Con riguardo ad un edificio in condominio ed all’installazione d’apparecchi per la ricezione di programmi radiotelevisivi, il diritto di collocare nell’altrui proprietà antenne televisive, riconosciuto dagli artt. 1 e 3 della l. n. 554 del 1940 nonchè 231 del d.P.R. n. 156 del 1973, è subordinato all’impossibilità per l’utente, onerato della corrispondente dimostrazione, di utilizzare spazi propri o condominiali, giacché altrimenti sarebbe ingiustificato il sacrificio imposto ai proprietari.
Antenne televisive – Diritto all’installazione sulla proprietà altrui – Configurabilità solo in caso di impossibilità di collocare l’antenna in una parte dell’immobile di proprietà personale o condominiale
Corte di Cassazione, Sezione 1 civile
Sentenza 7 luglio 2017, n. 16865
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente
Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere
Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere
Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 21362/2013 proposto da:
(OMISSIS) (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso il sig. (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3027/2012 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 24/09/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/03/2017 dal cons. VALITUTTI ANTONIO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione notificato l’11 aprile 2001, (OMISSIS) conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Napoli, (OMISSIS), chiedendo la conferma del provvedimento ex articolo 700 c.p.c., con il quale era stato ordinato al convenuto di consentirle l’accesso al lastrico solare di copertura dell’edificio condominiale, di proprieta’ esclusiva del convenuto, per riparare la propria antenna condominiale ivi installata. Il Tribunale adito, con sentenza n. 353/2007, rigettava la domanda.
2. La Corte di Appello di Napoli, con sentenza n. 3027/2012, depositata il 24 settembre 2012, rigettava sia l’appello principale proposto dalla (OMISSIS), sia l’appello incidentale proposto dal (OMISSIS), relativamente alle spese del giudizio di primo grado. La Corte territoriale riteneva che il diritto dell’appellante di installare e mantenere l’antenna sul lastrico di proprieta’ dell’appellato fosse condizionato alla dimostrazione, non fornita in giudizio dalla (OMISSIS), dell’impossibilita’ di effettuare siffatta installazione su beni propri o di proprieta’ condominiale.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha, quindi, proposto ricorso (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) affidato a sette motivi. illustrati con memoria ex articolo 378 c.p.c.. Il resistente ha replicato con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, (OMISSIS) denuncia la violazione dell’articolo 190 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
1.1. La ricorrente deduce che l’impugnata sentenza sarebbe affetta da nullita’, essendo stato il giudizio di appello deciso prima dell’intero decorso degli ottanta giorni per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, previsti dall’articolo 190 c.p.c.. La causa sarebbe stata, infatti, riservata per la decisione all’udienza del 27 aprile 2012, e la decisione sarebbe stata deliberata nella camera di consiglio del 13 luglio 2012. Talche’ non sarebbe stato consentito alle parti “di depositare fino all’ultimo giorno le difese che ritenevano utili”.
1.2. Il motivo e’ infondato.
1.2.1. Va osservato che, secondo il prevalente orientamento di questa Corte, nel giudizio di primo o di secondo grado l’omessa assicurazione alle parti del potere di depositare le comparse conclusionali ai sensi dell’articolo 190 c.p.c., conseguente al deposito della sentenza prima della scadenza del relativo termine, deve ritenersi in ogni caso motivo di nullita’ della sentenza stessa per violazione del diritto di difesa ed essendo essa inidonea al raggiungimento del suo scopo, che e’ quello della pronuncia della decisione anche sulla base dell’illustrazione definitiva delle difese che le parti possono fare proprio nelle conclusionali e, quindi, del loro esame.
Ne’ ai fini della deduzione di detta nullita’ con il mezzo di impugnazione, la parte e’ tenuta ad indicare se e quali argomenti non svolti nei precedenti atti difensivi avrebbe potuto svolgere ove le fosse stato consentito il deposito della conclusionale, poiche’, richiedendosi l’assolvimento di tale onere, si verrebbe impropriamente ad attribuire la funzione di elemento costitutivo della nullita’ ad un comportamento inerente il modo in cui, mediante il rispetto del noto principio della conversione delle nullita’ in motivi di impugnazione della decisione (contemplato dal primo comma dell’articolo 161 c.p.c.), la parte puo’ far valere la nullita’ stessa, ovvero al veicolo necessario per darle rilievo nel processo (Cass. 10/03/2008, n. 6293; Cass. 24/03/2010, n. 7072; Cass. 05/04/2011, n. 7760; Cass. 08/10/2015, n. 20180, Cass. 02/12/2016, n. 24636).
