Ai fini dell’osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dall’art. 873 c.c. e segg. c.c. e delle norme dei regolamenti integrativi della disciplina codicistica,deve ritenersi “costruzione” qualsiasi opera non completamente interrata, avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua destinazione. Conseguentemente gli accessori e le pertinenze che abbiano dimensioni consistenti e siano stabilmente incorporati al resto dell’immobile, così da ampliarne la superficie o la funzionalità economica, sono soggette al rispetto della normativa sulle distanze
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 8 novembre 2012 – 3 gennaio 2013, n. 72
Presidente Oddo – Relatore Nuzzo
Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 16.2.1995 G.F. e V.L.G. convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Catania, P.D. , lamentando che lo stesso, proprietario in (omissis) di un villino sito nel complesso edilizio denominato “(omissis) “, confinante con il loro villino,facente parte del medesimo complesso, avesse realizzato a confine con la porzione del loro immobile, adibito a vialetto di accesso, un vano di circa m. 5 x 3 di lato e m. 3 di altezza, in violazione delle norme sulle distanze previste del Reg. Ed. di detto Comune ed, in particolare dell’art. 90 n. 3 che stabiliva per la zona estensiva, ove ricadevano gli immobili, una distanza dal confine di almeno mt. 5.
Chiedevano, pertanto, la demolizione del manufatto ed il risarcimento dei danni per la “diminuita amenità dei luoghi,l’emissione di odori e fumi insalubri e la riduzione dell’esposizione al sole del loro vialetto”.
Si costituiva in giudizio il P. chiedendo il rigetto della domanda. Espletata C.T.U. il GOA, con sentenza 21.9.2001, rigettava la domanda e condannava gli attori al pagamento delle spese processuali.
Avverso tale sentenza i coniugi G. – V. proponevano appello cui resisteva il P. .
Con sentenza depositata il 26.7.2005 la Corte di Appello di Catania, in riforma della sentenza impugnata, condannava il P. ad arretrare il vano in questione fino alla distanza di m. 5 dal confine col vialetto di proprietà degli appellanti; rigettava la domanda di risarcimento di ulteriori danni e condannava l’appellante alla rifusione delle spese di entrambi i gradi del giudizio. Osservava la Corte di merito che: a) il vano oggetto di contestazione (adibito a cucina, rifinito in ogni sua parte e delle dimensioni di m. 3,45 x 2,200 ed alto m. 2,67), sito in zona estensiva era soggetto al rispetto della distanza legale di m. 5 dal confine, come previsto dal regolamento del Comune di Acicastello, a prescindere dalla sua funzione pertinenziale, in quanto costituiva un edificio e non rispettava l’obbligo della distanza di almeno cinque metri dal confine imposto dal regolamento edilizio locale; b) non erano provati i danni genericamente dedotti dagli attori in quanto l’immissione di fumi ed odori non era conseguente alla realizzazione della costruzione, ma all’uso di un barbecue posto all’esterno del vano, sul lato sud della costruzione; la diminuzione di insolazione e di amenità del vialetto degli attori era insussistente o del tutto trascurabile in relazione all’altezza della costruzione posta a ridosso del muro di confine ed alla conformazione dei luoghi.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il P. formulando tre motivi.
Resistono con controricorso i coniugi G. – V. proponendo, altresì, ricorso incidentale relativamente al rigetto della loro domanda di risarcimento danni. Le parti hanno presentato memoria.
Motivi della decisione
Il ricorrente deduce:
1) violazione e falsa applicazione degli artt. 873 e segg. c.c. in relazione all’art. 360, co. 1 n. 3 c.p.c; il giudice di appello non aveva tenuto conto che le norme di cui all’art. 873 e segg. c.c. sono applicabili nei soli casi in cui venga realizzata un’opera che determini un aumento della cubatura utile ed abitabile, necessitante di apposita concessione edilizia;nella specie si trattava invece di opera accessoria, pertinenza dell’edificio principale già esistente e non ricorreva l’ipotesi di costruzioni frontistanti sicché dette norme, nella specie, non trovavano applicazione;
2) falsa applicazione dell’art. 90 n. 3 del Regolamento Edilizio del Comune di Acicastello,ai sensi dell’art.360, co. 1 n. 3 c.p.c.; il giudice di appello aveva considerato l’opera in questione di natura autonoma anziché pertinenza dell’immobile principale, come ritenuto dall’Ufficio tecnico del Comune che aveva rilasciato, per la relativa esecuzione, una semplice autorizzazione; il giudicante aveva, quindi, applicato erroneamente la normativa del Reg, Edilizio riguardante la costruzione di nuovi immobili;
3) insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio, per avere il giudice di appello qualificato il manufatto in questione come opera principale e non pertinenziale, omettendo di indicare gli elementi a giustificazione della decisione.
