Nel caso di appropriazione indebita di somme di denaro relative ad un condominio da parte di colui che ne sia stato amministratore, il reato si consuma all’atto della cessazione della carica, in quanto è in tale momento che, in mancanza di restituzione degli importi ricevuti nel corso della gestione, si verifica con certezza l’interversione del possesso. (In motivazione la Corte ha evidenziato che, considerata la natura fungibile del denaro, sino alla cessazione dalla carica l’amministratore potrebbe reintegrare il condominio delle somme precedentemente disperse).
Corte di Cassazione Sezione 2 Penale Sentenza 30 giugno 2020 n. 19519
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CERVADORO Mirel – Presidente
Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Consigliere
Dott. PARDO I. – Consigliere
Dott. AIELLI Lucia – Consigliere
Dott. SGADARI – est. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 14/05/2019 della Corte di Appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione della causa svolta dal consigliere Dott. Giuseppe Sgadari;
udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Spinaci Sante, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano, parzialmente riformando, con riguardo al solo trattamento sanzionatorio, la sentenza del Tribunale di Milano del 16 luglio del 2018, confermava la responsabilita’ del ricorrente per il reato di appropriazione indebita continuata commessa ai danni di due condomini dei quali era amministratore ed avente ad oggetto somme di danaro in suo possesso.
2. Ricorre per cassazione (OMISSIS), deducendo:
1) violazione di legge per non avere la Corte di appello dichiarato la prescrizione delle condotte appropriative inerenti, quanto al condominio di (OMISSIS), agli assegni del (OMISSIS), a quelle date essendosi verificata la dispersione del danaro indipendentemente dal momento in cui l’imputato aveva cessato di ricoprire l’incarico di amministratore del condominio; Inoltre, trattandosi di reato continuato, la prescrizione avrebbe dovuto essere calcolata con riferimento alle singole violazioni;
2) violazione di legge per erronea applicazione dell’articolo 646 c.p..
L’imputato avrebbe usato modalita’ non ortodosse nella gestione dei conti dei vari condomini e del proprio conto personale, creando una confusione tra poste riferibili ad uno o ad altro condominio, senza, tuttavia, appropriarsi di alcunche’, in quanto da una visione di insieme sarebbe emerso che egli aveva tenuto una “gestione contabile unica” ed avrebbe legalmente operato.
Tanto viene sostenuto in ricorso con riferimento ad entrambi i condomini per i quali e’ stata affermata esistente l’appropriazione indebita.
3) Con altro motivo si sostiene che la querela sporta nell’interesse del condominio di (OMISSIS) non sarebbe idonea ad esprimere la volonta’ punitiva, sicche’ dovrebbe trovare ingresso la disciplina prevista dal Decreto Legislativo 10 aprile 2018, n. 36 a proposito del dovere di informazione della persona offesa.
4) Con l’ultimo motivo, si sostiene che il ricorrente avrebbe agito con la “ragionevole persuasione” di aver ricevuto una autorizzazione da parte dei condominii, sicche’ si invoca l’applicazione della scriminante di cui all’articolo 50 c.p..
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ manifestamente infondato.
1. Quanto al primo motivo, occorre precisare che il Tribunale aveva gia’ dichiarato la prescrizione delle condotte illecite antecedenti al (OMISSIS).
La Corte di appello, a fg. 3 della sentenza impugnata, ha fatto decorrere il termine di prescrizione dal momento della cessazione della carica, aderendo correttamente alla giurisprudenza di legittimita’ secondo cui, il delitto di appropriazione indebita e’ reato istantaneo che si consuma con la prima condotta appropriativa, e cioe’ nel momento in cui l’agente compia un atto di dominio sulla cosa con la volonta’ espressa o implicita di tenere questa come propria. (Nella specie, la Corte ha ritenuto consumato il delitto di appropriazione indebita delle somme relative al condominio, introitate a seguito di rendiconti, da parte di colui che ne era stato amministratore, all’atto della cessazione della carica, momento in cui, in mancanza di restituzione dell’importo delle somme ricevute nel corso della gestione, si verifica con certezza l’interversione del possesso) (Sez. 2, Sentenza n. 40870 del 20/06/2017, Narducci, Rv. 271199. Massime precedenti Vedi: N. 41462 del 2010 Rv. 248928, N. 29451 del 2013 Rv. 257232, N. 16702 del 2014 Rv. 261731, N. 17901 del 2014 Rv. 259715, N. 6617 del 2016 Rv. 269224, N. 25282 del 2016 Rv. 267072, N. 24957 del 2017 Rv. 270092).
