In tema di condominio, la natura del sottotetto di un edificio è, in primo luogo, determinata dai titoli e, solo in difetto di questi ultimi, può ritenersi comune, se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune. Il sottotetto può considerarsi, invece, pertinenza dell’appartamento sito all’ultimo piano solo quando assolva alla esclusiva funzione di isolare e proteggere l’appartamento medesimo dal caldo, dal freddo e dall’umidità, tramite la creazione di una camera d’aria e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo.

 

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile – Sentenza 9 febbraio 2016, n. 2571
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8961-2011 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 483/2010 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 27/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/12/2015 dal Consigliere Dott. ORILIA Lorenzo;

udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilita’ di, in subordine rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto del 24.3.2006 (OMISSIS) e (OMISSIS) convennero il condomino (OMISSIS) davanti al Tribunale di Terni per ottenere la restituzione di parte del sottotetto dell’edificio condominiale di (OMISSIS), che il convenuto aveva asservito alla propria unita’ abitativa sita all’ultimo piano, sottraendolo all’uso comune. Lamentarono anche pericoli alla statica per la mancanza di contiguita’ del solaio di calpestio del solaio, abbassato illegittimamente dal convenuto nella parte soprastante alla sua unita’.

In subordine, in caso di accertamento del diritto di proprieta’ esclusiva sul sottotetto, chiesero l’eliminazione di alcuni lucernai aperti sul tetto dell’edificio.

(OMISSIS), resistendo alla domanda, affermo’ di essere proprietario esclusivo del sottotetto, ormai dismesso dal condominio da oltre venti anni, e quindi eccepi’ l’estinzione della servitu’ in precedenza esercitata dal condominio sul cespite, utilizzato per il deposito di cassoni d’acqua. Dichiaro’ di avere sfruttato il bene, pertinenza del suo appartamento, secondo le proprie esigenze e osservo’ che l’apertura dei lucernai doveva ritenersi lecita perche’ non aveva alterato la destinazione d’uso del tetto (copertura del fabbricato).

Il Tribunale di Terni, con sentenza 37/2008 accolse la domanda e condanno’ il convenuto a reintegrare il condominio nel possesso del sottotetto del fabbricato mediante l’esecuzione dei lavori, a sua cura e spese, atti a riportare i luoghi alla situazione preesistente.

La Corte d’Appello di Perugia, adita dal (OMISSIS), con sentenza del 3.6-27.10.2010 confermo’ la decisione osservando:

– che la domanda andava inquadrata nello schema dell’articolo 1102 e non come domanda possessoria;

– che il sottotetto era un bene comune, come dimostrato dalla precedente destinazione a deposito di cassoni d’acqua per uso comune e dall’esistenza di una botola a soffitto, utilizzata per l’accesso e posta sul pianerottolo dell’ultimo piano, piuttosto che nella proprieta’ esclusiva del convenuto;

– che i lucernari aperti sul tetto pregiudicavano l’uso del bene comune impedendo, ad esempio, l’installazione di pannelli solari o fotovoltaici, sicche’ il convenuto avrebbe dovuto munirsi dell’autorizzazione dei condomini.

Contro questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il (OMISSIS) denunziando tre censure.

I (OMISSIS) e (OMISSIS) non hanno svolto attivita’ difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 Col primo motivo il ricorrente denunzia ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4, a nullita’ della sentenza per violazione degli articoli 112, 132 e 156 c.p.c. – Ultrapetizione – Insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo.

Nega innanzitutto di avere qualificato la domanda come azione possessoria rilevando che erano stati gli attori a lamentare uno spoglio. Rimprovera alla Corte di avere violato il principio di cui all’articolo 112 c.p.c., provvedendo ad una qualificazione discostandosi dalla causa petendi e dal petitum dedotto dagli appellati. Rileva inoltre che la Corte d’Appello, una volta qualificata la domanda nello schema dell’articolo 1102 c.c., non avrebbe potuto confermare la decisione di primo grado (che, invece, aveva ordinato la reintegrazione nel possesso), per cui vi e’ contrasto tra motivazione e dispositivo.

Il motivo e’ infondato.

Secondo un generalissimo principio – che il Collegio oggi ribadisce – nell’ordinario giudizio di cognizione, l’esatto contenuto della sentenza va individuato non alla stregua del solo dispositivo, bensi’ integrando questo con la motivazione, nella parte in cui la medesima riveli l’effettiva volonta’ del giudice. Ne consegue che va ritenuta prevalente la parte del provvedimento maggiormente attendibile e capace di fornire una giustificazione del “dictum” giudiziale (v. tra le varie, Sez. 1, Sentenza n. 17910 del 10/09/2015 Rv. 636641; Sez. 3, Sentenza n. 16152 del 08/07/2010 Rv. 613996; Sez. 2, Sentenza n. 15585 del 11/07/2007 Rv. 598554).

E’ stato altresi’ precisato che sussiste un contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione, causa di nullita’ della sentenza, ai sensi dell’articolo 156 c.p.c. e articolo 360 c.p.c., n. 4, nel caso in cui il provvedimento risulti inidoneo a consentire l’individuazione del concreto comando giudiziale, non essendo possibile ricostruire la statuizione del giudice attraverso il confronto tra motivazione e dispositivo, mediante valutazioni di prevalenza di una delle affermazioni contenute nella prima su altre di segno opposto presenti nel secondo (Sez. 6-3, Sentenza n. 15990 del 11/07/2014 Rv. 632120; Sez. 1, Sentenza n. 14966 del 02/07/2007 Rv. 597746).

Ebbene, applicando queste regole di giudizio al caso in esame, da una lettura congiunta di dispositivo e motivazione della sentenza impugnata emerge senza alcun dubbio che con la formula “e conferma la sentenza del Tribunale di Terni…”, la Corte perugina non puo’ che aver fatto riferimento al rilascio del bene in favore dei condomini istanti e alla esecuzione dei lavori di ripristino, avendo in motivazione affermato a chiare lettere che l’azione va inquadrata nella fattispecie di cui all’articolo 1102 c.c., per avere il (OMISSIS) alterato la destinazione della cosa comune e impedito agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto.

Irrilevante e’ poi la disquisizione sul se l’errata qualificazione dell’azione come possessoria sia nata dal (OMISSIS) o dagli originari appellati, una volta individuata correttamente la natura giuridica della domanda giudiziale da parte della Corte d’Appello.

Insussistente e’ poi la violazione dell’articolo 112 c.p.c., perche’ come e’ noto, rientra nel potere – dovere del giudice di qualificare giuridicamente l’azione e di attribuire il “nomen iuris” al rapporto dedotto in giudizio, anche in difformita’ rispetto alla qualificazione della fattispecie ad opera delle parti, con l’unico limite – la cui violazione determina il vizio di ultrapetizione – del divieto di sostituire la domanda proposta con una diversa, perche’ fondata su una diversa “causa petendi” o su una realta’ fattuale non dedotta in giudizio dalle parti e sulla quale, pertanto, non si e’ realizzato il contraddittorio (v. tra le varie, Sez. 1, Sentenza n. 3980 del 27/02/2004 Rv. 570620; Sez. 5, Sentenza n. 2340 del 17/02/2001 (Rv. 543928). Nel caso di specie, la Corte d’Appello si e’ mossa nei limiti sopra delineati avendo, come era suo potere-dovere, proceduto alla qualificazione della domanda sulla base dei fatti dedotti, del petitum e della causa petendi.

2 Col secondo motivo, articolato a sua volta in quattro sub censure, il ricorrente denunzia ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione degli articoli 1168 e 1102 c.c., nonche’ l’omessa, contraddittoria o insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia: osserva innanzitutto che la Corte d’Appello, confermando la sentenza di primo grado, avrebbe pronunciato una reintegrazione senza che ne sussistessero i presupposti (tempestivita’ dell’esercizio dell’azione, violenza e clandestinita’ dello spoglio).

Sotto altro profilo, sostiene che la domanda di restituzione, non accompagnata dalla contestuale richiesta di accertamento del diritto reale, esula dall’ambito delle azioni reali ed e’ qualificabile come azione personale di rilascio o restituzione. Considerando la contestazione sulla proprieta’ condominiale, la Corte di merito avrebbe dovuto allora esaminare la domanda sotto il diverso aspetto della validita’ del titolo contrapposto accertando l’effettiva sussistenza dei presupposti dell’azione di restituzione, anziche’ limitarsi a presumere la destinazione condominiale del bene: la Corte avrebbe quindi dovuto verificare le caratteristiche strutturali del sottotetto, la sua qualita’ di vano autonomo, non applicandosi ai sottotetti la presunzione di comunione di cui all’articolo 1117 c.c..