Previa riunione dei ricorsi proposti avverso la medesima sentenza, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., va, innanzitutto, respinta l’eccezione d’inammissibilità del ricorso principale, sollevata dai resistenti per la mancata formulazione dei quesiti ex art. 366 bis c.p.c.. È sufficiente al riguardo rilevare che tale norma, “ratione temporis”, non trova applicazione nella specie, posto che la sentenza impugnata è stata pubblicata il 26.7.2005, allorché non era ancora entrato in vigore il D.lgs. n. 40/2006.
Il ricorso è infondato. La prima e la terza doglianza, da esaminarsi congiuntamente per la loro evidente connessione, non sono rapportate alle argomentazioni della sentenza impugnata,laddove si afferma che l’obbligo del rispetto della distanza di cinque metri dal confine era conseguente alla consistenza della costruzione realizzata dal P. a confine con una porzione del fondo degli appellanti adibita a vialetto, costruzione di m. 3,45 x 2,20, alta mediamente m. 2,67, rifinita in ogni sua parte con intonaco e pavimentazione, come accertato mediante C.T.U., non contestata sul punto; non rilevava, di conseguenza, l’eventuale funzione pertinenziale della casa o del giardino dell’appellato. Tale motivazione è conforme alla giurisprudenza in materia di questa Corte che, ai fini dell’osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dall’art. 873 c.c. e segg. c.c. e delle norme dei regolamenti integrativi della disciplina codicistica, ha affermato che deve ritenersi “costruzione” qualsiasi opera non completamente interrata, avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua destinazione. Conseguentemente gli accessori e le pertinenze che abbiano dimensioni consistenti e siano stabilmente incorporati al resto dell’immobile, così da ampliarne la superficie o la funzionalità economica, sono soggette al rispetto della normativa sulle distanze (Cfr. Cass. n. 4277/2011; n. 15972/2011; n. 2228/2001). Il secondo motivo è inficiato da genericità, posto che non indica la disposizione di edilizia locale che esonererebbe le costruzioni accessorie dal rispetto della distanza prescritta per gli edifici, ma si limita a menzionare l’avvenuta esecuzione dell’opera in base ad autorizzazione anziché a concessione, circostanza del tutto irrilevante in relazione al diritto del terzo al rispetto delle distanze legali.
Il ricorso principale deve, pertanto, essere rigettato. Del pari infondato è il ricorso incidentale con cui viene dedotta l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione e la violazione dell’art. 1226 c.c. in ordine al rigetto della domanda di risarcimento danni, assumendosi che: a) i fumi e gli odori non prevenivano da un barbecue posto sul lato sud della cucina, ma nel lato sud all’interno di tale vano; b) il vano era di maggiore altezza rispetto al muro di confine; c) nelle conclusioni era stata chiesta la liquidazione del danno (in via equitativa, per l’impossibilità di precisarne l’ammontare. Orbene, con riferimento al profilo della doglianza sub a), il ricorso non coglie la “ratio decidendi” che ha escluso i danni conseguenti ai fumi ed agli odori in quanto non derivanti dalla realizzazione dell’immobile a distanza inferiore a quella legale, ma costituenti immissioni conseguenti all’uso del barbecue (ex art. 844 c.c.). Quanto ai danni per la diminuita insolazione del vialetto, la Corte territoriale ha ritenuto la insussistenza o trascurabilità di danni conseguenti alla maggiore altezza del locale in questione rispetto al muro di cinta, “attesa la conformazione dei luoghi ed escluso che l’altezza del vano superi quella massima imposta dal regolamento edilizio”; i ricorrenti, sul punto,si limitano a riproporre la circostanza della maggiore altezza del vano senza cogliere tutte le ragioni poste a fondamento della decisione. Né è censurato l’argomento che ha escluso “in relazione alla reale consistenza dei luoghi, quale ampiamente descritta dal consulente di ufficio,ogni riduzione dell’amenità di essi o della visuale”. Del tutto sussidiario é, peraltro,l’ulteriore argomento della genericità della deduzione dei danni.
Considerato il rigetto di entrambi i ricorsi vanno compensate fra le parti le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi.