La destinazione della cosa comune – che, a norma dell’articolo 1102 del Cc, ciascun partecipante alla comunione non può alterare, divenendo altrimenti illecito l’uso del bene – dev’essere determinata attraverso elementi economici, quali gli interessi collettivi appagabili con l’uso della cosa, elementi giuridici, quali le norme tutelanti quegli interessi, ed elementi di fatto, quali le caratteristiche della cosa.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GORJAN Sergio – Presidente
Dott. ABETE Luigi – Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere
Dott. VARRONE Luca – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 10319-2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
nonche’ contro
(OMISSIS), CONDOMINIO (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) SRL;
– intimati –
nonche’
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
nonche’ contro
(OMISSIS), CONDOMINIO (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) SRL;
– intimati –
avverso la sentenza n. 29/2016 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 14/01/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29/01/2020 dal Consigliere Dott. SCARPA ANTONIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE RENZIS LUISA, la quale ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
uditi gli Avvocati (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
(OMISSIS), con atto notificato il 12 aprile 2016, ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 29/2016 della Corte d’appello di Salerno, depositata il 14 gennaio 2016.
(OMISSIS), con atto notificato il 15 aprile 2016, ha a sua volta proposto ricorso articolato in cinque motivi avverso la sentenza n. 29/2016 della Corte d’appello di Salerno.
Nei confronti di entrambi i ricorsi resistono con unico controricorso (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (gli ultimi tre anche quali eredi di (OMISSIS)).
Rimangono intimati, senza svolgere attivita’ difensive, il Condominio (OMISSIS), Salerno, la (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS).
La Corte d’appello di Salerno, accogliendo il gravame avanzato in via principale contro la sentenza resa in primo grado in data 6 agosto 2008 dal Tribunale di Salerno, ha accolto le domande proposte da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (eredi di (OMISSIS)), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), riconoscendo a costoro il diritto di utilizzare i muri dell’androne di ingresso del Condominio (OMISSIS), Salerno, e dichiarando illegittima, agli effetti dell’articolo 1102 c.c., l’utilizzazione fatta di tale androne dalle condomine (OMISSIS) ed (OMISSIS), le quali si erano impossessate degli spazi dei muri piu’ appetibili a fini commerciali. La Corte d’appello ha poi proceduto a determinare le superfici dell’androne di cui le parti in causa (tutte proprietarie di terranei ubicati all’interno del cortile condominiale, adibiti ad esercizio commerciale) possono disporre in ragione del valore millesimali delle rispettive proprieta’. La Corte di Salerno ha altresi’ accolto in parte le domande di rimozione delle vetrine apposte sui muri dell’androne da (OMISSIS) ed (OMISSIS) e condannato le stesse al risarcimento dei danni in favore di ciascuno degli appellanti. E’ stata pure accolta la domanda di garanzia svolta da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS), amministratrice della (OMISSIS) s.r.l., in forza della scrittura privata inter partes del 31 marzo 1997.
Le ricorrenti (OMISSIS) ed (OMISSIS), nonche’ i controricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno presentato memorie ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso di (OMISSIS), giacche’ notificato per primo, assume caratteri ed effetti d’impugnazione principale, in quanto esso ha determinato la costituzione del procedimento, nel quale debbono confluire, con natura ed effetti di impugnazioni incidentali, le successive impugnazioni proposte contro la medesima sentenza dalle altre parti soccombenti (articolo 335 c.p.c.). Ne consegue che il ricorso per cassazione notificato da (OMISSIS), autonomamente proposto dopo che il primo ricorso era stato gia’ notificato, si converte, riunito a questo, in ricorso incidentale.
1. primo motivo del ricorso di (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1102, 1105 e 1130 in relazione agli articoli 1133 e 1135, c.c. e dell’articolo 112 c.p.c., per aver la Corte d’appello di Salerno erroneamente ritenuto che gli attori avessero correttamente agito ai sensi dell’articolo 1102 c.c., non potendo altrimenti agire ai sensi dell’articolo 1105 c.c., u.c.. Cio’ in particolare quanto alla richiesta sostanziale di determinazione degli spazi oggetto di possibile utilizzazione dei muri dell’androne d’ingresso del fabbricato, in ragione dei valori millesimali delle rispettive proprieta’.
Il secondo motivo del ricorso di (OMISSIS) denuncia l’omesso esame del fatto decisivo costituito dalla circostanza che le vetrine apposte sui muri condominiali erano asservite all’immobile di proprieta’ della ricorrente principale da oltre quaranta anni, sicche’ alcuna alterazione vi sarebbe stata del preesistente stato di fatto e della destinazione del muro comune. Si elencano a fondamento di tale censura una serie di documenti, come anche la deduzione di prova per testimoni, che avrebbero dimostrato l’esistenza delle vetrine sin dagli anni ‘40.
Il terzo motivo del ricorso di (OMISSIS) deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 1105 e 1130 e ss. c.c., assumendo che una regolamentazione dell’uso delle parti comuni non puo’ avvenire attraverso una decisione giudiziale resa tra i soli proprietari dei vani terranei, senza il contraddittorio degli altri condomini titolari delle restanti unita’ immobiliari dell’edificio. La ricorrente principale argomenta percio’ l’inammissibilita’ della domanda giudiziale rivolta alla determinazione da parte del giudice degli spazi comuni da attribuire ad alcuni soltanto dei condomini.
Il quarto motivo del ricorso di (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 81, 112 e 167 c.p.c. e dell’articolo 2043 c.c., quanto alla legittimazione ed alla titolarita’ riconosciute agli attori per la pretesa di risarcimento del danno.
2. Il primo motivo del ricorso di (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1105 e 1102 c.c., nonche’ dei principi di cui all’articolo 1175 c.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha regolamentato l’utilizzo della parte comune, recidendo la volonta’ condominiale. Si richiama l’esito dell’assemblea condominiale 17 febbraio 2000, nella quale i condomini manifestarono l’intenzione di incaricare l’amministratore per la redazione di un regolamento d’uso delle parti comuni, al fine che “tutti i condomini siano messi nelle condizioni di servirsi dei muri perimetrali e delle altre cose in modo da impedire ad altri di farne uso”. Nella specie, l’azione contenziosa intentata da proposte da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (eredi di (OMISSIS)), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) avrebbe anticipato e superato l’operato dell’assemblea, e cosi’ eluso il disposto dell’articolo 1105 c.c..
Il secondo motivo di ricorso di (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1105 c.c. e l’omesso esame circa un fatto decisivo, quanto all’interpretazione della domanda giudiziale introduttiva della presente lite, la quale supponeva l’inerzia del condominio convenuto, e quindi imponeva il riferimento allo strumento di tutela camerale ex articolo 1105 c.c., comma 4.
Il terzo motivo del ricorso di (OMISSIS) denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1102 c.c., adducendo che la ricorrente avesse avuto una specifica autorizzazione dal condominio per fare uso delle vetrine, come dimostrato dai richiamati documenti.
Il quarto motivo del ricorso di (OMISSIS) deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 2043 e ss. in riferimento anche all’articolo 1226 c.c., quanto al disposto risarcimento dei danni, mancando il carattere contra ius del comportamento di utilizzo delle parti comuni, nonche’ ogni prova di pregiudizio da riparare.
Il quinto motivo del ricorso di (OMISSIS) deduce l’omesso esame di un “punto decisivo”, avendo beneficiato del risarcimento anche gli eredi di (OMISSIS), i quali avevano installato loro stessi in corso di causa una vetrina di identiche caratteristiche.
3. I primi tre motivi del ricorso di (OMISSIS) ed i primi tre motivi del ricorso di (OMISSIS) vanno esaminati congiuntamente, in quanto connessi, e risultano fondati nei termini di seguito indicati, rimanendo assorbiti il quarto motivo del ricorso di (OMISSIS) ed il quarto ed il quinto motivo del ricorso di (OMISSIS).
3.1. Occorre ravvisare un duplice oggetto della lite in esame, alla stregua dell’azione proposta da (OMISSIS), (OMISSIS) (poi (OMISSIS) e (OMISSIS)), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS): una domanda e’ volta a sanzionare l’abuso della cosa comune perpetrato dalle condomine (OMISSIS) ed (OMISSIS), mediante rimozione delle vetrine espositive apposte da queste ultime sui muri dell’androne condominiale; una domanda e’ invece volta ad ottenere una determinazione delle proporzionali superfici ed una regolamentazione dell’uso di tali aree dell’androne.
La prima domanda va ricondotta all’articolo 1102 c.c.. La Corte d’appello di Salerno ha ritenuto che i muri condominiali posti nell’androne costituiscono parti comuni di sicura utilita’ per i locali terranei destinati ad esercizi commerciali siti nel cortile, sicche’ essi non possono essere utilizzati solo da alcuni condomini con esclusione di altri. I giudici di secondo grado non hanno pero’ dimostrato in motivazione se il principio, esattamente tratto a livello di proclamazione astratta, sia stato applicato ad una fattispecie concreta che effettivamente risulti in esso sussumibile.
