) fu certamente diligente nel tentare la prima e piu’ semplice soluzione, convocare la zia condomina per discutere dei lavori al fabbricato, ma avrebbe dovuto poi prendere atto, proprio perche’ si trattava di un “condominio minimo”, della impossibilita’ di costituire l’assemblea per assenza dell’altra partecipante e quindi per l’impossibilita’ di pervenire ad una decisione unanime (nel senso sopra inteso), condizione essenziale per la adozione di una valida delibera da poter poi mettere in esecuzione nelle forme di legge; e, posto di fronte ad una tale situazione di impasse, aveva l’onere di azionare il procedimento camerale previsto dall’articolo 1105 c.c., lasciando poi che fosse l’autorita’ giudiziaria a prendere i provvedimenti opportuni, non esclusa la nomina di un amministratore.
La diversa scelta di decidere da solo si risolve invece non in una delibera condominiale, ma in una mera manifestazione unilaterale di volonta’ proprio perche’ – lo si ripete – mancava l’unanimita’ della decisione e quindi la condizione essenziale per l’applicabilita’ al condominio minimo di (OMISSIS) delle regole codicistiche.
Non merita pertanto nessuna censura la sentenza impugnata che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ha rilevato di ufficio la nullita’ o addirittura l’inesistenza della delibera posta a fondamento del decreto stesso (v. al riguardo Sez. 2, Sentenza n. 305 del 12/01/2016 Rv. 638022).
4 Col quarto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli articoli 183, 345, 645 e 115 c.p.c., per avere il Tribunale ritenuto come domanda nuova la prospettazione delle spese come necessarie ed urgenti.
Il motivo e’ infondato.
Il procedimento monitorio per ottenere il pagamento della quota di spettanza della zia in relazione ai lavori di sistemazione della villa e’ stato azionato da (OMISSIS) in veste di “coammministratore” del bene comune sulla base ci una delibera condominiale di approvazione della relativa spesa. Nessun riferimento dunque in quella sede, neanche in via subordinata, ad una domanda di rimborso per spese urgenti in veste di condomino ai sensi dell’articolo 1134 c.c..
La decisione del Tribunale e’ giuridicamente corretta perche’ la domanda di rimborso ex articolo 1134 c.c., contiene una causa petendi completamente diversa rispetto a quella di pagamento avanzata dall’amministratore (nel primo caso, urgenza delle spese per le cose comuni sostenute dal condomino senza autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea nel quadro di una tipica attivita’ gestoria; nel secondo caso, esistenza di una valida autorizzazione dell’assemblea condominiale).
5 Col quinto ed ultimo motivo si lamenta, infine, la violazione dell’articolo 2033 c.c., per avere il Tribunale dichiarato l’esponente tenuto a restituire le somme alla (OMISSIS) sas piuttosto che alla (OMISSIS).
Tale motivo e’ inammissibile per difetto di interesse (articolo 100 c.p.c.).
L’interesse ad impugnare va apprezzato in relazione all’utilita’ concreta che deriva alla parte dall’eventuale accoglimento dell’impugnazione stessa, non potendo esaurirsi in un mero interesse astratto ad una piu’ corretta soluzione di una questione giuridica, priva di riflessi pratici sulla decisione adottata (tra le tante, Sez. 2, Sentenza n. 15353 del 25/06/2010 Rv. 613939 – 01; Sez. L, Sentenza n. 13373 del 23/05/2008 Rv. 603196 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 11844 del 19/05/2006 (Rv. 589392 – 01).
Nel caso in esame il ricorrente non ha spiegato quale sia in concreto l’interesse concreto a che le somme da sborsare vadano a favore dell’una piuttosto che dell’altra parte e quindi anche tale censura non coglie nel segno.
6 Il rigetto del ricorso (e quindi la conferma della revoca dell’ingiunzione di pagamento) assorbe logicamente la questione del frazionamento del credito unitario, richiamata nel controricorso e di cui pure si era doluta l’appellante.
7 La soccombenza del ricorrente comporta la condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’.
La richiesta di condanna aggravata avanzata in udienza dal Procuratore Generale non puo’ trovare accoglimento.
Nel caso in esame, infatti, il ricorso non e’ stato ritenuto ne’ inammissibile, ne’ manifestamente infondato e non si ravvisano profili di colpa grave nel comportamento del ricorrente perche’ il nucleo centrale della lite condominiale, sfociata in sede di legittimita’, e’ costituito da una questione di diritto (la disciplina giuridica del condominio minimo) di elaborazione giurisprudenziale e di non semplice soluzione.
Non si ravvisano pertanto le condizioni per la rimessione della questione alle sezioni unite, pure in subordine domandata dalla parte pubblica.
Considerato, infine, che il ricorso per cassazione e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ stato rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto l’articolo 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida, per ciascuno dei controricorrenti, in complessivi Euro 2.500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.