Secondo un diverso indirizzo, peraltro, la sentenza la cui deliberazione risulti anteriore alla scadenza dei termini ex articolo 190 c.p.c., per il deposito delle conclusionali e delle memorie di replica, non e’ automaticamente affetta da nullita’, occorrendo dimostrare la lesione concretamente subita in conseguenza della denunciata violazione processuale, indicando le argomentazioni difensive – contenute nello scritto non depositato e, quindi, non esaminato dal giudice – la cui considerazione avrebbe avuto, ragionevolmente, probabilita’ di determinare una decisione diversa da quella effettivamente assunta (Cass. 13/11/2003, n.17133; Cass. 23/02/2006, n. 4020; Cass. 09/04/2015, n. 7086).
1.2.2. Tanto premesso in via di principio, va rilevato che, anche a voler aderire all’indirizzo maggioritario, va comunque rilevato che, nel caso concreto, la ricorrente non ha neppure dedotto di non essere stata in grado di depositare le conclusionali e le repliche, che anzi – come dedotto dal resistente (controricorso, p. 7) – sarebbero state regolarmente depositate dalla medesima prima della decisione della causa in camera di consiglio. Tanto piu’ che la decisione e’ stata anticipata dalla Corte territoriale di soli tre giorni, rispetto alla scadenza del termine per il deposito delle suddette memorie. Sicche’, nel caso di specie, la violazione del diritto di difesa va esclusa in radice.
1.3. Il mezzo in esame non puo’, pertanto, trovare accoglimento.
2. Con il secondo motivo di ricorso, (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 112, 183, 184 e 343 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
2.1. La ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello abbia mutato la qualificazione giuridica della domanda avanzata in giudizio dalla (OMISSIS) da azione a tutela del diritto all’informazione ex articolo 21 Cost., secondo la qualificazione operata anche dal giudice di prime cure, ad azione a tutela della proprieta’, senza che sul punto vi fosse stata impugnazione alcuna da parte dei contraddittori.
2.2. La censura e’ infondata.
2.2.1. La sentenza di appello – contrariamente all’assunto dell’esponente – non ha, invero, in alcun modo operato una nuova qualificazione giuridica della domanda, essendosi la Corte territoriale limitata ad affermare che il diritto derivante dalla normativa in materia di installazione di antenne televisive “incontra il divieto di menomare il diritto di proprieta’ di colui che deve consentire l’installazione su parte del proprio immobile, ove l’istante abbia la possibilita’ di collocare un’antenna in una parte dell’immobile di proprieta’ personale o condominiale”. Ne discende che il diritto di proprieta’ non costituisce affatto, secondo il giudice di seconde cure, l’oggetto della tutela azionata in giudizio, ma solo un limite al diritto all’installazione, laddove l’istante abbia la possibilita’ di collocare le antenne su di una parte del dell’immobile di sua proprieta’ o di proprieta’ condominiale.
2.2.2. La doglianza va, pertanto, disattesa.
3. Con il terzo, quarto e quinto motivo di ricorso, (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 112, 113, 115, 116, 167, 183, 244 e 843 c.p.c., articoli 2727 e 2729 c.c., L. 6 maggio 1940, n. 554, articoli 1 e 2, Decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156, articoli 231 e 232, nonche’ l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
3.1. Lamenta la ricorrente che la Corte territoriale abbia respinto nel merito – con motivazione del tutto inadeguata l’appello proposto dalla (OMISSIS) avverso la sentenza di primo grado, senza tenere conto, sul piano motivazionale, delle prove, anche presuntive ex articoli 2727 e 2729 c.c., acquisite agli atti, dalle quali sarebbe emerso che l’antenna TV della istante si trovava da un ventennio sul lastrico di copertura del fabbricato condominiale, di proprieta’ esclusiva del (OMISSIS), agganciata alle ringhiere unitamente ad altre antenne appartenenti a diversi condomini, e che la stessa non danneggiava in alcun modo il lastrico di copertura dell’odierno resistente. Talche’ il rifiuto del medesimo di consentire l’accesso al terrazzo, costituente violazione dell’articolo 843 c.c., sarebbe stato del tutto ingiustificato, tenuto conto del fatto che il condomino avrebbe un diritto soggettivo perfetto di natura personale a provvedere alla manutenzione della propria antenna.
3.2. In ogni caso, osserva la istante che, contrariamente all’erroneo assunto della Corte d’appello, incomberebbe sul proprietario dell’immobile gravato dall’installazione, e non su quello che intende effettuarla, l’onere di provare che l’antenna e/o l’accesso danneggiano il bene di sua proprieta’ e che il titolare dell’impianto puo’ installare l’antenna su uno spazio proprio o di proprieta’ condominiale.
3.3. I motivi sono infondati.
3.3.1. Va, per vero, osservato che – secondo l’insegnamento di questa Corte – con riguardo ad un edificio in condominio ed all’installazione d’apparecchi per la ricezione di programmi radio-televisivi, il diritto di collocare nell’altrui proprieta’ antenne televisive, riconosciuto dalla L. 6 maggio 1940, n. 554, articoli 1 e 3, e Decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156, articolo 231, (applicabili ratione temporis), e’ subordinato all’impossibilita’ per l’utente di servizi radiotelevisivi di utilizzare spazi propri, giacche’ altrimenti sarebbe ingiustificato il sacrificio imposto al proprietario dell’immobile gravato (cfr. Cass. 06/05/2005, n. 9393, relativa proprio al caso dell’installazione, da parte d’alcuni condomini, di un’antenna televisiva su un terrazzo di proprieta’ esclusiva), considerato che il diritto all’installazione non comporta anche quello di scegliere a piacimento il sito preferito per l’antenna (Cass. 21/04/2009, n. 9427).
Ed e’ evidente che, trattandosi di un fatto costitutivo del diritto all’installazione, l’onere di provare – se del caso anche con una c.t.u. – che non fosse possibile utilizzare una spazio proprio o condominiale per l’installazione, cede a carico del soggetto che intenda effettuarla.
3.3.2. Tanto premesso, va rilevato che, nella specie, dall’impugnata sentenza si evince che il (OMISSIS) aveva dedotto, gia’ in primo grado, che l’antenna della (OMISSIS) “era stata apposta abusivamente dall’attrice che si era rifiutata di concorrere alle spese di riparazione dell’antenna condominiale”, e che “a fronte della specifica contestazione avanzata dal convenuto che aveva dedotto l’abusiva installazione dell’antenna sul terrazzo di sua proprieta’”, l’attrice “non aveva fornito la prova ne’ di un preventivo consenso del convenuto, ne’ che la collocazione dell’antenna sull’immobile del convenuto era l’unico modo che le consentisse di usufruire del servizio radio-televisivo e pertanto dell’impossibilita’ di collocare l’antenna nel proprio immobile” (pp. 5 e 6).
Si desume, altresi’, dalla decisione di appello, che la (OMISSIS) non aveva neppure fornito la dimostrazione del fatto che l’antenna in questione si trovasse sul lastrico del (OMISSIS) da vent’anni, sicche’ – in difetto di prove di segno contrario – il carattere abusivo di tale installazione, a parere della Corte d’appello, non poteva che considerarsi certo.
3.3.3. Ebbene, non puo’ revocarsi in dubbio che siffatta motivazione della Corte di merito sia del tutto adeguata ed in linea con i suesposti precedenti di questa Corte in materia.
D’altro canto, quanto al dedotto vizio di motivazione, per omesso esame di risultanze istruttorie in atti, va osservato che, a norma del Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile ratione temporis, essendo stata la sentenza di appello depositata dopo l’11 settembre 2012), che ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato – come nella specie – comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie in atti (Cass. S.U. 8053 e 8054/2014; Cass. 25216/2014).
3.4. Per tali ragioni, dunque, le censure suesposte non possono trovare accoglimento.
4. Con il sesto motivo di ricorso, (OMISSIS) denuncia la violazione degli articoli 91 e 92 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
4.1. Si duole la istante del fatto che la Corte territoriale, sebbene abbia respinto sia l’appello principale della (OMISSIS) che quello incidentale del (OMISSIS), abbia condannato l’appellante principale al pagamento delle spese del giudizio, laddove – essendovi stata soccombenza di entrambe le parti si sarebbe dovuto procedere ad una compensazione delle stesse.
4.2. Il motivo e’ infondato.
4.2.1. Il rigetto tanto dell’appello principale quanto di quello incidentale non obbliga, invero, il giudice a disporre la compensazione totale o parziale delle spese processuali, il cui regolamento, fuori della ipotesi di violazione del principio di soccombenza per essere stata condannata la parte totalmente vittoriosa, e’ rimesso, anche per quanto riguarda la loro compensazione, al potere discrezionale del giudice di merito (Cass. 02/07/2008, n. 18173; Cass. 23/05/1980, n. 3405).
4.2.2. La doglianza va, pertanto, rigettata.
5. Con il settimo motivo di ricorso, (OMISSIS) denuncia la violazione del Decreto Ministeriale 20 luglio 2012, n. 140, e del Decreto Ministeriale n. 127 del 2004, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
5.1. La ricorrente si duole della mancata applicazione dei parametri di cui al Decreto Ministeriale 20 luglio 2012, n. 140, che ha riconosciuto al difensore un compenso comprensivo anche degli onorari, e con esclusione delle spese generali. Ne sarebbe derivata, anche per il mancato rispetto dei massimi tariffari, una valutazione delle spese di lite non conforme al valore della causa.
5.2. Il motivo e’ fondato.
5.2.1. Va osservato, infatti, che correttamente la istante invoca l’applicazione, nella specie, del Decreto Ministeriale 20 luglio 2012, n. 140. In tema di spese processuali, infatti, agli effetti dell’articolo 41 del Decreto Ministeriale n. 140 del 2012, il quale ha dato attuazione al Decreto Legge 24 gennaio 2012, n. 1, articolo 9, comma 2, convertito dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto, purche’ si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale. Tale ultima evenienza ricorre quando la liquidazione, concernente un determinato grado dei giudizio, intervenga (da parte del giudice del grado successivo) dopo che la sentenza ha definito quel grado del processo, talche’ la prestazione professionale del difensore debba considerarsi senz’altro conclusa (Cass. Sez. U. 12/10/2012, n. 17405; Cass. 02/07/2015, n 13628; Cass. 11/02/2016, n. 2748).
5.2.2. Nel caso di specie, il Decreto Ministeriale n. 140 del 2012, e’ entrato in vigore il 23 agosto 2012 e la sentenza di appello e’ stata depositata il 24 settembre 2012, per cui – essendo in contestazione le spese del giudizio di secondo grado – erroneamente la Corte territoriale ha liquidato separatamente i diritti dagli onorari, prevedendo il nuovo decreto (articolo 1, comma 3, e articolo 11, comma 8) un compenso onnicomprensivo, e – del pari erroneamente – ha riconosciuto anche le spese generali, inesistenti nelle nuove tariffe forensi. Orbene, applicando lo scaglione minimo (fino ad Euro 25.000,00), atteso che il valore della causa risulta di Euro 5.200,00, e pur considerando i valori massimi delle nuove tabelle, risulta liquidabile – escluse le spese generali e quelle forfettarie, introdotte successivamente (dal Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 2, comma 2) – un compenso decisamente inferiore a quello riconosciuto all’appellato dalla sentenza impugnata per onorari, diritti e spese generali.
5.3. Il mezzo va, di conseguenza, accolto.
6. L’accoglimento del settimo motivo di ricorso comporta la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, che dovra’ procedere nuovamente alla liquidazione delle spese del giudizio di appello, attenendosi ai principi di diritto suesposti.
7. Il giudice di rinvio provvedera’, altresi’, alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il settimo motivo di ricorso; rigetta il primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.