L’art. 714 cc. per l’usucapione del coerede non richiede atti di interversione del possesso, ma solo l’esercizio del possesso.
Nel caso di compossesso non è necessaria una formale interversione del possesso e che l’animus possidendi uti dominus può manifestarsi anche solo con comportamenti che lo rendono evidente. In particolare: a) il coerede o il partecipante alla comunione può usucapire l’altrui quota indivisa della cosa comune estendendo la propria signoria di fatto sulla res communis in termini di esclusività dimostrando l’intenzione di possedere non a titolo di compossesso, ma di possesso esclusivo per il tempo prescritto dalla legge senza la necessità di compiere atti di intervesio possessionis. b) il coerede che a seguito di messa a disposizione del compendio ereditario, sia stato immesso nel possesso di questo senza un mandato ad amministrare da parte degli altri coeredi, prende per tale via a possedere pubblicamente e a titolo esclusivo (dato che il rapporto materiale con il bene che si è venuto ad instaurare ha reso palese la manifestazione della volontà di non consentire agli altri coeredi di instaurare analogo rapporto con il medesimo bene ereditario) e può, quindi, usucapire il cespite senza che sia necessaria una mutazione negli atti di estrinsecazione del possesso tale da escludere un pari godimento da parte degli altri coeredi.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 29 ottobre – 18 dicembre 2013, n. 28346
Presidente Oddo – Relatore Scalisi
Svolgimento del processo
C.B. , F. e P.M. , con atto di citazione del 14 gennaio 1997 convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Fermo, P.L. e P.M. al fine di ottenere pronuncia di scioglimento della comunione ereditaria in relazione ad un immobile situato in (omissis).
Gli attori, quali proprietari pro indiviso di 8/10 del predetto bene chiedevano l’assegnazione a ciascun condividente delle rispettive quote di spettanza oppure, nel caso in cui detto bene non fosse comodamente divisibile, l’assegnazione per intero dello stesso slavo conguaglio. Chiedevano, altresì, che venisse ordinato ai P. il rendiconto di quanto goduto in esubero rispetto alle quote di loro spettanza.
Si costituiva P.L. , il quale contestava le quote ereditarie così come prospettate, chiedendone la rideterminazione, rilevava che P.M. doveva essere esclusa dall’eredità perché aveva ricevuto in dote quanto le spettava, ovvero in subordine venisse condannata alla restituzione del valore attuale di quanto aveva ricevuto al predetto titolo, domandava in via riconvenzionale che fosse dichiarata la proprietà esclusiva per intervenuto usucapione dell’appartamento ubicato al primo piano del menzionato immobile da lui posseduto sin dal 1970 del garage sito a piano terra e dell’area circostante destinato in parte a giardino e in parte ad orto, quali pertinenze dell’appartamento stesso, dichiarava di unire la propria quota ereditaria a quella della convenuta P.M. per ottenere l’assegnazione dell’intero immobile, ai sensi dell’art. 720 cc. con addebito dell’eventuale eccedenza.
Nel corso del giudizio si costituiva P.M. , la quale aderiva integralmente a tutte le domande del fratello L. .
Espletate prova per testi e consulenza tecnica, nonché ogni altra attività richiesta dalle esigenze istruttorie, il Tribunale dichiarava l’acquisto a titolo di usucapione in capo a P.L. della proprietà dell’immobile di cui alla richiesta in via riconvenzionale, disponeva l’assegnazione al medesimo P. delle altre porzioni dell’immobile subordinatamente al pagamento in favore degli altri eredi delle somme indicate nel dispositivo, compensava integralmente le spese del giudizio.
Avverso tale sentenza proponevano appello C.B. , C.F. e P.M. , riproponendo le stesse domande proposte nel giudizio di primo grado e per altro specificando che P.L. , con l’acquisto dell’appartamento per usucapione, null’altro poteva pretendere in ordine alle relitte porzioni dell’immobile oggetto di divisione.
Si costituivano P.L. e P.M. ed eccepivano in via pregiudiziale l’inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 341 cpc, difettando l’esposizione sommaria dei fatti di causa, nel merito assumevano la totale infondatezza del proposto gravame.