Sotto un terzo profilo, il ricorrente critica inoltre la decisione sulla apertura dei lucernari sul tetto, considerato che la relativa domanda era stata proposta in via subordinata, ove cioe’ fosse stata riconosciuta la proprieta’ esclusiva del convenuto rispetto alla porzione di sottotetto. In ogni caso, ritiene di avere agito nei limiti dell’utilizzo della cosa comune ai sensi dell’articolo 1102 c.c., non avendo alterato la funzione di copertura.

Quanto al vizio motivazionale (quarto profilo in cui si articola la censura), il ricorrente rimprovera alla Corte d’Appello di avere affermato la comune destinazione del bene dando per scontate le caratteristiche strutturali sulla base della sola esistenza di una botola di ispezione e della temporanea collocazione di cassoni d’acqua, disattendendo i contrari elementi evidenziati dalla documentazione depositata da entrambe le parti circa le dimensioni e le caratteristiche del bene (solaio non praticabile ed altezza del vano irrisoria).

3 Col terzo ed ultimo motivo di ricorso il (OMISSIS) denunzia ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione degli articoli 112, 115 e 116 c.p.c., nonche’ l’omessa, contraddittoria o insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia. Omesso esame di documenti decisivi. Contesta la natura condominiale del sottotetto affermata dalla Corte d’Appello; richiama la struttura a camera d’aria del locale e ripropone il tema della servitu’ estinta per non uso ventennale da parte del Condominio che, a suo tempo l’aveva acquistata ai sensi dell’articolo 1062 c.c.. Reputa illogico che un fabbricato risalente al diciottesimo secolo potesse prevedere spazio per la collocazione di impianti di acqua condominiali, considerata la proprieta’ in capo ad un unico proprietario. Tali circostanze, ad avviso del ricorrente, se esaminate alla Corte d’Appello, avrebbero, comportato una pronuncia sull’effettiva esistenza di una servitu’ d’uso della porzione di sottotetto da parte del condominio, ormai estintasi.

Ancora, il ricorrente considera irrilevante la collocazione nel soffitto del pianerottolo della botola di accesso e la mancanza di collegamento diretto del sottotetto con gli appartamenti all’ultimo piano e rimprovera alla Corte d’Appello di non avere considerato la documentazione depositata nel giudizio di appello, trascurando altresi’ le tabelle millesimali che, ad avviso del ricorrente, rappresentano una evidente manifestazione consapevolezza da parte del Condominio della appartenenza del sottotetto ai proprietari dell’ultimo piano (avendo valore di negozio di accertamento ricognitivo).

Questi motivi – che per il comune riferimento alla natura del sottotetto si prestano ad esame unitario – sono infondati.

Partendo dalla critica alla ritenuta illegittimita’ della apertura dei lucernari, trattasi di censura inammissibile per come prospettata perche’ avrebbe dovuto essere posta sotto il profilo del vizio di ultrapetizione (articolo 112 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4): infatti, sussiste violazione dell’articolo 112 c.p.c. (applicabile anche al giudizio d’appello) e quindi vizio d’ultrapetizione, quando, proposte due o piu’ domande, l’una in via principale e l’altra in via subordinata e gradata, il giudice accolga la richiesta principale e pronunci anche su quella subordinata (v. Sez. 3, Sentenza n. 5954 del 18/03/2005 Rv. 580844; v., altresi’ Sez. 2, Sentenza n. 16187 del 2003, in motivazione).

Nel caso di specie, e’ vero (v. narrativa della sentenza impugnata) che gli attori avevano chiesto l’eliminazione dei lucernari solo in subordine, e cioe’ in caso di ritenuta proprieta’ esclusiva del tetto, e che una pronuncia non intervenuta, essendo stata invece accolta la domanda principale di uso illegittimo del bene comune ex articolo 1102 c.c.. E’ pero’ altrettanto vero la doglianza e’ stata prospettata unicamente sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione e dunque non coglie nel segno.

Le altre censure sono infondate.

Sull’esatto contenuto della sentenza impugnata (declaratoria di illiceita’ della condotta del condomino per violazione del principio di cui all’articolo 1102 c.c. e non gia’ pronuncia di natura possessoria) gia’ si e’ detto nella trattazione del precedente motivo, e pertanto e’ inutile ripetere considerazioni gia’ espresse, rilevandosi qui solo la superfluita’ di tutte le considerazioni che il ricorrente muove sulle condizioni dell’azione possessoria.

Sulla qualificazione (operata dalla Corte d’Appello) della domanda come azione a tutela dei beni comuni e’ appena il caso di aggiungere che, per giurisprudenza costante, l’interpretazione della domanda giudiziale costituisce operazione riservata al giudice del merito, il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, non e’ censurabile in sede di legittimita’ quando sia motivato in maniera congrua ed adeguata, avendo riguardo all’intero contesto dell’atto, senza che ne risulti alterato il senso letterale e tenendo conto della sua formulazione letterale nonche’ del contenuto sostanziale, in relazione alle finalita’ che la parte intende perseguire, senza essere condizionato al riguardo dalla formula adottata dalla parte stessa (Sez. 3, Sentenza n. 14751 del 26/06/2007 Rv. 597467; Sez. L, Sentenza n. 5491 del 14/03/2006 Rv. 590044):

Ebbene, nel caso che ci occupa la Corte d’Appello ha motivato del tutto congruamente laddove ha considerato che il (OMISSIS) aveva con le opere eseguite alterato la destinazione della cosa comune e impedito agli altri condomini di farne uso secondo il loro diritto.

Tipicamente fattuali – e come tali non proponibili in questa sede – si rivelano le censure tendenti ad una alternativa ricostruzione della natura giuridica del sottotetto che, invece, il giudice di appello ha valutato compiutamente escludendo la tesi della servitu’ estintasi per non uso ventennale e pervenendo invece alla conclusione della condominialita’ del bene, desunta da una serie di elementi di fatto riguardanti le caratteristiche strutturali e funzionali dello stesso, (particolari modalita’ di accesso tramite una botola a soffitto posta sul pianerottolo dell’ultimo piano e non anche dalla proprieta’ (OMISSIS); precedente destinazione al deposito di cassoni di acqua a servizio del condominio v. pagg. 10 e 11).

La decisione appare non solo priva di vizi logici, ma anche giuridicamente corretta, perche’ in linea col principio, piu’ volte affermato da questa Corte, secondo cui la natura del sottotetto di un edificio e’, in primo luogo, determinata dai titoli e, solo in difetto di questi ultimi, puo’ ritenersi comune, se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune. Il sottotetto puo’ considerarsi, invece, pertinenza dell’appartamento sito all’ultimo piano solo quando assolva alla esclusiva funzione di isolare e proteggere l’appartamento medesimo dal caldo, dal freddo e dall’umidita’, tramite la creazione di una camera d’aria e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo (v. Sez. 6-2, Ordinanza n. 17249 del 12/08/2011 Rv. 619027; Sez. 2, Sentenza n. 18091 del 19/12/2002 Rv. 559309; Sez. 2, Sentenza n. 8968 del 20/06/2002 (Rv. 555189).

Il ricorso pero’ non precisa, contravvenendo all’onere di specificita’ dei motivi, da dove ricava l’impraticabilita’ del solaio e l’irrisorieta’ dell’altezza del vano di cui fa cenno a pagg. 25 e 26, occorrendo l’indicazione delle dimensioni e, in particolare, dell’altezza riscontrata, nonche’ della fonte del proprio convincimento sulla “struttura a camera d’aria”, non bastando il mero rinvio a documenti semplicemente numerati e depositati (pagg. 25 e 26) ma non individuati esattamente nel loro contenuto, oppure il mero riferimento “alla documentazione catastale” oppure “alla natura dei lavori di ristrutturazione eseguiti dal (OMISSIS)” (pag. 28). Parimenti e’ privo di specificita’ il richiamo generico alle tabelle millesimali, senza la allegazione delle stesse (per la parte di stretto interesse) o quanto meno una sintetica riproduzione del contenuto (sempre per la parte di interesse).

Comunque, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’eventuale inclusione di un bene nelle tabelle millesimali non e’ determinante ai fini della prova della proprieta’ esclusiva (v. Sez. 2, Sentenza n. 17928 del 23/08/2007 Rv. 599366; Sez. 2, Sentenza n. 5633 del 18/04/2002 (Rv. 553833).

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

La mancanza di attivita’ difensiva da parte dei (OMISSIS) e (OMISSIS) esonera la Corte dal provvedere sulle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

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