Il Collegio intende ribadire tale orientamento, che rende manifestamente infondato il rilievo con il quale si richiamano le regole in tema di prescrizione nel reato continuato, posto che il reato e’ stato portato a consumazione solo con la interversione del possesso intervenuta con la cessazione della carica di amministratore da parte del ricorrente ed indipendentemente dalla dispersione dei beni in data antecedente, potendo l’imputato, fino al momento della cessazione della carica, reintegrare il condominio delle somme di danaro disperse, trattandosi di bene per sua natura fungibile.
Ne consegue, che nessuna condotta illecita ulteriore rispetto a quelle dichiarate prescritte dal Tribunale, si era estinta per tale causa all’atto della pronuncia della sentenza impugnata.
2. Quanto al secondo motivo – che attiene ad entrambe le gestioni dei condomini individuati come parti lese (quello di (OMISSIS)) – le deduzioni difensive sono eccentriche rispetto alla decisione impugnata, nella parte in cui, con accertamento di merito qui non rivedibile in quanto basato su dati di fatto, la Corte di appello ha affermato che era emerso il “dato oggettivo che consistenti somme sono state versate dai conti intestati ai condominii parti offese sul conto personale dell’imputato, che tali somme andavano ben al di la’ delle sue spettanze per il lavoro svolto, che le stesse non sono state restituite se non in minima parte e che sono residuate al termine della gestione dell’imputato consistenti esposizioni debitorie dello stesso nei confronti dei condominii” (fg. 4 della sentenza impugnata).
In ogni caso, la asserita regolarita’ gestionale, che avrebbe avuto solo il difetto della confusione, comunque non escluderebbe il reato, secondo quanto sostenuto dalla pacifica giurisprudenza di legittimita’ attinente a casi analoghi, correttamente citata dalla Corte di appello e sulla cui portata il ricorso ha sorvolato.
L’amministratore di piu’ condominii che, senza autorizzazione, faccia confluire i saldi dei conti attivi dei singoli condominii su un unico conto di gestione, a lui intestato, risponde del reato di appropriazione indebita, a prescindere dalla destinazione finale del saldo cumulativo ad esigenze personali dell’amministratore o ad esigenze dei condominii amministrati, in quanto tale condotta comporta di per se’ la violazione del vincolo di destinazione impresso al denaro al momento del suo conferimento (Sez. 2, n. 57383 del 17/10/2018, Beretta Rv. 274889 Massime precedenti Vedi: N. 24857 del 2017 Rv. 270092, N. 50672 del 2017 Rv. 271385).
3. Del tutto generico si rivela il terzo motivo, tenuto conto che, a fronte di una querela sporta dal condominio di (OMISSIS) – ove la vittima chiede anche di essere informata della eventuale archiviazione, chiedendo che si proceda per il reato di appropriazione indebita commesso dall’imputato – il ricorrente non precida le ragioni che dovrebbero portare a ritenere tale atto difettoso per la procedibilita’ dell’azione penale.
4. Il quarto motivo e’ manifestamente infondato e generico. La Corte di appello ha precisato – ma di cio’ il ricorso non ha tenuto conto – che il ricorrente non aveva ottenuto alcuna autorizzazione da parte dei condominii ad operare nei termini descritti in ricorso; al contrario, le sue pronte dimissioni dopo la convocazione per “rendere il conto” dimostravano quanto egli fosse consapevole di aver commesso il reato senza alcuna causa di giustificazione possibile (fg. 5 della sentenza impugnata).
Alla declaratoria di inammissibilita’ consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilita’.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila alla Cassa delle Ammende.