La Corte di appello di Ancona con sentenza n. 253 del 2007 accoglieva parzialmente l’appello e in riforma della sentenza impugnata disponeva che i conguagli in denaro riconosciuti a favore degli appellanti fossero rivalutati sulla base degli indici Istat fino alla pronuncia, confermava nel resto l’appellata sentenza, compensava le spese del grado. La Corte di Ancona, in via pregiudiziale disattendeva l’eccezione di inammissibilità dell’appello dato che dato che gli appellanti avevano fornito elementi sufficienti a consentire l’individuazione dell’oggetto e delle ragioni del gravame. Nel merito la Corte di Ancona: a) Chiariva che nel caso concreto P.L. aveva posseduto il bene di cui rivendicava l’avvenuta usucapione animo domini con la manifesta intenzione di non riconoscere nei confronti degli altri coeredi alcun diritto sul bene di cui si dice, ciò che trovava riscontro nell’utilizzazione personale ed esclusiva del bene, nella sua gestione senza mai renderne conto ad alcuno, nell’integrale assolvimento nel corso dell’intero arco temporale di tutti gli oneri fiscali gravanti su di esso, nella realizzazione di notevole migliorie e nell’ottenimento delle necessarie autorizzazioni per realizzarle; b) Rigettava l’eccezione di tardività della proposizione della domanda di assegnazione avanzata per la prima volta con dichiarazione sottoscritta da entrambi i convenuti, oltre i limiti di cui all’art. 183 comma quinto cpc, dato che la proposizione della relativa domanda si risolveva in una mera specificazione della domanda introduttiva di scioglimento della comunione proponibile per la prima volta anche in appello.
d) Riteneva infondato il secondo motivo di appello con il quale gli appellanti eccepivano che P.L. , dopo l’avvenuta usucapione, non poteva conservare intatto il suo diritto di comproprietà sul residuo immobile, avendo esaurito ogni possibile pretesa sulle porzioni degli altri coeredi. Dato che l’intervenuta usucapione sottraeva il bene interessato alla comunione e la divisione non poteva che riguardare il residuo asse in ragione delle rispettive quota così ricavabile dalla formulazione dell’art. 714 cc. e) Specificava che il riconosciuto conguaglio andava rivalutato secondo gli indici Istat dato che il conguaglio avrebbe dovuto consentire di ripristinare la situazione patrimoniale degli avanti diritto ponendoli nelle condizioni in cui si sarebbero trovati se l’inadempimento o l’adempimento tardivo non si fosse verificato.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da C.B.F. , C.B. , P.M. con ricorso affidato ad un motivo articolato e complesso, illustrato con memoria. P.L. e P.M. hanno resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1.- Con l’unico motivo di ricorso C.F. , C.B. e P.M. lamentano la violazione o falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 714, 1102, 1158, e 2697 cc (art. 360 n. 3 cpc). Secondo i ricorrenti, avrebbero errato sia il Tribunale che la Corte di appello, nell’aver ritenuto che fosse stata raggiunta la prova del godimento esclusivo da parte di P.L. di quella porzione di immobile oggetto della controversia sin dal 1970 dato che i Giudici del merito hanno fatto riferimento solo agli odierni ricorrenti comproprietari e non anche alle precedenti comproprietarie A. e N. che con i resistenti costituivano un unico nucleo familiare e delle quali la seconda era deceduta nel 1995. In particolare, ritengono i ricorrenti se le risultanze istruttorie vengono valutate correttamente consentono di ritenere che A. e N. costituivano con gli odierni ricorrenti un unico nucleo familiare e che questi utilizzavano unitariamente ed indistintamente il garage, l’appartamento al piano terreno, tanto è che fin che era locato riscuotevano l’affitto alternandosi al Luigino e coltivavano l’orto ed il giardino mettendone in comune i frutti. Piuttosto, il P.L. avrebbe dovuto dimostrare che sin dall’origine o a partire da un momento determinato aveva abitato la porzione di immobile sita al piano primo con animus possidenti uti dominus e non condiminus escludendone contestualmente dal possesso e godimento le sorelle comproprietarie A. e N. , prova che non è mai stata data.