Questa Corte ha piu’ volte affermato che la nozione di pari uso della cosa comune, cui fa riferimento l’articolo 1102 c.c., non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facolta’ di trarre dalla cosa comune la piu’ intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarieta’ il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione. Ne consegue che qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che in una materia in cui e’ prevista la massima espansione dell’uso il limite al godimento di ciascuno dei condomini e’ dato dagli interessi altrui, i quali pertanto costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto. Pertanto, si e’ chiarito in giurisprudenza, con particolare riguardo, appunto, al muro perimetrale dell’edificio – anche in considerazione delle sue funzioni accessorie di appoggio di tubi, fili, condutture, targhe e altri oggetti analoghi -, che l’apposizione di una vetrina da esposizione o mostra sul detto muro da parte di un condomino, in corrispondenza del proprio locale destinato all’esercizio di attivita’ commerciale, non costituisca di per se’ abuso della cosa comune idoneo a ledere il compossesso del muro comune che fa capo come “jus possidendi” a tutti i condomini, se effettuata nel rispetto dei limiti di cui all’articolo 1102 c.c. (Cass. Sez. 2, 12/02/1998, n. 1499; Cass. Sez. 2, 20/02/1997, n. 1554; Cass. Sez. 2, 08/05/1971, n. 1309).
La destinazione della cosa comune – che, a norma dell’articolo 1102 c.c., ciascun partecipante alla comunione non puo’ alterare, divenendo altrimenti illecito l’uso del bene – dev’essere determinata attraverso elementi economici, quali gli interessi collettivi appagabili con l’uso della cosa, elementi giuridici, quali le norme tutelanti quegli interessi, ed elementi di fatto, quali le caratteristiche della cosa.
In mancanza di accordo unanime o di deliberazione maggioritaria che contenga norme circa l’uso delle parti comuni, la destinazione di queste ultime, rilevante ai fini del divieto di alterazione posto dall’articolo 1102 c.c., puo’ risultare anche dalla pratica costante e senza contrasti dei condomini, e cioe’ dall’uso ultimo voluto e realizzato dai partecipanti alla comunione, che il giudice di merito deve accertare (cfr. Cass. Sez. 2, 18/07/1984, n. 4195).
La Corte d’appello di Salerno non ha, allora, preso in considerazione le circostanze attestanti l’uso di fatto pregresso dei muri dell’androne ad opera delle condomine (OMISSIS), circostanze essenzialmente risultanti dai dati processuali richiamati nel secondo motivo del ricorso di (OMISSIS) e nel terzo motivo del ricorso di (OMISSIS), ed ha cosi’ valutato soltanto in astratto la conformita’ della installazione delle vetrine nell’androne alla destinazione della cosa stessa. Tali circostanze sull’uso praticato dell’androne, stando alle allegazioni delle ricorrenti, deporrebbero per la configurabilita’ di una servitu’ a carico dei muri comuni ed a vantaggio delle proprieta’ esclusive (OMISSIS), ove la risalente utilita’ tratta dall’apposizione delle vetrine apparisse diversa da quella normalmente derivante dalla destinazione impressa alla parte condominiale fruita da tutti i comproprietari; ove, invece, la medesima utilita’ procurata dalle vetrine alle proprieta’ (OMISSIS) derivasse unicamente dalla natura e dalla pregressa destinazione pratica dei muri comuni, queste ultime si porrebbero quali parametri di riferimento della disciplina, propria della comunione, di cui all’articolo 1102 c.c..
E’ invece inammissibile la determinazione giudiziale in sede contenziosa delle superfici dell’androne utilizzabili dai condomini proprietari dei locali terranei del Condominio (OMISSIS), cui la Corte d’appello ha proceduto, peraltro, senza che al giudizio partecipassero nemmeno i restanti condomini, essendo l’androne di un edificio oggetto di proprieta’ comune, ai sensi dell’articolo 1117 c.c., per tutti i partecipanti che ne traggano utilita’.
L’accertamento, da parte del giudice, che l’uso del bene comune, fatto da uno dei partecipanti alla comunione, renda impossibile o menomi l’esercizio del diritto degli altri comproprietari, agli effetti dei limiti stabiliti dall’articolo 1102 c.c., legittima ciascuno dei condomini a chiedere la rimozione delle opere che alterino e sconvolgano il rapporto di equilibrio della comunione, al fine di veder tutelato il loro diritto reale sulla cosa comune e di impedire il consolidarsi di una situazione illegittima, oltre che a pretendere l’eventuale risarcimento del danno, cosi’ verificando, in negativo, un limite all’esercizio del potere del singolo di servirsi della res, ma non consente una pronuncia conformativa che contenga le norme circa l’uso futuro della cosa stessa.
Al di la’ del passaggio contenuto in Cass. Sez. 2, 01/02/1993, n. 1218, che in realta’ riguardava l’efficacia da riconoscere ai regolamenti condominiali comunque adottati in virtu’ di sentenza, merita, piuttosto, conferma l’orientamento, espresso da Cass. Sez. 2, 07/06/2011, n. 12291, secondo cui il regolamento di condominio e’, in ogni caso, atto di produzione essenzialmente privata anche nei suoi effetti tipicamente organizzativi, incidenti, cioe’, sulle sole modalita’ di godimento delle parti comuni dell’edificio. Ne consegue che – come si ritiene in dottrina – il giudice puo’ eventualmente decidere sulla impugnazione ex articolo 1137 c.c. della delibera che abbia rifiutato di approvare il regolamento, quando esso deve essere obbligatoriamente formato a norma dell’articolo 1138 c.c., comma 1, ovvero annullare la norma regolamentare che sia stata impugnata a norma dell’articolo 1107 c.c., ma non puo’ modificare quest’ultima nel senso di dettare una diversa regola in sostituzione di quella annullata.
A differenza di quanto sostenuto dalla Corte d’appello di Salerno (per la quale la domanda di determinazione delle modalita’ di utilizzazione dei muri dell’androne era ammissibile, non essendo “perseguibile la diversa via di cui all’articolo 1105 c.c., u.c.”, poiche’ “nel caso in esame… non vi erano provvedimenti da adottare per l’amministrazione della cosa comune…”), deve invece ribadirsi che i condomini possono:
1)convenire il giudizio il condominio, in persona dell’amministratore, per ottenere la sola determinazione in millesimi del valore proporzionale di ciascuna unita’ immobiliare, agli effetti degli articoli 68 e 69 disp. att. c.c.; 2) oppure ricorrere all’intervento sostitutivo dell’autorita’ giudiziaria nell’interesse della res, ai sensi dell’articolo 1105 c.c., comma 4 (dettato in materia di comunione, ma applicabile anche al condominio degli edifici per il rinvio posto dall’articolo 1139 c.c.), se intendono evitare il pregiudizio che possa derivare alla cosa comune in presenza di una paralisi gestionale, perche’ non si prendono i “provvedimenti necessari per l’amministrazione” della stessa o non si forma una maggioranza, ovvero perche’ la deliberazione adottata non viene eseguita.
La previsione, ad opera del medesimo articolo 1105 c.c., comma 4, dello specifico rimedio del ricorso, da parte di ciascun partecipante, all’autorita’ giudiziaria perche’ adotti gli opportuni provvedimenti in sede di volontaria giurisdizione (ivi compresi gli atti di conservazione), preclude, dunque, al singolo partecipante alla comunione di rivolgersi al giudice in sede contenziosa per ottenere provvedimenti di gestione della res, ai fini della sua amministrazione nei rapporti interni tra i comunisti (cosi’ Cass. Sez. 3, 08/09/1998, n. 8876; Cass. Sez. U, 19/07/1982, n. 4213).
Non e’, tuttavia, altrimenti consentito ricorrere al giudice per ottenere determinazioni finalizzate al “migliore godimento” delle cose comuni, ovvero (come nella specie fatto dalla Corte d’appello di Salerno, che ha dettato le quote di superficie spettanti ai proprietari dei locali terranei per l’uso frazionato dell’androne) l’imposizione di un regolamento contenente norme circa l’uso delle stesse, spettando unicamente al gruppo l’espressione delle volonta’ associativa di autorganizzazione contenente i futuri criteri di comportamento vincolanti per i partecipanti della comunione.
4. L’accoglimento dei motivi di censura concernenti la legittimita’ dell’uso delle cose comuni oggetto di causa comporta l’assorbimento del quarto motivo del ricorso di (OMISSIS), nonche’ del quarto ed il quinto motivo del ricorso di (OMISSIS), i quali attengono alle conseguenziali statuizioni risarcitorie, e dunque implicano questioni che potranno essere riesaminate nel giudizio di rinvio.
Conseguono l’accoglimento, nei termini di cui in motivazione, dei primi tre motivi del ricorso di (OMISSIS) e dei primi tre motivi del ricorso di (OMISSIS), con assorbimento del quarto motivo del ricorso di (OMISSIS), nonche’ del quarto e del quinto motivo del ricorso di (OMISSIS). La sentenza impugnata va percio’ cassata, nei limiti delle censure accolte, con rinvio ad alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione, che decidera’ uniformandosi agli enunciati principi e provvedera’ anche alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi tre motivi del ricorso di (OMISSIS) ed primi tre motivi del ricorso di (OMISSIS), dichiara assorbiti il quarto motivo del ricorso di (OMISSIS), nonche’ il quarto e del quinto motivo del ricorso di (OMISSIS), cassa la sentenza impugnata limitatamente alle censure accolte e rinvia alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.