La presunzione di condominialità dei beni ex art. 1117 c.c. deriva sia dall’attitudine oggettiva del bene al godimento comune sia dalla concreta destinazione di esso al servizio comune; ne consegue che, per vincere tale presunzione, il soggetto che ne rivendichi la proprietà esclusiva ha l’onere di fornire la prova rigorosa di tale diritto in modo da escludere in maniera inequivocabile la comunione del bene. Per tutelare la proprietà di un bene appartenente a quelli indicati dall’art. 1117 cod. civ. non è necessario che il condominio dimostri con il rigore richiesto per la reivindicatio la comproprietà del medesimo, essendo sufficiente, per presumerne la natura condominiale, che esso abbia l’attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale, mentre spetta al condomino che ne afferma la proprietà esclusiva darne la prova.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 4 dicembre 2013 – 16 gennaio 2014, n. 822
Presidente Triola – Relatore Bursese
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 1.7.99 V.L. conveniva avanti al Tribunale di Salerno il germano V.P. deducendo che, a seguito di divisione ereditaria del loro genitore e cessioni di quote tra coeredi, erano state attribuite ad essa attrice ed al fratello convenuto specifiche parti del fabbricato appartenuto in vita al de cuius, conformato a terrazze, situato in (…) tra le vie (omissis) , composto di 3 piani e varie aree di pertinenza e spiazzi; più precisamente, essa attrice era divenuta proprietaria di due unità immobiliari poste al 1 ed al 2 piano partendo dalla sottostante via (OMISSIS) , mentre la porzione di fabbricato del germano P. era costituita dal terzo piano, partendo da via (omissis), a livello della strada (omissis) . Precisava ancora l’attrice che i due immobili facevano parte dell’originario più ampio complesso immobiliare appartenuto al de cuius, che aveva un unico accesso da Corso Umberto, con scalinata scoperta a lato del portone, che dunque doveva ritenersi d’uso comune ai sensi dell’art. 1117 c.c., da essa attrice sempre utilizzati; tutto ciò premesso, esponeva che il fratello P. nel giugno del 1997 le aveva vietato l’ingresso da tale accesso, cambiando a sua insaputa la serratura del cancello, per cui essa V. , dopo la proposizione di una prima azione di reintegra rigettata per decadenza del termine annuale ex art. 1168 c.c., formulava azione petitoria (confessoria servitutis) per sentirsi dichiarare contitolare della proprietà della zona d’accesso principale della Villa al (omissis) , oltre che della successiva scalinata scoperta, con piccolo giardino intermedio; ovvero in subordine instava per il riconoscimento di una servitù di passaggio attraverso le rispettive unità immobiliari, in virtù del titolo della destinazione del padre di famiglia o per avvenuta usucapione; ancora in ulteriore subordine, chiedeva la costituzione di una servitù di passaggio coattivo.
Si costituiva il convenuto a mezzo del procuratore speciale O.R. , contestando la domanda dell’attrice, negando che essa avesse diritto al passaggio nella sua proprietà, sottolineando che alle unità immobiliari di proprietà della medesima era possibile accedervi anche dal basso, da Piazza (OMISSIS) , dove vi era un autonomo ingresso. Istruita la causa tramite CTU ed escussione dei testi, l’adito Tribunale, con sentenza n. 1712/06 in accoglimento della domanda, dichiarava che la scala in questione era in proprietà comune tra le parti ai sensi dell’art. 1117, n. 1 c.c., per cui ordinava al convenuto di consegnare all’attrice copia delle chiavi delle serrature di entrambi i cancelli di accesso alla proprietà, sia quello posto su via (omissis) , sia quello sito al termine della seconda rampa del percorso che chiudeva l’accesso allo spiazzo scoperto di proprietà dell’attrice.
La sentenza veniva appellata dal convenuto che ne chiedeva l’integrale riforma, contestando l’affermazione circa la comproprietà delle parti ritenute comuni, sottolineando come il titolo, costituito dall’atto di divisione del 1972, prevedeva accessi autonomi di proprietà esclusiva ai distinti piani e che non aveva particolare rilevo qualificante l’uso della scala che era stato da lui consentito all’attrice.