Ciò posto i ricorrenti formulano il seguente quesito di diritto: In presenza di comproprietà tra soggetti legati da vincoli parentali, l’accertamento del possesso esclusivo animo domini di uno di loro deve limitarsi all’accertamento di quanto questo abbia esattamente maturato anche solo all’approssimarsi del decorso del tempo necessaria ad usucapire, o viceversa, deve estendersi all’accertamento che tale animo sia perdurato per l’intero tempo necessario ad usucapire e sia stato sin dall’inizio palesato o comunque reso riconoscibile agli altri comproprietari prossimi congiunti?
1.1.- Il motivo che, per altro, ripropone questioni identiche già avanzate in sede di appello ed esaminate e decise correttamente dalla sentenza impugnata pag. 10 della sentenza), con ampia e chiara motivazione è infondato.
La Corte di appello di Ancona, contrariamente a quanto sostengono i ricorrenti, ha affermato in linea con le pronunce di questa Corte che nel caso di compossesso non è necessaria una formale interversione del possesso e che l’animus possidendi uti dominus può manifestarsi anche solo con comportamenti che lo rendono evidente. In particolare, la Corte di merito ha affermato: a) che il coerede o il partecipante alla comunione può usucapire l’altrui quota indivisa della cosa comune estendendo la propria signoria di fatto sulla res communis in termini di esclusività dimostrando l’intenzione di possedere non a titolo di compossesso, ma di possesso esclusivo per il tempo prescritto dalla legge senza la necessità di compiere atti di intervesio possessionis. b) che il coerede che a seguito di messa a disposizione del compendio ereditario, sia stato immesso nel possesso di questo senza un mandato ad amministrare da parte degli altri coeredi, prende per tale via a possedere pubblicamente e a titolo esclusivo (dato che il rapporto materiale con il bene che si è venuto ad instaurare ha reso palese la manifestazione della volontà di non consentire agli altri coeredi di instaurare analogo rapporto con il medesimo bene ereditario) e può, quindi, usucapire il cespite senza che sia necessaria una mutazione negli atti di estrinsecazione del possesso tale da escludere un pari godimento da parte degli altri coeredi. In particolare, l’art. 714 cc. per l’usucapione del coerede non richiede atti di interversione del possesso, ma solo l’esercizio del possesso esclusivo.
1.1.a).- Sulla base di tali principi la Corte ha accertato che il P. per tutto il periodo necessario ad usucapire e fin dal suo inizio aveva manifestato la sua intenzione di possedere l’appartamento in modo esclusivo: a) nessuna contestazione è stata mai mossa dagli attuali ricorrenti alla circostanza che il P.L. sin dal 1970 si sia trasferito nell’appartamento sito al primo piano dell’edificio in questione e abbia goduto del bene in via esclusiva insieme alla moglie e alla figlia circostanza confermata dagli stessi appellanti che attribuiscono l’esclusività del possesso esercitato al rispetto e alla riservatezza della nuova famiglia riconducibile a sentimenti di solidarietà familiare da parte dei aprenti (pag. 11 sentenza); b) il P. ha posto in essere tutti gli atti escludenti un concomitante analogo godimento del bene da parte degli altri soggetti e degli altri coeredi: 1) ha eseguito nell’appartamento opere di ordinaria e straordinaria amministrazione come il completo rifacimento del bagno con sostituzione della pavimentazione, dei sanitari e dell’impianto idrico, l’applicazione dei vetri termici agli infissi, l’installazione di nuovi avvolgibili in luogo delle precedenti imposte, il rifacimento del pavimento con inserimento del nuovo caminetto con rivestimenti in marmo:
2) ha assolto nell’intero arco temporale tutti gli oneri fiscali gravanti sull’immobile, 3) ha provveduto ad ottenere le autorizzazioni amministrative per la realizzazione delle notevoli migliorie. Pertanto, correttamente la Corte di merito ha ritenuto che nel comportamento del P. sostanzialmente non contestato, non erano ravvisabili soltanto atti di gestione del bene comune consentiti al singolo coerede, bensì l’esercizio del possesso animo domini con la manifesta intenzione di non riconoscere nei confronti degli altri coeredi alcun diritto sul bene di cui si dice.
In definitiva, il ricorso va rigettato e i ricorrenti in solido condannati al pagamento delle spese del presente giudizio che verranno liquidate con il dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese giudiziali del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 3700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori come per legge.