L’adita Corte d’Appello di Salerno, con sentenza n. 1713/06 accoglieva il gravame, negando la comproprietà dei beni in questione e rigettando quindi la domanda proposta da V.L. . La corte territoriale riteneva, sulla base delle emergenze istruttorie e della documentazione allegata (CTU, schede catastali, grafici ecc.), nonché del titolo (atto di divisione), che il bene preteso in comproprietà da V.L. , non rientrasse tra quelli ritenuti comuni dall’art. 1117 c.c. ma fosse destinato esclusivamente al servizio della proprietà di V.P. .
Per la cassazione la suddetta decisione ricorre V.L. sulla base di 4 mezzi; l’intimato non ha svolto difese.
Motivi delle decisione
1 – Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1117 c.c., nonché il vizio di motivazione, denunciando altresì un preteso contrasto di giurisprudenza, in ragione del quale chiede che la causa venga rimessa alle S.U. Sottolinea che la corte territoriale ha riformato la sentenza di primo grado che riteneva beni comuni l’accesso ad una villa e le successive rampe di scale, fondando tale decisione su di una sentenza di questa S.C. (S.U. n. 7449/93), secondo la quale “…l’individuazione delle parti comuni …. risultante dall’art. 1117 c.c. … può essere superata soltanto dalle opposte risultanze di un determinato titolo e non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari”.
Secondo altro e diverso orientamento, se un bene è incluso tra quelli elencati dall’art. 1117 c.c. (come nel caso in esame, le scale) “assistiti non da una mera presunzione ma da una precisa disposizione la sua natura può essere vinta solo in forza di un titolo specifico in forma scritta, trattandosi di un bene immobile” (Cass. n. 6005/08; Cass. n. 5891/08). Secondo la ricorrente, “pur ritenendo…che l’interpretazione più corretta ed aderente alla normativa codicistica dovrebbe far prevalere la c.d. presunzione di condominialità, sarebbe forse opportuno che il problema fosse sottoposto nuovamente….al vaglio delle….S.U., che dovranno statuire se un bene esistente in un complesso edilizio condominiale gode della c.d. presunzione di comunione, salvo il contrario non risulti dal titolo, o se prevalga la sua funzionalità e destinazione ad una proprietà esclusiva, indipendentemente dall’esistenza di un titolo che la legittimi”.
Il motivo è infondato atteso che non esiste il denunciato contrasto.
La giurisprudenza ha affermato principi che non sono in conflitto tra loro, che anzi si integrano gli uni con gli altri; ed infatti: 1) nel caso di parti astrattamente comuni ai sensi dell’art. 1117 c.c. destinate per le loro caratteristiche a servire tutte le unità immobiliari presenti nel condominio, la condominialità può esser esclusa solo in base a titolo contrario (Cass. n. 27145/2007); 2) nel caso di parti rientranti tra quelle elencate all’art. 1117 c.c., ma funzionalmente destinate a servire solo alcune unità immobiliari, la condominialità non è mai sorta e quindi va esclusa senza bisogno di titolo contrario (Cass. n. 17993/2010).
2 – Passando all’esame del 2 motivo, gli esponenti denunciano la violazione o falsa applicazione dell’art. 1117 c.c. nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. – Travisamento dei fatti – erronea individuazione dello stato dei luoghi ed erronea od omessa considerazione delle prove in atti (grafici e foto)…..non si condivide il ragionamento delle Corte d’ Appello che cioè il bene in questione fosse destinato esclusivamente a servizio della proprietà di V.P. ; in realtà essa V. e la sua famiglia sono sempre transitati animo domini ed ad libitum attraverso il cancello e la scala su C.so (…) (sulla s.s. (…)) e le successive due rampe scoperte, a lato del portone dell’appartamento di P. , per raggiungere i propri appartamenti posti in successione a quello, ed a livello inferiore. E poiché nel titolo (atto di divisione) non era rinvenibile “un espressa dichiarazione di attribuzione e di appartenenza esclusiva di tali beni al convenuto, essi dovevano reputarsi in comunione tra le parti”. A riguardo viene richiamato quale dato testuale la postilla n. 2 del rogito notarile di divisione, da cui si ricaverebbe la natura comune dell’accesso alla statale 163.
3 – Con il 3 motivo si denunzia la violazione delle norme di legge di cui sopra;
“l’erronea od omessa lettura di atti rilevanti ai fini della decisione ; esame del titolo – prova contraria – inesistenza”.
Non v’è dubbio che il convenuto non ha fornito – come doveva – la prova contraria circa la non comunione dei beni in parola, trattandosi di soggetto che ne rivendicava la proprietà esclusiva, che in questo caso è costituita da un titolo, da cui si possano desumere elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione del bene. Il contenuto del rogito (art. 8) non contraddice il principio generale sancito dall’art. 1117 c.c., anzi lo riafferma proprio con le espressioni adoperate dall’art. 8.
4 – Con il 4 motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cpc, erronea individuazione dell’oggetto del giudizio. Ritiene che la decisione impugnata appare contraddittoria e confusa, “quando l’oggetto della domanda viene individuato solo nella scalinata scoperta a lato del portone e del giardino…mentre in realtà è l’intera zona dell’accesso principale, (dalla strada statale), costituita dal cancello d’ingresso in ferro, piccolo via letto seguito da quattro gradini e ballatoio scoperto, antistante il portone in legno dell’appartamento attribuito a V.P. , oltre la scalinata scoperta con piccolo giardino intermedio”.
Le doglianze – congiuntamente esaminate in ragione della loro stretta connessione – sono fondate.
Invero la Corte d’Appello, in presenza di una scala, la quale nella sua parte iniziale era destinata a consentire l’accesso alla proprietà di V.P. e a due rampe di scale destinate a consentire l’accesso nell’unità immobiliare della sorella L. , non ha adeguatamente motivato perché andava esclusa la condominialità. Non ha chiarito perché non fosse titolo confermativo la postilla apposta all’atto di divisione, come sottolineato dalla ricorrente (v. pag. 23 ricorso).
In effetti la postilla n. 2 di cui pag. 11 del rogito notarile (che costituisce l’unico titolo che ha dato luogo al frazionamento dell’immobile) così recita:
“A tale appartamentino si accede pure dallo spiazzo comunale attraverso ballatoio comune agli eredi G. “, ossia dal basso, da quella nel grafico di p. 16 è indicata come Piazzetta (…). “Il PURE – sottolinea la ricorrente – non può avere altro significato che quello d’individuare e richiamare l’accesso dalla statale (…) come un accesso comune”.
D’altra parte – come osservato dalla ricorrente – notevole rilievo assume ai fini della problematica in esame l’art. 8 dell’atto di divisione, il quale prevede: “le porzioni d’immobile con questo atto attribuite in divisione si trasferiscono in proprietà di ciascun condividente con ogni accessione, dipendenza e pertinenza inerente, servitù attive e passive, nulla escluso ed eccettuato in uno ai proporzionali diritti di condominio su tutte le parti ritenute di uso comune per legge o per destinazione”. Erano dunque previste con l’atto divisionale che nel vecchio complesso immobiliare, dopo la sua divisione rimanessero anche “parti di uso comune per legge o per destinazione”.
La corte ha poi ha trascurato che non c’era alcun titolo contrario alla condominialità dell’ingresso e della scala, atteso che trattavasi di un unico complesso immobiliare poi diviso tra i due fratelli.
Orbene per costante giurisprudenza di questa S.C. la presunzione di condominialità di siffatti beni ex art. 1117 c.c. deriva sia dall’attitudine oggettiva del bene al godimento comune sia dalla concreta destinazione di esso al servizio comune; ne consegue che, per vincere tale presunzione, il soggetto che ne rivendichi la proprietà esclusiva ha l’onere di fornire la prova rigorosa di tale diritto in modo da escludere in maniera inequivocabile la comunione del bene (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5633 del 18/04/2002). “Per tutelare la proprietà di un bene appartenente a quelli indicati dall’art. 1117 cod. civ. non è necessario che il condominio dimostri con il rigore richiesto per la reivindicatio la comproprietà del medesimo, essendo sufficiente, per presumerne la natura condominiale, che esso abbia l’attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale, mentre spetta al condomino che ne afferma la proprietà esclusiva darne la prova (Cass. 2, Sentenza n. 15372 del 01/12/2000; Sentenza n. 6175 del 13/03/2009; 2, Sentenza n. 17993 del 02/08/2010).
In conclusione dev’essere accolto il ricorso; dev’essere cassata la sentenza impugnata e rinviata la causa anche per le spese di questo giudizio alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa anche per le spese di questo giudizio alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione.